La “Strategia per la Crescita Digitale 2014-2020” appare, purtroppo, il classico prodotto a cui ci ha abituati la politica italiana.
Si parte da un’analisi seria, corretta e strutturata dei nostri attuali limiti, che sono molti e riguardano l’intero spettro di una transizione digitale molto lontana dall’essere compiuta, dalla componente infrastrutturale alla densità dell’utilizzo della rete fino alla scarsità di skills diffuse.
Si passa quindi ad una proposta di intervento che è un mix di riproposizione di interventi corretti e che come tali avrebbero dovuto già essere in vigore, come il fascicolo sanitario elettronico, e di suggestioni per il futuro non sempre all’altezza di un ambiente in continua mutazione, come gli interventi previsti per la scuola.
Infine si prende atto che in Italia in assenza di un massiccio intervento pubblico non è credibile parlare di un processo aggiornato di digitalizzazione, e contestualmente si mettono a disposizione risorse irrisorie per l’anno a venire, rimandando come sempre al triennio successivo maggiori ipotetiche disponibilità.
In questo modo si finge di ignorare che in questo campo esiste una strettissima connessione fra efficacia e tempi di un investimento, e ci si arrende al paradosso di Achille e della Tartaruga, rischiando di condannare così parte del Paese ad un digital divide di lungo periodo.
Si può fare di più e di meglio?
Senza alcun dubbio, a patto di capire che, piaccia o non piaccia, se parti in ritardo serve imparare a saltare, e questo costa volontà ma soprattutto denaro.