La diffusione degli apparecchi di intelligenza artificiale suscita una serie di reazioni cariche di preoccupazione e inquietudine, come avviene dinanzi a ogni nuova scoperta che si annuncia rivoluzionaria sino a promettere una radicale discontinuità. Capi di Stato ed esperti di tutto il mondo, selezionati nell’ambito della comunità di ricerca, del mondo accademico e della società civile si riuniscono per approntare sistemi di sicurezza in questa dimensione e sottoscrivono un codice etico a tale proposito. Siamo, però, sicuri che l’intelligenza artificiale sarebbe effettivamente in grado di soppiantare quella umana?
Cosa intendiamo per Intelligenza Artificiale
Non è semplicissimo circoscrivere cosa vada situato nel novero dell’intelligenza artificiale, termine coniato, alla metà degli anni Cinquanta, dall’informatico statunitense John McCarthy, vincitore del premio Turing nel 1971. D’altronde, non è neppure facile delimitare il concetto di dispositivo digitale; per esempio, come sottolinea il filosofo Luciano Floridi, quando siamo alla guida della nostra utilitaria ci troviamo offline oppure online? Ci sembra di essere offline in quanto concentrati a osservare la strada dinanzi a noi ma ci avvaliamo della digitalizzazione utilizzando il navigatore o Google Maps e parlando al telefono grazie al Bluetooth.
Formati immediati e ormai comuni quanto all’intelligenza artificiale sono ChatGPT, inventata da Sam Altman, cui si è aggiunto, più di recente, Seenapse che suggerisce idee in modo creativo, fra l’altro per rendere più convincente un programma pubblicitario, per comunicare un proprio messaggio in modo accattivante. Del resto, quasi tutti utilizziamo frequentemente altre forme di Intelligenza Artificiale come l’assistente virtuale domestico e l’assistente vocale dei nostri smartphone. Le tecniche di Intelligenza Artificiale si basano sull’opportunità offerta dall’attuale informatica di scrivere programmi che vanno a replicare il funzionamento della nostra mente. Attualmente sappiamo inventare sistemi in grado di apprendere dall’esperienza, per citare il titolo di un famoso libro dello psicoanalista inglese Bion. Quella sequenza di operazioni elementari e non ambigue che viene detta algoritmo non è più applicata in modo rigido, come avveniva con i computer di precedenti epoche. In questo modo abbiamo congegni digitali che non si limitano a osservare la realtà e a intervenire su di essa in base a come sono programmati ma, in un certo qual modo, riescono a interpretarla come è in grado di fare una persona.
Si diffondono e si diffonderanno ancor più in futuro strumenti in grado di rimpiazzare gli esseri umani nello svolgimento di attività imperniate su conoscenze teoriche e capacità logiche in precedenza specifiche dell’umanità.
Le quattro rivoluzioni che spodestano l’io
Luciano Floridi ha coniato il termine onlife per descrivere le nostre giornate nelle quali valichiamo sovente la differenza fra vita online e vita offline. Egli scrive a proposito della quarta rivoluzione, successiva alle tre già messe in risalto a suo tempo da Freud e che hanno suscitato “umiliazioni” negli esseri umani.
La rivoluzione cosmologica copernicana ci spodesta dall’idea della Terra come centro dell’universo scoprendo che al centro del sistema solare vi è il Sole.
La sovversione biologica darwiniana mostra come l’uomo sia frutto dell’evoluzione animale anziché di una creazione che ci renderebbe a immagine di Dio.
La terza rivoluzione, quella relativa alla scoperta del desiderio inconscio compiuta da Freud, ribalta il cogito ergo sum cartesiano. Crediamo di pensare ma siamo, in effetti, parlati dall’inconscio. Pensiamo di volere qualcosa ma il desiderio inconscio che emerge nei nostri sogni ci conduce a sovvertire tale pregiudizio. La rivoluzione freudiana dimostra che l’inconscio orienta la nostra mente e la nostra esistenza: “l’io non è padrone in casa propria” – questo il celebre aforisma di Freud. È l’inconscio, strutturato come un linguaggio, l’unico padrone.
