propaganda elettorale

Par condicio nell’era social, Morcellini: “Serve una legge al passo coi tempi”

In un’era in cui la costruzione del consenso politico e la propaganda elettorale sono traslati sui social, servono regole per garantire la parità sostanziale tra gli aspiranti candidati e soprattutto per permettere all’elettore una formazione piena e incondizionata del proprio diritto/dovere di voto. Il ruolo dell’Agcom

Pubblicato il 15 Feb 2019

Mario Morcellini

Professore ordinario emerito in Sociologia della Comunicazione e dei Media digitali alla Sapienza Università di Roma

garante privacy twitter

A pochi mesi da uno dei più importanti eventi elettorali degli ultimi anni, le elezioni europee di maggio prossimo, il sistema di tutele predisposto dal legislatore è ancora quello contenuto nella Legge 28 del 2000, meglio nota come Legge sulla par condicio. Si tratta di un sistema di norme nate e concepite per l’era analogica, distante anni luce da quella odierna.

Alla luce del ruolo rilevante assunto dal web e in particolare dai social network, quali strumenti per mezzo dei quali i cittadini si informano e si formano un’opinione politica, occorre senza dubbio una messa in sicurezza della comunicazione politica anche provvedendo ad una legge (nuova o meglio integrata) al passo con i tempi.

Cerchiamo quindi, in questa analisi, di esaminare il ruolo e gli interventi portati avanti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per il rispetto delle garanzie comunicative e dell’ indipendenza dell’informazione e di spiegare perché è urgente prevedere regole nuove, partendo dall’analisi dei processi di formazione dei consensi nei social network.

La par condicio ai tempi dei social network

Quando venne varata la Legge sulla par condicio, come tutti ricorderanno le emittenti nazionali all’epoca esistenti non superavano la decina. Forse le più numerose erano proprio le emittenti locali che davano voce ai candidati più vicini al corpo elettorale. Diverse erano poi le previsioni per la stampa nonché per la disciplina della realizzazione e diffusione dei sondaggi.

Abbiamo ampiamente registrato e documentato ciò che è accaduto, invece, lo scorso anno con le elezioni politiche del 4 marzo. Tutte le previsioni contenute nella Legge e rivolte ai media tradizionali, sono state raggirate dalla gran parte dei candidati attraverso l’uso della comunicazione politica nei social: uso improprio dei sondaggi, violazione del silenzio elettorale, messaggi a pagamento senza alcuna riconoscibilità da parte dell’elettore e via dicendo.

Le attività di ricerca condotte da tempo da Agcom, divenute più intense e sistematiche negli ultimi tempi, hanno dimostrato che nel corso delle ultime campagne elettorali le piattaforme digitali e, in particolare, i maggiori social network hanno assunto un ruolo rilevante quali mezzi di accesso alle informazioni utilizzate dai cittadini italiani per formarsi un’opinione in vista del voto.

Più in generale, le dinamiche di formazione dell’opinione pubblica, in forza della diffusione di notizie attraverso le piattaforme digitali, sono particolarmente rilevanti ai fini di una specifica declinazione del principio pluralistico, nella sua accezione di apertura del mezzo informativo alle diverse tendenze politiche e culturali.

Non si tratta solo di ristabilire le regole del gioco valide per tutti. Si tratta di dotare il nostro sistema comunicativo, oggi traslato in gran parte sulle piattaforme di condivisione, di regole tali da garantire la parità sostanziale per gli aspiranti candidati e soprattutto permettere all’elettore una formazione piena e incondizionata del proprio diritto/dovere di voto.

Tra obsolescenza legislativa e difficoltà regolatoria

Occorre quindi domandarsi quale regolamentazione sia possibile adottare in tali contesti. Una possibile risposta è racchiusa già nel nome che il legislatore ha voluto attribuire all’Agcom: Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; mi soffermo sul titolo in quanto la sua portata non si limita certo alle tutele nei confronti dei mezzi di comunicazione presenti al momento della sua istituzione, avvenuta oltre un ventennio fa, ma racchiude, in chiave evolutiva, ogni forma di diffusione di massa quale: stampa, televisione, internet.

