Gli eSport sono un argomento estremamente caldo. A giugno, difatti, si è tenuta la prima Olympic Esport Week della storia che ha visto scontrarsi professionisti e amatoriali in una serie di sport elettronici scelti dal CIO.
Le proposte educative legate agli eSport
Gli eSport stanno finalmente diventando un argomento serio anche fuori dall’Estremo Oriente e perfino in Italia.
Quando sono stata a Didacta con Scuola di Robotica ho avuto modo di conoscere proposte educative legate proprio agli sport elettronici. Ho scoperto che Maker Camp con CampuStore stanno portando avanti da un paio di anni una competizione (Lega scolastica eSports) tra istituti superiori, finalizzata, tra le altre cose, a contrastare l’abbandono scolastico e a diffondere conoscenza STEM. Infatti, parallelamente alle sfide, le scuole verranno aperte al pomeriggio, permettendo ai ragazzi di allenarsi, di trovarsi e di apprendere nozioni di coding e game design. In questo articolo voglio spiegare perché praticare un eSport presenta tutti i vantaggi di un’attività sportiva tradizionale.
eSport dalla Corea all’Italia
Mi torna in mente tutta la bufera che riguardò la Corea del Sud, prima che anche da noi si diffondesse la cultura del gaming professionale. I ragazzi, campioni mondiali di eSport, venivano dipinti nell’Occidente come disagiati sociali che si chiudevano in casa per alienarsi davanti allo schermo. Niente di più falso. Quasi mai i sudcoreani si chiudono nei propri appartamentini. I locali di città come Seoul sono attrezzati per avere pc da gaming, room per il karaoke e palestre ovunque. Provare per credere! Insomma, da loro i videogame sono mezzi di socialità. I ragazzi escono, si incontrano, si allenano, e possono anche fare del loro talento una professione remunerata.
Grazie a iniziative come la Lega Scolastica Esports portata avanti da Vigelini (CEO di Maker Camp e tra i massimi esperti al mondo di Minecraft e di didattica con i videogiochi) gli istituti italiani possono diventare veri luoghi di incontro e di confronto intergenerazionale, grazie all’apertura che solo i videogame sanno offrire. Ricordo Mizuko Ito, teorica del connected learning, la quale vedeva nel medium videoludico un canale estremamente forte di apprendimento connesso (alla rete) e interconnesso (alla rete sociale). I ragazzi giocano e, in seguito, grazie a internet, ampliano la propria community di interesse, collegandosi ad altri che condividono la medesima passione. Da qui dilatano la conoscenza, passando da interesse a interesse, guidati dalla community e dai mentori che scoprono attraverso essa.
Gli studenti cercano guide e non vogliono essere ignorati. Hanno bisogno di essere osservati, riconosciuti dall’adulto per quello che sono. Il riconoscimento fa in modo che lo studente senta finalmente di poter scambiare qualcosa di valore con il proprio mentore, ponendosi alla pari all’interno della logica del dono, in grado di ricambiare (e quindi di accogliere) l’insegnamento del docente. L’allievo riceverà pienamente dall’adulto solo quando si sentirà di restituire qualcosa a sua volta. L’educazione deve essere sempre simmetrica, per essere efficace e per supportare la costruzione di auto-efficacia e autostima. Però l’adulto, docente o dungeon master che sia, deve superare i propri pregiudizi e mettersi in ascolto degli interessi dei giovani, che spesso sono proprio i videogame. Il docente, in questo modo, diventerebbe una figura di grande importanza anche all’interno della pratica di gaming, consentendo al ragazzo di acquisire metodi di analisi e aiutandolo a fare collegamenti con le materie stem e non solo.
eSport o non eSport?
Innanzitutto va scardinata l’idea che i videogame non siano sport. Prima di tutto occorre fare un passo indietro e riconsiderare il significato di attività sportiva e la sua storia.
