le misure

Per le Pmi il Governo fa poco: startup è bello ma non basta

È necessario estendere l’attenzione e le misure oggi a favore principalmente delle startup innovative anche all’innovazione delle PMI, che costituiscono gran parte del tessuto imprenditoriale del Paese. Con politiche che curino anche le reti d’impresa e lo sviluppo della cultura digitale e di e-leadership.

Pubblicato il 27 Nov 2014

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La ripresa economica passa innanzitutto da una trasformazione profonda del modo di fare imprenditoria, e non solo dallo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali. Lo dimostra il lancio dell’iniziativa europea Euromentors for Digital Entrepreunership, finalizzata a creare una rete di supporto allo sviluppo di una imprenditorialità che sfrutta le opportunità del digitale.

L’enfasi che, soprattutto in Italia, si è data alla nascita di startup innovative, anche con la definizione di un “registro” ad hoc (sono oltre 2800 le startup innovative registrate), ha certamente contribuito a creare maggiori possibilità e un ambiente favorevole per i giovani imprenditori, anche con misure di sistema (finanziarie, normative, ma non solo, promuovendo la costituzione di ecosistemi innovativi). Ma allo stesso tempo è evidente la carenza di politiche finalizzate a favorire l’innovazione delle imprese (dal punto di vista dei processi, dei prodotti, dei servizi, ma soprattutto della capacità di comprendere e sfruttare appieno le opportunità del digitale), a scapito soprattutto delle PMI e delle microimprese, che rappresentano oltre il 98% delle imprese italiane.

La fotografia del fenomeno era stata data qualche mese fa dal rapporto regionale dell’Innovation Scoreboard della Commissione Europea, dove si rilevava chiaramente che, tranne qualche eccezione in alcune regioni (come Piemonte, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia), le percentuali italiane di PMI innovative sono molto basse e ancor meno consistenti se si considera la popolazione di lavoratori coinvolti (vedi anche il recente rapporto europeo sullo stato delle PMI).

Diventa fondamentale, così, l’avvio di iniziative e politiche che vadano nella direzione chiara di privilegiare quelle imprese (soprattutto PMI) che “rischiano” di innovarsi, costruendo le condizioni perché questi processi di innovazione possano essere intrapresi e sviluppati. Come fare?

Due passaggi obbligati per abbassare le barriere d’ingresso all’innovazione e per aumentarne la sostenibilità sono sul fronte della semplificazione delle normative e dell’accesso ai dati:

  • semplificazione da intendersi sempre più come riduzione degli adempimenti amministrativi e delle richieste di documentazione alle imprese, switch-off verso un’interazione del tutto digitale con la PA, intervenendo anche sul Codice degli Appalti e sulle regolamentazioni correlate (prima di tutto rispetto a quanto oggi previsto per la partecipazione ai bandi di gara);
  • accesso ai dati, da assicurare in modo ampio attraverso una politica organica e chiara che consenta il pieno sfruttamento dell’opportunità degli open data, con un’attenzione specifica per tutto ciò che semplifica e favorisce il riuso dei dati, nella direzione dell’omogeneità della loro strutturazione (ontologie, metadati) e della qualità.

A questi punti si dovrebbero associare, come da più parti auspicato, politiche volte a inquadrare il tema dell’innovazione delle PMI in un contesto strategico più ampio e di medio termine dove

  • si definisce e si riconosce lo status di PMI innovativa, secondo parametri vari di investimenti in innovazione, piuttosto che di presenza di brevetti, di knowledge worker, ma anche di parametri legati all’adozione di nuovi modelli di lavoro;
  • si affronta il tema dei finanziamenti (crowdfunding e private equity) inteso come strumento utile per il supporto alle nuove iniziative, nell’accezione più ampia di imprese che si innovano, e quindi intraprendono un nuovo modello di business per sviluppare una crescita molto significativa in un tempo molto rapido;
  • si costruiscono le condizioni sempre più favorevoli per la realizzazione di reti di imprese, anche agevolando quelle strutture (come gli spazi gestiti di coworking) che possono costituire il riferimento per politiche specifiche di accelerazione dei processi di innovazione di neo-imprese e imprese già sul mercato, favorendo la contaminazione e lo sviluppo di collaborazione tra loro.

Questi interventi hanno bisogno di una condizione fondamentale: lo sviluppo della cultura digitale nelle PMI, che deve essere supportato e accompagnato. Partendo dagli imprenditori, con un insieme organico di iniziative capillari di supporto che integrino mentoring e approccio peer-to-peer, favorendo la condivisione dell’esperienza tra imprenditori, con sviluppo di “creatività digitale”, favorendo l’innesto di giovani con elevate competenze digitali all’interno delle piccole e medie imprese, ampliando e rendendo organiche alcune sperimentazioni già fatte in questa direzione (vedi ad esempio nell’ambito dell’iniziativa eccellenze in digitale). Perché la capacità di innovare passa prima di tutto dall’acquisizione di una cultura e di una consapevolezza digitali profonde, da una competenza di e-leadership essenziale per la trasformazione digitale oggi sempre più urgente e necessaria. E da cui molto dipende l’innovazione e la ripresa del sistema Italia.

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