La quarta rivoluzione, indotta dal digitale, sovverte l’ingenua illusione dell’uomo come essere intelligente senza eguali. La macchina di Turing, detta anche computer, ci supera nella capacità di processare informazioni: non siamo più gli indiscussi proprietari della capacità di agire e operare in modo intelligente. In effetti, già il Lacan degli anni Cinquanta si era interessato alla cibernetica, inventata pochi anni prima dall’ingegnere statunitense Norbert Wiener: aveva notato come questa lasciasse intatti i presupposti della pratica della psicoanalisi in quanto sono strutturati come un linguaggio sia la cibernetica, con l’alternarsi delle cifre 0 e 1, sia la psicoanalisi imperniata sul linguaggio quale condizione dell’inconscio.
A proposito del concetto di intelligenza
Questo dibattito sui rischi correlati all’espansione dell’intelligenza artificiale che potrebbe interferire con le attività umane, analogamente a quanto avviene con il supercomputer HAL 9000 nel celebre film di Stanley Kubrick “2001 Odissea nello spazio”, sembra dare per scontato che vi sia uniformità di punti di vista circa il concetto di intelligenza. In effetti, in psicologia, l’intelligenza viene considerata in diverse forme: si parla di intelligenza linguistica, logico-matematica, emotiva, musicale, corporeo-cinestesica, eccetera. L’intelligenza viene anche misurata e in questo ebbe un ruolo cruciale lo psicologo Alfred Binet che inventò dei metodi per calcolarla. Viene misurata con test come la WAIS (Wechsler Adult Intelligent Scale) e la WISC (Wechsler Intelligence Scale for Children) strutturati in subtest che appartengono in parte al campo dell’intelligenza verbale e per la restante parte a quella dell’intelligenza volta alla performance oppure con quello delle matrici di Raven. Attribuendo un valore di 100 ai risultati medi conseguiti da un soggetto in base alla sua età cronologica, si considera che vi sia un significativo deficit dinanzi a esiti inferiori al valore di 70 e una plusdotazione intellettiva in caso di risultati che superano i 130. Nel range intermedio, fra questi valori di soglia, si ritiene di aver a che fare con un’intelligenza tutto sommato nella norma.
In estrema sintesi, a livello etimologico, intelligenza è un termine che deriva dal latino intus legere: dunque l’intelligenza concerne un complesso di facoltà mentali relative a un leggere dentro, a una lettura interiore, a un cogliere qualcosa approfonditamente. Si teme che il ricorso all’intelligenza artificiale vada a soppiantare quella umana e determini, dunque, un incremento della disoccupazione; in effetti, senza distruggere i macchinari come proponevano invece i luddisti, tutti gli avanzamenti del progresso hanno determinato il sorgere di nuove professionalità e di ulteriori posti di lavoro con una riqualificazione delle competenze richieste.
Di fatto, il concetto di intelligenza stesso è molto opinabile; il riuscire o meno a svolgere degli specifici compiti si dimostra maggiormente relativo all’attuazione di un metodo di studio oppure di lavoro appropriato, allo sviluppo di strategie efficaci, all’impegno nel potenziamento delle proprie abilità, dei propri skills anziché a qualcosa di innato e immodificabile. A proposito della presunta intelligenza e delle tesi relative a una demenza digitale, proposto dal neuropsichiatra e professore universitario tedesco Manfred Spitzer, abbiamo già scritto un articolo pubblicato qui in data 8 marzo 2023 nel quale sosteniamo a proposito dei nativi digitali che, anziché trattarsi di soggetti de-menti vale a dire con lacune mentali, riscontriamo degli altri tipi di mente: sono meno capaci sul piano mnemonico ma sviluppano maggiormente competenze logiche.
