Il controverso “MAGA Restyling“, riguardante l’implementazione di strategie di moderazione e comunicazione volte a ridimensionare e filtrare i contenuti legati a movimenti politici controversi negli Stati Uniti, riflette il delicato equilibrio tra il diritto alla libertà di espressione e la responsabilità di limitare contenuti potenzialmente divisivi o dannosi.
Indice degli argomenti
La scelta di Meta e le implicazioni per la libertà di espressione
Questa scelta operata da META, giustificata dall’esigenza di prevenire fenomeni di disinformazione e radicalizzazione, ha sollevato una serie di rilevanti questioni sul ruolo delle piattaforme telematiche, come arbitri del cosiddetto “discorso pubblico”, mettendo in luce la grande complessità delle problematiche legate alla governance digitale e alla libertà di espressione, nell’ottica di stabilire i confini del dibattito democratico rispetto alla legittimità di scelte in grado di influenzare il pluralismo politico e culturale delle idee veicolate alla collettività.
Moderazione dei contenuti e percezione di imparzialità
In tale prospettiva, la rimozione, il de-prioritizing o la moderazione dei contenuti, anche se giustificati dalla necessità di ridurre l’impatto virale di narrazioni polarizzanti, rischiano di essere percepiti come un’ingerenza diretta nel processo di formazione dell’opinione pubblica, specialmente quando le piattaforme telematiche risultano decisive o comunque indispensabili nel facilitare la diffusione del discorso politico.
Il “MAGA Restyling” riflette un aspetto più ampio che riguarda la percezione globale dell’imparzialità delle piattaforme, nella misura in cui simili interventi potrebbe privilegiare o, all’opposto, marginalizzare talune visioni politiche ed economiche mediante specifiche strategie di moderazione, senza tenere conto della diversità culturale e politica riscontrabile a livello globale.
La sfida dell’equilibrio tra libertà di espressione e protezione dei dati
Come garantire che le decisioni adottate dalle piattaforme riflettano un equilibrio tra le esigenze degli utenti, la libertà di espressione e la protezione dai dati personali?
Non esiste una risposta aprioristicamente certa e assoluta: ad esempio, i governi e le organizzazioni internazionali potrebbero promuovere la creazione di organismi sovranazionali dedicati alla supervisione delle piattaforme, operando secondo principi di trasparenza, responsabilità e inclusività, nell’ottica di garantire che i processi decisionali delle piattaforme siano soggetti a meccanismi di controllo democratico.
L’interoperabilità e la competizione nel mercato digitale
Di certo, l’obiettivo di promuovere un ambiente digitale aperto, pluralista e inclusivo richiede un rinnovato impegno nella definizione di standard tecnici e normativi che favoriscano l’interoperabilità tra piattaforme diverse, anche al fine di stimolare una maggiore competizione nel mercato digitale. Ad esempio, l’adozione di protocolli aperti per la condivisione dei dati tra piattaforme potrebbe consentire agli utenti di migrare liberamente tra diversi servizi, realizzando un ecosistema più dinamico e meno centralizzato.
Le piattaforme come arbitri del discorso pubblico
Alle osservazioni sopraindicate costituenti questioni cruciali di portata generale, si aggiunge l’ulteriore considerazione che vede le piattaforme sempre più attive come attori chiave nel definire i confini della libertà di espressione, assumendo un ruolo che va oltre la mera moderazione dei contenuti.
Per tale ragione, le piattaforme devono essere viste come arbitri del discorso pubblico, con la capacità di decidere cosa sia accettabile o meno, oppure come garanti di uno spazio aperto che rispetti le diversità di opinione? Le scelte compiute al riguardo presentano implicazioni profonde sulla tenuta della democrazia e sulla partecipazione politica, specialmente in un’epoca in cui il dibattito pubblico si svolge prevalentemente online.
L’attuale modello di governance delle piattaforme tende a privilegiare un approccio reattivo di natura patologica in presenza di asserite lesività pregiudizievoli riscontrate, laddove le aziende intervengono per rimuovere contenuti considerati dannosi, spesso basandosi su criteri valutativi opachi, da cui discende il rischio di comprimere la libertà di espressione, alimentando altresì accuse di censura e favoritismi.