In ogni cultura gli individui si sono trovati a praticare sport per ragioni di divertimento, di religione e di prestigio. Nella Grecia dove nacquero le Olimpiadi gli atleti si sfidavano per coltivare la propria eccellenza (aretè). Questa Eccellenza ha un corrispettivo culturale nella super-competitiva Corea. Qui i bambini crescono con l’obiettivo di eccellere in qualunque cosa, così da essere motivo di vanto familiare e sociale. Chi non dà il massimo nell’attività che ha scelto di perseguire, qualunque essa sia, da WoW al pianoforte, non può che essere condannato alla rabbia coreana (sentimento di cui ho ampiamente parlato qui e qui).
Eccellenza, allenamento, pedagogia negli eSport
I filosofi si sono interrogati da sempre del significato di sport e quindi del legame tra mente e corpo.
Platone e Aristotele vedevano la ginnastica come parte fondamentale del percorso educativo e del raggiungimento del meglio personale. Platone, nonostante pensasse che il corpo fosse il polo negativo, allontanamento dal mondo delle idee, credeva che la ginnastica contribuisse a temperare l’anima, per questo rappresentava una disciplina finalizzata alla Virtù. Una sorta di ghiandola pineale ante-litteram in grado di unire, insieme all’amore, anima e corpo altrimenti divisi anche moralmente?
In effetti parte fondamentale delle attività sportive è proprio la disciplina, l’allenamento e il superamento dei propri limiti. Secondo questo aspetto, allora, rientrano pienamente tutti gli eSport, i quali prevedono un allenamento continuativo, disciplina, sacrificio e preparazione scientifica avente il fine di battere il proprio record ben espresso numericamente sullo schermo.
Anche il loro beneficio, l’aretè che procurano è riconosciuta dalla letteratura scientifica: miglioramento della coordinazione occhi-mani; maggiore attenzione e acutezza visiva; abilità di pensiero strategico e problem solving; competenze sociali; migliori risultati accademici, soprattutto nelle STEM.
Concetti sfumati
La domanda se gli eSport rientrino o meno nel concetto non è una domanda con una risposta univoca, ma per la natura dei concetti e non degli eSport. La rappresentazione concettuale non è una descrizione composta da condizioni necessarie e sufficienti. Al contrario è un misto di prototipo, esemplari e concetti come theory-theories. Insomma, seguendo anche le dimostrazioni sulle Cas (architetture cognitive) portate avanti da Antonio Lieto e da Marcello Frixione, i concetti possono essere rappresentati come spazi topologici, in cui l’esattezza viene meno e al suo posto troviamo il senso della continuità e della prossimità. Uno stesso spazio è composto da punti che sono le caratteristiche del concetto, mentre la parte convessa, in cui rientrano le più frequenti, è il prototipo. Insomma questi ultimi emergerebbero come conseguenza delle caratteristiche topologiche del modello. Se pensiamo allo sport da un punto di vista geometrico, al centro non troveremmo come migliore esempio gli eSport, ma nemmeno gli scacchi, le arti marziali, l’automobilismo; tuttavia ognuno di essi rientrerebbe all’interno dello spazio, con esemplari e quindi come punti di contiguità.
eSport, simulazioni perfette
Tra eSport come Gran Turismo e una corsa automobilistica non c’è molta diversità, se non la possibilità o meno di morire. Ma è questo che fa di uno sport uno sport? Beh, è sempre possibile indossare un visore alla Sword Art Online!
Scherzi a parte, se com’è chiaro lo sport automobilistico è tale per altri motivi rispetto al rischio di “rimetterci le penne”, allora le simulazioni automobilistiche non presentano differenze rispetto all’originale su strada. Infatti è tempo immemore che l’aviazione si serve dei videogame per allenare le proprie reclute, questo significa che sono sostituti perfetti e non teoria contrapposta alla pratica.
