Il “passaporto vaccinale europeo” o Green Pass, che secondo il commissario Europeo all’industria Thierry Breton dovrebbe essere disponibile fra due o tre mesi, dovrebbe avere effetti sulla ripresa del turismo e potrebbe riattivare i flussi verso l’Italia: il nostro paese ha subito un buco di circa 27 miliardi nelle spese dei viaggiatori dall’estero che sono crollate del 61% nel 2020 rispetto all’anno precedente, toccando il minimo da almeno venti anni.
Si accende, dunque, una flebile speranza per uno dei settori trainanti per la nostra economia. I segnali, a livello internazionale, cominciano a intravedersi.
Con la vaccinazione contro il Covid 19 in corso, a vari livelli, più o meno in tutto il mondo, e con la ripresa degli eventi aperti al pubblico dopo oltre un anno (l’ultimo esempio in ordine di tempo è il Gran Premio di Formula 1 del Bahrein pochi giorni fa, al quale, per accedere, bisognava dimostrare di essere vaccinati, avere avuto il Sars-COV2 o avere un test Covid negativo eseguito nelle precedenti 48 ore) il mondo sta infatti lentamente scuotendosi dal torpore della pandemia e sta cercando, in qualche modo, di ricominciare a vivere.
Chiaramente, per fare in modo che la popolazione ricominci a uscire dalle proprie abitazioni, è necessario che la stessa non corra alcun rischio. E a questo proposito, dal momento in cui sono iniziate le sperimentazioni sul primo vaccino (Pfizer-Biontech), si è contestualmente iniziato a parlare di passaporto vaccinale, con le compagnie aeree in prima fila, che, ovviamente, sono le prime a essere interessate.
Passaporto vaccinale, si muovono le compagnie aeree
Qualcosa sta cominciando a muoversi. Dopo il lancio del passaporto vaccinale per i voli nazionali in Cina, Air New Zealand sta per lanciare un’applicazione allo scopo. E, ovviamente, anche gli USA si stanno muovendo in tal senso (le compagnie aeree chiedono una guida federale sulle credenziali sanitarie temporanee per monitorare i test COVID-19 negativi – i cosiddetti tamponi – e le vaccinazioni dei viaggiatori.), nonostante l’Authority per il controllo delle malattie abbia sconsigliato di viaggiare alle persone vaccinate.
A proposito degli Stati Uniti, va detto che la scorsa settimana, New York aveva annunciato l’imminente lancio di Excelsior Pass, il certificato vaccinale dello Stato, messo tecnicamente a punto dall’IBM: sostanzialmente un codice di riconoscimento QR fornito all’utente attraverso una blockchain per garantirne la sicurezza. Un documento essenziale per la ripresa dell’attività economica in settori (dalle crociere agli stadi, ai voli) che sperano di poter riprendere in pieno l’attività proprio grazie alla possibilità di verificare l’immunizzazione di passeggeri e spettatori.
Subito dopo si è mossa la Casa Bianca: anche il governo federale vuole arrivare alla certificazione, ma si è subito imbattuto in due grosse difficoltà. In primo luogo, la babele delle 16 iniziative già in campo: da quella di New York a quella dell’Organizzazione mondiale della Sanità, passando per il Travel Pass della IATA (trasporto aereo) e la Vaccine Credentials Iniatitive di alcune aziende private come Microsoft, Oracle e Salesforce che si sono associate con l’organizzazione sanitaria della Mayo Clinic.
Le domande da farsi sul passaporto
A questo punto, alcune domande sono necessarie.
La vaccinazione è veramente garanzia di una minore possibilità di contagio?
La risposta pare essere incerta, nel senso che non sappiamo con esattezza se, una volta effettuato il vaccino, siamo in grado di trasmettere il virus, per cui, il passaporto vaccinale può essere utile soltanto nel caso in cui ci siano con noi altre persone vaccinate e/o persone immuni
Cosa attesta il passaporto vaccinale?
Di certo non attesta che abbiamo debellato il Covid-19, ma soltanto che noi individui siamo protetti contro il virus (e comunque non sappiamo per quanto tempo durerà la nostra “protezione”, se veramente ci potrà proteggere da altre varianti ecc ecc).
Chi potrà accedere ai nostri dati personali/i nostri dati sono al sicuro?