Pensate per un attimo all’articolo 21 della nostra Carta fondamentale e domandatevi se i padri costituenti, nel 1947, avevano in mente smartphone, tablet, web tv e internet. Il diritto/dovere di informare e di essere informati non conosce barriere e limiti. Tant’è che un’offesa commessa attraverso internet, ad esempio, equivale a quella commessa per strada.

Allo stesso modo oggi dobbiamo dotare la nostra cassetta degli attrezzi di ogni forma di tutela al passo con i tempi e con le tecnologie. È altrettanto doveroso adoperarsi nell’attualizzare le previsioni sulla par condicio al tempo della rete partendo proprio dal titolo della Legge 28/00: Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica.

È evidente che, allo stato attuale, internet e social network rappresentano a tutti gli effetti mezzi di informazione. Ne consegue che Agcom non può non disciplinare effettivamente il traffico digitale della nuova comunicazione politica.

Consapevoli, dunque, del vulnus normativo della Legge 28/00, l’Autorità, in tempi non sospetti, ha varato (con la delibera n. 423/17/CONS) un’importante Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali. Proprio in forza delle preoccupazioni sulla “riduzione” degli stimoli dell’informazione (che profilano quasi un approvvigionamento automatizzato delle news), l’Autorità ha avviato un’attenta indagine sul cambiamento dell’informazione promosso dalle piattaforme digitali. Queste ultime hanno infatti assunto un ruolo di primo piano quali promotori di accesso alle informazioni utilizzate dai cittadini italiani per formarsi un’opinione e spesso per rafforzarla soprattutto nel campo della politica. Più in generale, le dinamiche di formazione dell’opinione pubblica, mediante la diffusione di notizie attraverso le piattaforme digitali, sono particolarmente rilevanti ai fini di una specifica declinazione del principio pluralistico, nella sua accezione di apertura del mezzo informativo alle diverse tendenze politiche e culturali.

Chi studia la società italiana senza subire eccessivamente la pressione delle mode sa che la comunicazione politica[1] in Italia non è solo cambiata: ha subito una vera e propria torsione in termini sia di forza competitiva che di impatto sui pubblici. In verità, la domanda sui cambiamenti è inoltre poco precisa se non si interroga sui processi di sostituzione che media e reti stanno esercitando rispetto ai politici e agli stessi partiti.

È come se il lungo declino delle ideologie, la rottamazione di una partecipazione non puramente costituita da applausi e dai “mi piace”, e soprattutto l’ennesimo rinvio di una rigenerazione di una politica fondata sui valori, avessero sinergicamente svuotato la politica della sua naturale dimensione etica, riducendo dunque la densità e la forza di mobilitazione della comunicazione politica.

Quel che ha caratterizzato le ultime competizioni elettorali raramente ritrova precedenti nella storia dell’Italia moderna: reti televisive, testate e soprattutto rimbalzi chiassosi della rete hanno letteralmente messo in piedi macchine propagandistiche e schieramenti di fatto che hanno alla lunga documentato un collateralismo con vecchie e nuove proposte politiche da un lato e l’esercizio dell’informazione dall’altro. Tutto questo ha reso più difficile il compito di chi doveva sorvegliare il rispetto delle garanzie comunicative e una chiara indipendenza dell’informazione, che significa anche un minimo di parità di accesso ai media. E ciò è successo per due buone ragioni: da un lato, i potenti della comunicazione non nascondono qualche allergia di fronte al promemoria delle regole, dall’altro la qualità delle narrazioni politica, soprattutto a causa della degradazione dei talk show, ha rappresentato un pezzo dell’incattivimento e delle campagnecontro così tipici dell’amaro contesto sociale e politico che stiamo vivendo.

La questione che però si pone è proprio quella dei talk show, veri ambasciatori della riclassificazione dei prodotti editoriali. Essi accanto all’informazione spettacolo hanno avuto il merito storico di allargare i confini del pubblico; ma se oggi concorrono a rendere l’informazione irriconoscibile, il prezzo diventa davvero troppo alto.

