Ma perché abbiamo ancora bisogno di musei? Chiediamocelo, ai tempi del digitale e delle distanze fannullabili con un clic. Che senso ha la nostra presenza in un luogo fisico-collezione di oggetti?
Una prima risposta: siamo animali onnivori. Passiamo le nostre giornate a raccogliere cose, guardare immagini incuriositi dalle novità con la voglia di immergerci nelle storie di altri per farle un poco proprie. I musei sono i luoghi dove fino ad ora si erano conservate queste cose, le miniere, i caveau di opere d’arte, archivi di storie. Che sia per raccontarle o che sia solo per possederle e metterle da parte è comunque a partire dal collezionismo e dai musei che partiamo per lavorare sul nostro immaginario.
Una seconda risposta può essere legata alle connessioni che creiamo quando immaginiamo e pensiamo. Quando mettiamo insieme costruiamo connessioni, uniamo punti dando senso a tutto quello che vediamo.
Il museo, fa questo: costruisce connessioni a livello istituzionale secondo maglie strette.
Maglie un tempo legate all’enciclopedismo, allo studio per materie e temi. Oggi allargate dal collezionismo come forma di arte contemporanea innanzitutto e dall’attitudine che si è sviluppata all’interno delle mostre di collegare luoghi a opere d’arte secondo connessioni decise dai curatori.
I musei sono luoghi dove si conservano oggetti e storie, archivi e miniere, memorie di dati e di materiali.
Tutto questo arricchisce di giorno in giorno il nostro patrimonio. Abbiamo anche imparato che tenere tutto questo per noi non serve a nulla, diventa un fardello inutile. Solo confrontandolo mettendolo in circolo produce, restituisce soddisfazione alla fatica.
A livello individuale lo facciamo nelle nostre case e lo mettiamo in rete con le cose che disponiamo. La rete è il primo di questi elementi: una soglia di scambio, la soglia tra noi e gli altri che attraversiamo ogni giorni per conoscere e farci conoscere. Una soglia tanto larga che è diventata territorio e ha bisogno di mappe di parole chiave, adotta etichette, hashtag per aiutare l’attraversamento.
Ma una terza risposta arriva da quello che possono fare i musei per noi oggi e che possiamo fare noi ai musei. Le connessioni che si creano tra interno e esterno dei musei.
In forma un poco più larga le connessioni le creano le persone che ne fanno visita che mettono insieme secondo percorsi individuali e personali ma che raccontano dove sta la natura che interessa oggi intorno all’oggetto museo: l’esperienza, che deve essere originale.
In questa possibilità sta l’attuale potenza del sistema museo: alimentare ed essere alimentato dai percorsi di condivisione in rete, dalla possibilità di costruire una collezione effimera di senso rappresenta e commenta l’esperienza mussale che non è più una esperienza di pezzi originali ma che è essa stessa originale.
La questione non è più la ricerca di originali ma l’originalità di una esperienza che si manifesta intorno alla condivisione e nel fare circolo della propria esperienza in forma di racconto – che siano 140 caratteri o più- , di immagini mostrate su Instagram o con la pubblicazione di brevi video su Viddy o Youtube. In altre parole lo storytelling individuale che viene messo in rete che non si limita più a consumare ma utilizzando “le cose” di internet di Tom Keeley.
Questo allarga potentemente il pubblico del museo e lo hanno capito le imprese che lavorano nel marketing culturale: offrire connessioni, offrire la possibilità di partecipare a immaginari culturali tessere storie intorno al grande patrimonio che disponiamo e che è collezionato in forma di originale dentro i museo e che trovano originalità nei percorsi narrativi degli utenti.
In chiusura il museo è un inesauribile deposito di contenuti che alimentano i discorsi della rete. Usando la la potente struttura della rete e delle sue “cose”, le persone rappresentano i facilitatoti onnivori che si alimentano e alimentano di contenuti la rete. #MuseumWeek