La componente estetica negli eSport
Secondo Huzinga gli sport sono un tipo di gioco. E in questo siamo d’accordo tutti gli anche gli eSport siano gioco. I videogame sono anche arte e lo sport può essere arte a sua volta? Oltre alle arti marziali e alla danza, in cui il riferimento artistico è palese, in realtà in tutte le discipline c’è una componente estetica imprescindibile: una bella bracciata è anche la più efficace; una bella corsa ha i tempi migliori e così via. L’arte ha una specifica funzione: ottimizza le attività caotiche spontanee, nello stesso modo in cui la filosofia dà metodo alla coscienza.
Anche lo sport eseguito dagli esperti trasforma corpo e mente in una gerarchia di operazioni più razionali, ottimizzate per lo scopo, come testimoniano le neuroscienze. Lo stesso si può dire della morale: man mano che apprendiamo e ci adattiamo al mondo creiamo una gerarchia di scelte morali egocentriche, allocentriche e astratte. Le prime sono decisioni che si basano sulla paura della punizione o sul proprio beneficio, le seconde fanno riferimento a norme legali e al benessere sociale, infine l’ultimo stadio è decidere sulla base di valori universali come la giustizia, l’onestà, l’equità. Lo sport fa altrettanto: a distinguere l’esperto dal non esperto è la mente, come categorizza la preparazione del corpo e il gesto atletico in step-by-step gerarchici.
Insomma, sia che si tratti di etica, di estetica o di azione, la mente funziona nello stesso modo. L’esperienza ottimizza regole, rappresentazioni, gesti e motivi ad agire. L’allenamento è sempre una ottimizzazione.
Chilocalorie e fisic du role
Per quanto concerne la critica della mancanza di dispendio energetico e di miglioramento fisico procurato dai videogame, al di là del chiamare in causa wii, visori e Just Dance, si dovrebbe ricordare che perfino l’arte richiedere prestanza. Cantare necessita di diaframma e capacità polmonare adeguati per intonazione e potenza, così per scolpire non si può essere privi di forza. Ve lo ricordate l’episodio che vede coinvolti Michelangelo e Leonardo? Ben esemplifica quello che sostengo. I due grandi del Rinascimento avevano adocchiato uno stesso blocco di marmo. Leonardo più alto e forte gli disse che quel blocco sarebbe stato il suo anche perché Michelangelo non avrebbe avuto la forza di scolpirlo. Al ché, per dimostrare la sua prestanza, prese un pezzo di metallo e lo trasformò in un ferro di cavallo, lanciandolo ai piedi dell’altro genio e chiedendogli di provarlo a raddrizzare. Michelangelo, intelligente, replicò: “Non tocca certo a me raddrizzare le cose che tu fai storte…”.
Anche i videogame non allenano solo la mente o le vista. In studi di qualche tempo fa veniva rivelato che videogiocare portava ad un aumento considerevole della frequenza cardiaca e quindi a un consumo di calorie non trascurabile. I giochi presi in esame per lo studio erano FIFA e Warzone. Dopo due ore di gameplay i gamer bruciavano fino a 470 calorie, come un’ora di corsa.
Conclusioni
Dopo questa disamina siete d’accordo che gli eSport possano rientrare a pieno titolo nello spazio concettuale dell’attività sportiva?
Sono azioni ludiche che richiedono allenamento, disciplina, rispetto dei valori su cui si ergono le Olimpiadi, cioè il rispetto, l’eccellenza e l’amicizia. Sono una sfida (con se stessi o contro altri) che apporta dispendio energetico e benessere al sinolo mente-corpo. Hanno un chiaro fine educativo e di orientamento. Praticare gli eSport può rivelarsi una possibilità di guadagno, trasformandosi perciò in un’attività lavorativa e remunerativa solida, anche al di là del gioco stesso, aprendo a lavori come il game designer, l’aviatore, il chirurgo, il docente, il giornalista, il videogame therapist!