Oltre la regolazione. Il rafforzamento del ruolo di studio di Agcom

Il mutato contesto sociale e culturale, dunque, non ha prodotto un aggiornamento legislativo, con la conseguenza che la valenza più incisiva della disciplina della par condicio è stata rafforzata dalle norme di attuazione di Agcom che, di fatto, hanno dettato criteri finalizzati ad assicurarne il funzionamento. Vanno ricordate le numerose delibere (n. 22/06/CSP; n.167/07/CSP; n. 1/18/CONS) con cui l’Autorità ha ribadito in più occasioni che le trasmissioni di informazione devono uniformarsi ai principi del pluralismo dei punti di vista, obiettività, completezza, lealtà e imparzialità, con l’obiettivo di stabilire ulteriori regole agli operatori radiotelevisivi e fornitori di contenuti sull’osservanza dei principi volti a salvaguardare l’interesse informativo dei cittadini.

L’Autorità, inoltre, ha portato avanti un delicato esperimento di coregolamentazione e autoregolazione attraverso il Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali, aperto a tutti gli stakeholders. Il Tavolo ha prodotto le “Linee guida per la parità di accesso alle piattaforme online durante la campagna elettorale 2018”, all’esito delle quali le piattaforme digitali hanno messo a disposizione dei propri utenti alcuni strumenti di contrasto alla disinformazione online.

Si tratta di tentativi di superamento delle criticità di sistema che si spingono ad interpretare le maglie della normazione per trovare nuovi ambiti di competenza rispetto a tutte le forme della comunicazione.

C’è dunque l’inderogabile necessità di valorizzare e mettere in sicurezza il lavoro svolto con una più chiara attribuzione di competenze dell’Autorità di fronte a campagne elettorali che si svolgono in larga misura su piattaforme digitali. In estrema sintesi, ricorrendo ancora una volta a quanto sottolineato con enfasi da Caravita, “si possono stringere le regole, fissare paletti più severi per il rispetto della privacy, impedire la circolazione incontrollata delle informazioni personali, responsabilizzare gli operatori dei social network (da Google a YouTube e agli altri OTT, da Facebook a WhatsApp, da Instagram a Telegram, da Viber alle mille altre diavolerie che potranno essere inventate)”[2].

Il drammatico vuoto normativo in tema di par condicio sul fronte dei social network non può però essere interpretato come spinta all’inazione, perché è possibile anche subito intraprendere la nuova strada. Il punto di partenza consiste nella Segnalazione che, come Agcom, possiamo e dobbiamo adottare nei confronti del Governo per una messa in sicurezza della comunicazione politica nostro paese, anche provvedendo ad una legge (nuova o meglio integrata) al passo con i tempi.

La valutazione sulla coerenza e funzionalità dei presidi normativi posti attualmente a tutela della correttezza dell’informazione non può prescindere da un aggiornamento di tale Legge, che tuttavia ne garantisca la valorizzazione dello spirito originario.

Come ha ricordato il Presidente Cardani nella Relazione al Parlamento del 2018 “Per il futuro ritengo che, pur nel rispetto dell’indipendenza delle scelte editoriali e della libertà dei palinsesti informativi, sarebbe nell’interesse del Paese e dei cittadini disporre di una informazione e comunicazione politica più vocata al contraddittorio e alla condotta responsabile, seguendo l’esempio di altri paesi le cui Autorità codificano e vigilano su regole di comportamento nei periodi elettorali e non, con il rispetto dovuto agli organi dello Stato”.

Solo chi possiede i dati informativi essenziali può decidere a ragion veduta. Chi se li veda sottratti non potrà scegliere nulla. Peggio, sarà indotto a deliberare qualcosa di diverso da ciò che immagina di decidere.

Paolo Flores d’Arcais, il Sovrano e il dissidente – Garzanti, Milano, 2004, pag. 27

Sappiamo che le oligarchie massmediali sono spesso collegate alle oligarchie economiche e/o alle oligarchie partitiche. E sappiamo che, proprio per le caratteristiche del pubblico, dei molti, la demagogia e una tentazione sempre ricorrente nella democrazia, se le classi dirigenti non sono adeguatamente attrezzate per contrastarla.

Domenico Fisichella, Denaro e democrazia – Il Mulino, Bologna, 2000

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  1. Morcellini M., “Se la comunicazione mangia la politica”, Formiche, n. 142, dicembre 2018.
  2. Caravita B., “Social network, formazione del consenso, istituzioni politiche: quale regolamentazione possibile?”, federalismi.it, n.2/2019.

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