E questa, dal nostro punto di vista, sembra essere la domanda più importante. Ovvero: finché ci rechiamo in aeroporto il problema si pone in maniera limitata (la/le compagnie aeree che normalmente utilizziamo hanno già gran parte dei nostri dati personali e sensibili: magari non conoscono la nostra posizione politica, ma hanno i dati identificativi, quelli della (o delle) carte di credito che abitualmente usiamo, sanno quale tipologia di posto ci piace e quanti punti abbiamo sul programma di miglia che utilizziamo. E fin qui non sarebbe dunque un problema: forniamo tutti i nostri dati ad altre entità (banche, carte di credito, PA, tanto per fare dei nomi) perché sappiamo che queste entità, principalmente per merito del GDPR (e delle normative preesistenti) non hanno interesse alcuno a non proteggere adeguatamente i nostri dati (anzi!)
Ma cosa succederebbe se, per esempio, dovessimo mostrare il nostro certificato vaccinale al pub dove andiamo da sempre (e dove andavamo prima della pandemia)? Ancora non sappiamo come sarà gestita con esattezza. E, visto che, secondo la presentazione di pochi giorni fa di Breton, si è deciso di optare per un QR code da mostrare, invece di un’app, quanto possiamo essere ragionevolmente sicuri che, ad esempio, non possa venire contraffatto?
Il rischio contraffazione
Gli esempi non mancano, e la realtà supera la fantasia.
La moda del momento, negli USA, è quella di fotografare il certificato di vaccinazione per pubblicarlo sui social. Queste schede contengono informazioni personali come il nome del proprietario, la data di nascita e il luogo di vaccinazione. La pubblicazione di quelle schede potrebbe aiutare i truffatori a creare e vendere schede false o persino ad hackerare account? Non solo lo è, ma sta già succedendo. Si stanno diffondendo schede vaccinali contraffatte con informazioni errate sulla vaccinazione con il rischio di mettere in pericolo l’intera popolazione statunitense.
Le schede sono spesso vendute online e arrivano vuote, quindi gli acquirenti possono riempirle.
Generalmente sono acquistate da coloro i quali non vogliono essere vaccinati o non sono ancora stati vaccinati ma che temono di trovarsi in situazioni per le quali potrebbe servire un documento simile.
Al di là dell’illegalità e dell’immoralità del gesto, queste schede possono rappresentare un pericolo per gli altri; pensiamo al rischio per la sicurezza. Chi vorrebbe salire su un aereo se qualcuno avesse una scheda falsa?
Questo dubbio (negli USA c’è anche l’aggravante che non esiste un database nazionale con riferimento alle vaccinazioni per cui si è costretti a fidarsi del cartaceo, per non parlare di una deputata della destra estremista di QAnon a cui non pare vero di aggiungere caos al caos, non si è fatta sfuggire l’occasione per spararla: «È il modo in cui Biden ci vuole marchiare a fuoco».) se lo è posto anche l’Unione europea, parlando della necessità (che ora sembra, ci auguriamo, superata con il QR Code, sia per smartphone sia in cartaceo) di individuare una tecnica di certificazione che non si presti a falsificazioni e a furti di dati personali (nel dark web già vengono offerte, insieme a dosi “pirata” di vaccino, anche passaporti vaccinali falsi, a 150 dollari).
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Il passaporto vaccinale europeo, una speranza per il turismo
Il passaporto vaccinale potrebbe essere una svolta per salvare il turismo estivo dopo che sei viaggiatori stranieri su dieci (59%) hanno dovuto rinunciare a venire in Italia nel 2020 per un totale di 57 milioni di turisti bloccati alle frontiere dall’emergenza. E nel lockdown di Pasqua 2020 è praticamente azzerato anche quello nazionale con un italiano su tre (32%) che aveva programmi di viaggio per vacanze, gite fuori porta o visite a parenti e amici durante le feste di Pasqua e Pasquetta. L’assenza di stranieri in Italia grava sull’ospitalità turistica nelle mete più gettonate che risentono notevolmente della loro mancanza anche perché i visitatori da paesi europei hanno tradizionalmente una elevata capacità di spesa.
A essere penalizzate sono state soprattutto le città d’arte, che sono le storiche mete del turismo dall’estero, ma anche gli oltre 24mila strutture tipo agriturismo nazionali dove gli stranieri in alcune regioni rappresentano tradizionalmente oltre la metà degli ospiti.
Gli effetti della mancanza di vacanzieri si trasferiscono a valanga sull’insieme dell’economia per le mancate spese per alloggio, alimentazione, trasporti, divertimenti, shopping e souvenir. Non è un caso che nel 2020 a far registrare il risultato più negativo nei consumi sono stati gli alberghi e i ristoranti con un calo del 40,2% seguiti dai trasporti che si riducono del 26,5% e dalle spese per ricreazione e cultura che scendono del 22,8%