“Questa è una nuova fase”, aveva dichiarato Margrethe Vestager, vicepresidente esecutivo della Commissione europea annunciando i lavori su una nuova legge europea per rafforzare i poteri antitrust contro monopoli delle big tech.
Proposta di legge ora in consultazione; ed è bene proprio in questi giorni ricordare questo fronte aperto, tutto nostro, europeo. Senza farsi troppo distrarre dalla grancassa che ora fa rumore negli Stati Uniti, con l’audizione fiume, mercoledì scorso, dei capi delle quattro big tech ora più contestate su questi fronti. Amazon, Apple, Google e Facebook.
È vero che era da molto – dai tempi dell’indagine antitrust su Microsoft degli anni ’90 – che i legislatori americani non erano così impegnati in un’indagine, democratici e repubblicani assieme uniti come contro un nemico comune.
Ma ci sono molti elementi che fanno dubitare dell’effettiva capacità degli Usa di cambiare corso, nel limitare lo strapotere delle big tech. Se sarà “una nuova fase”, probabilmente la vedremo prima da noi, in Europa: lo stesso New York Times, nel commentare l’audizione, riconosce che in Europa “siamo più avanti”.
Il fronte dell’Europa sui monopoli big tech
Vestager ha affermato che le leggi proposte in consultazione permetteranno – tra l’altro – alle autorità di costringere le aziende tecnologiche a cambiare e persino impedire di espandersi in nuove aree. “La posta in gioco è se questi mercati saranno o meno aperti, concorrenziali e innovativi, o se saranno semplicemente governati da questi giardini recintati di monopoli di fatto”, ha detto.
E considerato – aggiungiamo noi – che il mondo diventa sempre più digitale (si pensi all’avanzata per esempio dell’intelligenza artificiale in Sanità e dell’importanza crescente dei dati per governare la società) i “monopoli di fatto” delle big tech tenderanno sempre più a comprendere tutto; non solo i mercati digitali.
A parte la nuova iniziativa della Commissione, ora i funzionari antitrust dell’Unione Europea stanno indagando se le politiche dell’App Store di Apple sono anticoncorrenziali (soffocando i ricavi di alcune aziende, come Spotify e Netflix, che protestano a riguardo) e si preparano ad accusare Amazon di aver abusato del suo dominio e-commerce per penalizzare i concorrenti più piccoli.
L’accusa: Amazon e Apple offrono ai propri prodotti un trattamento preferenziale rispetto a quelli dei concorrenti che vendono nei loro negozi online.
Due inchieste del 2020 del Wall Street Journal rivelano altrettante pratiche abusive di Amazon. Ha investito in startup per assorbirne i segreti e quindi replicare le loro innovazioni con propri prodotti, quindi buttandole fuori dal mercato; ha lanciato prodotti analoghi a quelli venduti da negozi di terze parti sul suo marketplace sfruttando i dati che ha potuto conoscere grazie al proprio ruolo di intermediario tra i clienti e i negozi stessi.
L’Unione europea sta inoltre esaminando l’acquisto di Google del produttore di dispositivi indossabili Fitbit, mentre la Gran Bretagna ha aperto un’indagine a giugno sull’acquisizione da parte di Facebook di Giphy.
La Commissione europea ha già ritenuto Google colpevole di violazioni dell’antitrust tre volte tra il 2017 e il 2019, con multe per circa 8,25 miliardi di euro. Ma – come scrive anche il New York Times – “per completare i casi ci sono voluti diversi anni, dando a Google abbastanza tempo per assicurarsi il proprio dominio nella pubblicità online, nel software per smartphone e nella ricerca su Internet”.
In Gran Bretagna, i funzionari stanno elaborando una legge per forzare Facebook a far funzionare più facilmente i suoi servizi con i social network rivali e a spingere Google a condividere alcuni dati di ricerca con concorrenti più piccoli.
E in Germania, le autorità stanno discutendo una norma che consentirebbe alle autorità di regolamentazione di fermare alcune pratiche commerciali presso le società tecnologiche durante un’indagine antitrust.
Attività USA contro i monopoli big tech
Il Dipartimento di Giustizia americano invece dovrebbe annunciare un caso antitrust contro Google nelle prossime settimane. La Federal Trade Commission sta inoltre indagando su Facebook, Apple e Amazon per potenziali comportamenti anticoncorrenziali.
I dettagli delle inchieste sono riservati, ma alcune informazioni già trapelano.
Ad esempio, durante l’audizione di mercoledì i legislatori democratici hanno accusato le società tecnologiche di acquistare le start-up al solo scopo di soffocare innovazione e concorrenza; di aver sfruttato i propri big data per clonare e uccidere i concorrenti. I repubblicani sono stati più interessati ad accusare le piattaforme di aver messo a tacere i punti di vista conservatori.
Al New York Times risulta che una delle inchieste in corso vuole scoprire appunto se Facebook ha mantenuto illegalmente il proprio dominio nei social network attraverso acquisizioni. Altre indagano le pratiche pubblicitarie e l’influenza di Google nel settore della pubblicità online e persino le pratiche di ricerca (che forse tendono a favorire troppo i prodotti della stessa Google sul motore).
Le risposte delle big tech all’audizione non sono state sul punto. Hanno sottolineato che la loro crescita è avvenuta da zero, nel pieno spirito americano, e che certo favorisce l’economia americana (non lo stesso si può dire però per quella europea – ed è uno dei punti chiave). Hanno sottolineato anche il valore dei loro servizi digitali, soprattutto in tempi di coronavirus, per la società intera.
Perché il fronte USA è poco promettente
Ma le big tech in patria possono davvero essere relativamente serena. La dottrina antitrust Usa è molto conservatrice, difficile che interverrà in modo forte su questo fronte. Sono soprattutto fondazioni all’attacco; a parte la scuola di Chicago (Luigi Zingales) non ci sono grossi centri universitari.
L’antitrust americano inoltre ha una gestione giurisdizionale, non amministrativa come da noi; il ricorrente deve convincere il giudice delle proprie ragioni. E ci sono 200 giudici di nuova nomine che vengono da cultura filo-business, conservatrice. Quindi ci sono poche speranze per chi voglia fare ricorsi Antitrust contro i big tech e convincere i giudici.
Infine, la cultura della regolamentazione negli ultimi anni ha perso un sacco di colpi.
Da molto non fanno regolamentazione ex ante. Ecco perché non vedo grande possibilità di seguito alle varie attività in corso negli Usa.
In conclusione
Più promettente in definitiva la consultazione pubblica della Commissione ue per una direttiva europea che potenzi la capacità antitrust. Non è mai successo che la Commissione aprisse una consultazione così sensibile, che la esponga così tanto, senza portare nulla a casa. Forse non sarà la rivoluzione annunciata da Vestager; ma ci andrà vicino. L’unico problema è che ci vorranno due anni per la direttiva.
C’erano speranze sul nuovo codice delle comunicazioni elettroniche – ancora da recepire con decreto in Italia – che desse nuovi poteri alle Authority per regolare i big tech.
Ma l’ultima versione non enfatizza l’equivalenza tra servizi telco e over the top. Bruxelles ha fatto la scelta politica di non interferire con le big tech e di concentrarsi più sulle telco. Il nuovo codice però non aveva nel focus le big tech, a differenza della nuova legge in consultazione, che quindi davvero potrà essere l’arma per quella “nuova fase” di cui l’Europa (e non solo) ha bisogno nei confronti dei monopoli digitali.
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