Chi offende il presidente della Repubblica sui social rischia grosso; azione che legittima perquisizioni e sequestri. Lo dice il codice, anche se qualcuno – anche giurista – in questi giorni ventila come eccessivo quanto accaduto a undici persone ora indagate per offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e istigazione a delinquere.
Bene quindi che si sappia la base giuridica e le effettive, legittime conseguenze di queste azioni.
Secondo il quotidiano “La Repubblica”, “le perquisizioni, estese agli account telematici e ai profili social degli indagati, hanno permesso il sequestro di numerosi computer, telefoni, Ipad e Laptop, utilizzati per rivolgere le offese al capo dello Stato”.
L’indagine per offese social a Mattarella
L’indagine è stata condotta dai Carabinieri del Ros dall’aprile del 2020 ed ha portato gli organi inquirenti ad ipotizzare che le minacce di morte rivolte al Capo dello Stato non fossero “semplice” odio online.
In altre parole, gli indagati sono accusati di aver impostato una vera e propria strategia per denigrare il Presidente della Repubblica e che l’intento fosse fomentare l’odio nei suoi confronti.
Da un account Twitter, quindi, si è passati ad un numero più elevato di persone coinvolte che, pare, utilizzassero anche account fasulli, con conseguente necessità di effettuare le perquisizioni avvenute ieri.
Quando si procede per reati di questo tipo, infatti, è prassi perquisire gli indagati ed effettuare il sequestro dei devices che si ipotizza siano stati utilizzati per commettere il reto per cui si procede.
Nel caso di specie si tratta di Offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica e istigazione a delinquere, ma la prassi operativa è analoga per reati come gli atti persecutori, l’accesso abusivo a sistema informatico o la diffusione di immagini o video sessualmente espliciti senza consenso, ossia il revenge porn.
Offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica e istigazione a delinquere: di cosa si tratta
L’articolo 278 del Codice Penale prevede che “Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
L’offesa può riguardare tanto la persona, privatamente intesa, del Presidente della Repubblica, quanto il suo operato o la sua funzione; il reato è procedibile d’ufficio ed è questo il motivo per cui i Carabinieri del Ros hanno operato direttamente.
L’istigazione a delinquere è un delitto previsto dall’articolo 414 del Codice Penale: “Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione:
- 1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
- 2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.
Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1.
Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.
Le frasi incriminate, apparse sulla stampa (fonte: La Repubblica) sarebbero “Va a quel paese”, “Bastardo”, “Devi morire”. E ancora: “Il popolo prima o poi si ribellerà. Questo è quello che vi meritate” e altre.
Va detto che la prima non appare, almeno a chi scrive, penalmente rilevante. Sulle altre andranno valutati diversi aspetti, primo fra tutti l’intento degli indagati.
Allo stato si può dire che, a fronte delle notizie apparse sulla stampa, l’unico elemento di rilievo sarebbe la “strategia” finalizzata a denigrare il Capo dello Stato.
Conclusioni
L’odio online ed il flaming sono fenomeni ormai consolidati e perfettamente conosciuti, così come le attività di indagine in materia sono perfettamente codificate e necessitano unicamente di sufficienti risorse.
Il clamore mediatico che può portare un’indagine a carico di soggetti politicamente esposti in cui viene lesa l’onorabilità di personaggi illustri direttamente sulla stampa nazionale: anche per queste ragioni indagini simili sono effettuate in modo efficace.
Non è sempre così per il semplice cittadino oggetto di odio online: a meno che non si tratti di fasce deboli (minori o minoranze discriminate) è molto difficile che vengano impiegate risorse rilevanti per campagne diffamatorie “semplici”.
Ecco perché capita di frequente che querele per diffamazione social siano archiviate perché – per assenza di risorse di indagine – restano ignoti gli indagati.
Il risultato è che per alcuni i social media possono diventare “luoghi” davvero ingestibili ed in cui è difficile difendersi con gli ordinari mezzi legali.