La pandemia di CoVid19 ha costretto le testate editoriali ad adattarsi ai cambiamenti nel consumo di notizie, e ad affrontare prima del tempo (perché la direzione era già quella) le ripercussioni economiche create dal calo delle entrate.
Ma se da una parte il maledetto virus ha acuito il bisogno di informazioni accurate e notizie attendibili, dall’altro sta smantellando l’ecosistema che lo fornisce.
Lo slow journalism contro l’informazione mordi e fuggi: così si riprende la fiducia del pubblico
L’impatto della pandemia sul mondo del giornalismo
Secondo l’ultimo World Press Freedom Index, di Reporters Without Borders, gli sforzi per controllare la narrativa sul Covid hanno portato a danni al giornalismo nel 73% dei 180 Paesi valutati. Altre stime suggeriscono che i soli giornali perderanno 30 miliardi di dollari quest’anno, mentre circa 63,4 miliardi di dollari sono stati cancellati dai ricavi pubblicitari a livello globale nel 2020, minacciando la sostenibilità finanziaria a lungo termine di molte agenzie di stampa. I notiziari indipendenti sono dunque vulnerabili non solo al controllo statale in quei Paesi con regimi autocratici, ma anche alla mercé di inserzionisti interessati a controllarne la produzione.
Nel frattempo, i consumatori di notizie continuano a spostarsi online. Le piattaforme di social media sono utilizzate in media dal 31% dei lettori in tutto il mondo, con il 72% degli intervistati per il Digital News Report del Reuters Institute for the Study of Journalism che vi accedono tramite un sito web o un’app specifica. Ma la proliferazione delle piattaforme digitali ha anche alimentato la diffusione di disinformazione e misinformazione. Di conseguenza, la fiducia dei lettori nei confronti degli outlet di informazione è ai minimi storici. Secondo l’Edelman Trust Barometer 2021, il 59% dei lettori in 28 Paesi ritiene che i giornalisti li vogliano deliberatamente ingannare.
Un’impennata della domanda di giornalismo affidabile
Questa crisi ha provocato un’impennata della domanda di giornalismo affidabile, originale e di alta qualità. A settembre 2020, The New York Times aveva riportato un aumento del 45,9% degli abbonati alle notizie digitali. Ed è stata la prima volta che i suoi abbonamenti online hanno generato più introiti rispetto alle vendite cartacee. La Nacion, in Argentina, ne è un altro esempio: aumento del 35% degli abbonamenti alle notizie digitali nello stesso periodo.
Anche la percentuale di coloro che si dichiarano disposti a pagare per un giornalismo di qualità è in aumento, sebbene attualmente lo faccia solo il 16% dei lettori online.
Secondo le fonti già menzionate, i lettori richiedono volti, giornalisti di cui fidarsi, ancor prima di leggere il nome della testata giornalistica in cui trovano la notizia.
In crescita il sostegno filantropico al giornalismo
È aumentato anche il sostegno filantropico al giornalismo, con fondi di emergenza e sovvenzioni istituite durante la crisi CoVid19. In questo modo, ad esempio, è stato salvato l’australiano AAP dalla chiusura, e il britannico The Guardian ha raccolto quasi 8 milioni di sterline attraverso le donazioni dei lettori.
Al tempo stesso, i grandi outlet d’informazione cercano accordi con i colossi del tech, soprattutto con Google e Facebook: dopotutto, la quantità di contenuti gratuiti che i giornali offrono loro è enorme, e i dati che vengono prodotti hanno un enorme valore per i giganti della Silicon Valley. Sia Facebook, sia Google, portano avanti da anni iniziative per salvaguardare il giornalismo locale e quello indipendente, e per supportare i giornalisti con formazione continua. Una delle ultime iniziative è Bulletin, di Facebook, che ben si collega alla volontà dei lettori di riconoscere i volti dietro le notizie.
Cos’è Facebook Bulletin e cosa ci dice sul giornalismo indipendente
Facebook Bulletin non è una novità: abbiamo già visto servizi di questo tipo come Revue e Substrack. Ossia: newsletter a cui ci si può iscrivere, pagando per supportare il/la giornalista indipendente che la crea, o la piccola redazione.
Quindi, non è tanto il “cosa” sono queste piattaforme a essere interessante, ma il “perché” esse nascono.
L’esempio della giornalista Jessica Yellin è calzante: è stata corrispondente capo della Casa Bianca per la CNN a Washington dal 2011 al 2013, e non solo, per poi decidere qualche anno fa di mollare il mainstream e mettersi in proprio con “News not noise”, un appuntamento quotidiano su Instagram in cui racconta, in modo approfondito, le notizie principali al proprio pubblico. Lei è una delle beta-tester scelte da Facebook per Bulletin. Un volto riconoscibile e riconosciuto, che ha costruito da zero una community fortemente interessata alla sua produzione di notizie. Yellin viene economicamente supportata dai suoi iscritti anche sulla piattaforma Patreon, dove offre altri contenuti dietro a piccole somme mensili.
Un altro esempio di giornalista che ha abbandonato il mainstream è il giovane Johnny Harris (ex Vox), esperto di mappe, che oggi ha un canale YouTube con oltre 1,6 milioni di iscritti, e quasi 2 mila sostenitori su Patreon.
In questi casi non abbiamo il grande e storico brand di una testata a certificare la bontà dell’informazione, ma un rapporto di fiducia costruita nel tempo, dove il professionista dell’informazione si mostra e si prende ogni responsabilità, ben sapendo che un solo errore può costare caro.