L’intelligenza umana non potrà mai venire sostituita da quella artificiale
Le due forme di intelligenza, di lettura interiore, sono e rimarranno sempre diverse. È questa la nostra tesi fondamentale. Matteo Pasquinelli, professore di filosofia della scienza a Cà Foscari a Venezia, sottolinea come questi timori relativi all’intelligenza artificiale siano dovuti anche a delle forme di fallacia logica; una di queste sta nell’attribuirle ingenue analogie con quella umana soprattutto in termini di una volontà minacciosa e persecutoria. Pensiamo alla consuetudine di costruire dei robot a immagine e somiglianza degli uomini: questo ci porta ad attribuire alle macchine un funzionamento simile a quello umano che viene tuttavia smentito dai fatti.
Il ruolo del corpo nell’apprendimento e nello sviluppo dell’intelligenza
Quello che appare fondamentale a proposito della differenza fra intelligenza artificiale e intelligenza umana sta nel ruolo del corpo nell’apprendimento e nello sviluppo dell’intelligenza, come sottolinea il noto neurologo e psicologo di origine portoghese Antonio Damasio. Un bambino sviluppa la propria intelligenza imparando anche e soprattutto dalle proprie esperienze corporee: impara a tenersi a debita distanza da fonti di calore elevato dopo essersi ustionato una mano, apprende la capacità di stare in equilibrio dopo aver giocato al girotondo, apprende come trarre piacere dopo aver esplorato le proprie parti del corpo traendone piacere. Qualunque dispositivo tecnologico, per quanto sia dotato di Intelligenza Artificiale, rimarrà comunque privo di un corpo e del godimento intrinseco al corpo; secondo Lacan, infatti, il corpo umano è caratterizzato dal godimento che può avvenire in svariate forme singolari. La studiosa inglese Isabel Millar dell’Università del Kent ha posto al centro di un suo recente libro, a proposito dell’intelligenza artificiale, il seguente provocatorio interrogativo: “Gode?”. Le macchine sono in grado di ampliare le proprie conoscenze ben al di là di quelle umane ma rimangono sprovviste dell’esperienza del godimento che si ritrova soltanto nell’essere parlante.
La componente affettiva
Molto rilevante è inoltre la componente affettiva, sempre in gioco nell’acquisizione di nozioni e nel potenziamento delle proprie capacità. Lo si percepisce francamente quando l’intelligenza si articola con il campo dell’amore: dunque, per esempio, un allievo in contesti scolastici ottiene riscontri più validi quando si trova bene con un docente che gli ispira simpatia e che riesce ad appassionarlo alla materia da lui insegnata mentre avrà un calo del rendimento scolastico se giungerà a instaurarsi un clima di tensione o di pressione con quell’insegnante che lo porterà a demotivarsi. In quest’ultimo caso, si verifica un’inibizione delle potenzialità intellettuali per ragioni di ordine affettivo.
Un dispositivo dotato di Intelligenza Artificiale è tale perché viene inventato e programmato da individui umani, anche a livello affettivo. Celebre in questi termini un’altra raffigurazione cinematografica: quella dei replicanti del film Blade Runner di Ridley Scott, tratto dal libro “Il cacciatore di androidi” di Philip Dick, i quali sembrano acquisire emozioni e affetti umani fino al termine della loro esistenza, con addirittura esperienze e potenzialità in più rispetto al genere umano: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”.
Conclusioni
Noi sosteniamo che le due forme di intelligenza sono e rimarranno sempre diverse. L’intelligenza artificiale può arricchirsi di una conoscenza enorme ma è e resterà sempre sprovvista di un corpo, rimarrà priva di quelle forme di godimento che contraddistinguono il corpo umano. L’idea di un pericolo indotto dall’intelligenza artificiale è soprattutto una nostra fantasia.
Bibliografia
Bion W. R., Apprendere dall’esperienza, Armando Armando Editore, Roma, 1983.
Floridi L., La quarta rivoluzione, Raffaello Cortina, Milano, 2017.
Lacan J., Il seminario. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1991.
Millar I., The psychoanalysis of Artificial Intelligence, The Palgrave Lacan Series, 2021.
Pasquinelli M., The eye of the master: a social history of Artificial Intelligence, Verso, Londra, 2023.
Filmografia
Kubrick S., 2001 Odissea nello Spazio, Metro-Goldwin Mayer (1968).
Scott R., Blade Runner (1982).