Normative e codici di condotta per bilanciare libertà e sicurezza
Pertanto, per evitare tali derive, è necessario sviluppare un quadro normativo che bilanci il diritto alla libertà di espressione con la necessità di proteggere gli utenti da contenuti illegali o dannosi, anche mediante l’introduzione di codici di condotta vincolanti, elaborati in collaborazione sinergica tra governi, società civile e gestori delle piattaforme medesime.
Tuttavia, come ormai il tempo e l’esperienza insegnano, il semplice sviluppo di regole non basta. Infatti, la complessità dell’ecosistema online richiede – soprattutto oggi – lo sviluppo di strumenti tecnologici avanzati per garantire l’equità e la trasparenza nei processi decisionali delle piattaforme. Ad esempio, l’uso dell’intelligenza artificiale per la moderazione dei contenuti potrebbe essere affiancato da audit indipendenti e da meccanismi di controllo pubblico. Tale approccio assicurerebbe che le decisioni algoritmiche siano allineate a standard etici condivisi e che gli strumenti di moderazione siano aperti a revisioni e miglioramenti continui.
La diversità culturale nel governo delle piattaforme
Un altro elemento cruciale riguarda la diversità culturale e linguistica. Poiché le piattaforme globali operano in contesti profondamente diversi, una regolamentazione uniforme rischia di ignorare le specificità locali. Pertanto, è fondamentale adottare un modello di governance flessibile, in grado di adattarsi alle esigenze di differenti comunità, mediante la creazione di comitati locali di supervisione, composti da rappresentanti della società civile, accademici ed esperti di settore, per garantire che le politiche di moderazione riflettano le sensibilità e i valori delle comunità di riferimento.
In tale contesto, si colloca perfettamente il particolare ruolo dell’Oversight Board di Meta, che rappresenta un tentativo innovativo di combinare un approccio centralizzato con una supervisione indipendente, nonostante la sua efficacia dipenda da una serie di fattori oltremodo complessi da realizzare concretamente nella prassi: tra cui la sua legittimazione, visione etica e impatto giuridico.
L’Oversight Board di Meta: innovazione e limiti
L’Oversight Board è, infatti, stato concepito come un’entità indipendente, ma la sua legittimazione deriva da una decisione unilaterale di Meta che ne definisce il mandato, le risorse e i limiti operativi. Questa condizione solleva interrogativi sulla reale autonomia del Board rispetto alla piattaforma che lo sostiene finanziariamente e ne determina l’esistenza, dato che un modello realmente efficace richiederebbe la creazione di organismi con una base giuridica esterna, preferibilmente collegata a istituzioni sovranazionali o alla preventiva stipulazione di accordi multilaterali.
Non è scevro da contraddizioni anche il punto di vista etico sottesa alla costituzione di un simile organismo, dal momento che si affronta la complessa sfida di bilanciare interessi divergenti, come garantire la libertà di espressione, prevenire i danni causati dai contenuti e rispettare le diversità culturali. Tuttavia, si può davvero considerare etico un modello che, pur puntando a rappresentare interessi universali, opera all’interno di una struttura definita e finanziata da un unico attore privato?
In ultima analisi, sotto il profilo giuridico, il lavoro dell’Oversight Board evidenzia la crescente privatizzazione della governance digitale e, sebbene i suoi giudizi abbiano un impatto rilevante, essi non sono vincolanti nel senso tradizionale del diritto internazionale o interno, ma rappresentano piuttosto una forma di soft law che influenza le politiche interne delle piattaforme. Tuttavia, questa dinamica potrebbe evolversi verso una maggiore formalizzazione attuativa mediante l’integrazione delle decisioni del Board in quadri normativi vincolanti a livello nazionale o sovranazionale.
Laddove si dovesse materializzare un simile scenario, il futuro della libertà di espressione online dipenderebbe dalla capacità di sviluppare modelli di governance che promuovano la responsabilità delle piattaforme senza soffocare il dibattito pubblico.
