Il documento sull’odio online uscito il 5 febbraio 2021, a cui ha lavorato anche il sottoscritto, si inserisce in un momento in cui il discorso pubblico sull’hate speech è divenuto nel tempo un tema caldo.
Il rapporto rappresenta il lungo lavoro affidato con decreto dalla Ministra per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano, di concerto con il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri delegato in materia di informazione ed editoria Andrea Martella.
Una visione più critica della rete
I media e le istituzioni sottolineano la rilevanza di questo tema con enfasi e, talora, con accenti moralisti, indicando il livello di tossicità che introduce nel dibattito pubblico e nella vita dei cittadini. Un inquinamento discorsivo (e non solo) che è riferibile in particolare all’innalzamento generalizzato dei toni che si produce online.
Questo atteggiamento è legato, innanzitutto, a una visione sempre più critica della rete che permea l’opinione pubblica e che segnala in più campi quanto l’accesso sempre più diffuso, ma anche aperto e dunque indiscriminato, alle risorse di conoscenza e di espressione online comportino conseguenze significative e spesso negative sugli assetti complessivi della conoscenza e della convivenza. L’hate speech diventa l’ennesima prova delle conseguenze negative della rete nel suo attuale livello di sviluppo in sé e in relazione a trasformazioni profonde della struttura sociale, come quando si riferisce al dibattito sulla crisi delle democrazie.
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Questa tendenza si associa alla crescita di attenzione sociale per i comportamenti devianti e alla loro ridefinizione, fuori e dentro la rete, come la violenza di gruppo politici estremi o le diverse forme di intolleranza per l’altro da sé riconducibili a genere, religione, ecc. I dati OSCE indicano come in generale i crimini d’odio registrati dalla polizia siano passati in Italia dai 555 del 2015 ai 1119 del 2019 indicando come il discorso d’odio vada diffondendosi socialmente. Si tratta di crimini che non sono esclusivamente confinati in ambito digitale ma si diffondono con facilità tra spazi mediati dalle tecnologie e non, seguendo percorsi che si collocano in quella stretta continuità tra online e offline che caratterizza oramai la nostra vita quotidiana.
La confusione tra odio e libertà di espressione
Il tema dell’odio online, sebbene nella sostanza non si discosti dall’odio offline, ha però ampliato il proprio raggio di azione fino a comprendere espressioni, messaggi e pratiche di ostilità le più diverse, spesso indirette o implicite, rispetto alle quali risulta molto complesso stabilire di volta in volta se si tratti di forme indirizzate esplicitamente a incitare odio e violenza contro gruppi mirati e suscettibili di danneggiare le vittime.
Ci muoviamo quindi lungo un crinale in cui incitamento all’odio online e libertà di espressione si confondono, spesso portando i contesti comunicativi implicati, cioè le piattaforme, all’impossibilità di gestire la moderazione di contenuti o alla produzione di effetti paradossali.
Le difficoltà dei social con l’hate speech
Facebook fatica ad individuare e quindi bloccare pagine che sono cariche di propaganda nazista, come ha indicato una inchiesta di Al Jazeera, perché ad esempio sono pagine, apparentemente innocue, di gruppi musicali punk e metal, anche se i testi sono ispirati al suprematismo bianco e attirano utenti neonazisti. Allo stesso tempo ha sospeso per violazione degli standard della community – riaprendola in seguito – la pagina di satira politica dei “Socialisti gaudenti” per post ironici su Casa Pound e Forza Nuova.
Il fenomeno dell’hate speech costituisce quindi una complessità che è data dalla sfumatura dei suoi confini e richiede una più ampia riflessione sulla cultura digitale, sulla relazione che questa ha con i mass media e su come giornalisti e politici, oltre ai cittadini, alimentino i circuiti perversi di un discorso pubblico che si riempie di inciviltà.
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Il rapporto del Governo su odio online
Approcciare questo tema richiede spirito sensibile, prudente e aperto. Ed è con questo atteggiamento che come gruppo di lavoro sul fenomeno dell’odio online abbiamo cercato di operare.
Come dimostra anche il Digital Services Act recentemente proposto dalla Commissione Europea, si sta aprendo un significativo spazio per prendersi cura di questo campo.
Anche se serve, come si dice nel documento, grande equilibrio: “I legislatori devono dimostrare grande saggezza. Perché su questa materia si osservano diritti in tensione tra loro, come la libertà di espressione, il diritto alla privacy, il diritto al rispetto della libertà di pensiero, coscienza e religione, il diritto di proprietà e la libertà di mercato, il diritto a essere difesi contro le violenze, come ha osservato la Corte Europea dei Diritti Umani. Il problema fondamentale è quello di bilanciare i diversi diritti.”
Le raccomandazioni
Il documento si muove evidenziando la complessità di definizione del fenomeno, tra descrizione fenomenologica ed esempi internazionali, per arrivare ad una parte di raccomandazioni che tenta di proporre interventi che coinvolgano le persone, le famiglie, le scuole, le associazioni, le università e i centri di ricerca, le aziende, i media, i partiti, le istituzioni, alla ricerca di soluzioni che siano capaci di rispettare tutti i diritti umani, in un equilibrio che sui social network è apparso spesso messo in discussione.
La strategia immaginata si articola su tre livelli:
- 1. le azioni di prevenzione, con obiettivi di lungo termine, centrate sull’educazione civica e digitale, la cultura giuridica, la ricerca, l’informazione, la comunicazione;
- 2. l’innovazione normativa capace di costruire un quadro giuridico adeguato all’ambiente digitale sia per le aziende private che per i cittadini che fruiscono dei servizi digitali. Un quadro nel quale, con metodo aperto, inclusivo e basato sull’evidenza siano chiaramente definiti ruoli e responsabilità nel pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona;
- 3. il sostegno fattivo alle iniziative orientate a progettare, sperimentare e costruire nuove piattaforme e ambienti mediali, in modo da favorire l’infodiversità nell’ecosistema digitale e aumentare le probabilità che emergano soluzioni adatte a favorire condizioni di vita online più rispettose dei diritti umani e del valore della conoscenza di qualità.
È in questa articolazione tra prevenzione, interventi normativi e infodiversità che il gruppo di lavoro costruisce la sua eredità e la consegna alla politica, con l’augurio che quanto fatto sia un punto di partenza per le nostre istituzioni al fine di immaginare i cittadini con il digitale.