Governi, piattaforme e politica internazionale
Le scelte operative e strategiche delle grandi piattaforme tecnologiche, come Meta, non si limitano a influenzare la governance digitale, ma si configurano come veri e propri atti di politica internazionale. La capacità di una piattaforma di stabilire regole per miliardi di utenti e di determinare cosa sia accettabile o meno nei discorsi pubblici implica una forma di potere sovranazionale che si sovrappone alle prerogative degli Stati sovrani. Questo potere, esercitato talvolta attraverso processi decisionali opachi e non democratici, può alterare gli equilibri geopolitici, influenzare dinamiche sociali e plasmare le percezioni culturali in modo unilaterale e in contesti di forte polarizzazione, rendendo di fatto le piattaforme veri e propri arbitri di ciò che viene considerato verità o disinformazione, rispetto all’esercizio di una funzione che dovrebbe, invece, spettare a organismi istituzionali nell’ambito degli ordinari circuiti democratici.
Invero, il predominio delle piattaforme sul discorso pubblico non avviene in un vuoto normativo, ma interagisce con sistemi giuridici e politici già esistenti, creando tensioni irrisolte. Da un lato, gli Stati cercano di riaffermare il controllo sul cyberspazio attraverso leggi e regolamenti locali; dall’altro lato, le piattaforme agiscono come attori globali, resistendo a normative che limiterebbero la loro portata operativa e commerciale. Questo scontro si traduce spesso in normative frammentate che rafforzano le disparità tra Paesi in grado di regolamentare efficacemente la materia e Paesi tecnologicamente più vulnerabili, dove le piattaforme operano senza l’imposizione di vincoli significativi.
La questione diventa ancora più complessa nel contesto di regimi autoritari, atteso che, in tal caso, la pressione sulle piattaforme per collaborare con la censura governativa o per fornire accesso ai dati degli utenti può trasformare le aziende tecnologiche in strumenti di repressione.
Di contro, nei regimi democratici, la regolamentazione delle piattaforme deve trovare un equilibrio delicato e oltremodo difficile tra la protezione della libertà di espressione e la necessità di contrastare fenomeni come l’incitamento all’odio o la disinformazione.
Verso una regolamentazione globale coordinata
Il futuro della governance di Internet globale dipenderà, quindi, dalla capacità della comunità internazionale di sviluppare approcci normativi coordinati che superino l’attuale frammentazione. Modelli come il Digital Services Act europeo rappresentano un passo importante verso una regolamentazione trasparente e responsabile, ma restano limitati al contesto regolatorio euro-unitario di riferimento.
Per affrontare le implicazioni globali delle decisioni delle piattaforme, è necessaria, piuttosto, una cornice normativa più ambiziosa, che includa la creazione di organismi multilaterali dedicati alla regolamentazione del cyberspazio.
Un ulteriore aspetto cruciale riguarda la standardizzazione internazionale dei principi etici e operativi. La definizione di criteri condivisi per la moderazione dei contenuti, la protezione dei dati e la trasparenza algoritmica potrebbe ridurre le discrepanze tra le diverse giurisdizioni e normative, mitigando, al contempo, i rischi di abuso di potere da parte delle piattaforme. Tuttavia, un tale approccio richiede un significativo sforzo di cooperazione senza precedenti tra governi, società civile e attori privati, in un momento storico in cui il panorama geopolitico è segnato da profonde divisioni e tensioni.
La responsabilità sociale delle piattaforme
È importante nonché auspicabile, quindi, che le piattaforme assumano una maggiore responsabilità sociale, riconoscendo il loro rilevante ruolo di infrastrutture globali: ciò implica non solo una maggiore trasparenza nei processi decisionali, ma anche un impegno attivo nel promuovere l’equità.
Sarebbe quasi rivoluzionario, a titolo esemplificativo, investire nello sviluppo di strumenti che consentano alle comunità svantaggiate di accedere a risorse educative e tecnologiche al fine di colmare il divario digitale e a ridurre le disuguaglianze, dando prova tangibile di creare un ecosistema digitale che rifletta i principi di giustizia, equità e responsabilità inclusiva.
In uno scenario digitale in cui le piattaforme ridefiniscono continuamente i confini della libertà di espressione e delle relazioni geopolitiche globali, è davvero configurabile un modello di governance che garantisca un equilibrio tra interessi pubblici e privati, o viceversa si sta materializzando l’inesorabile avvento di un ecosistema digitale irrimediabilmente frammentato e plasmato da logiche economiche e politiche che perpetuano le disuguaglianze esistenti?