L’organizzazione per il 13 dicembre della “prima giornata di Lavoro Agile a Roma” rappresenta uno stimolo interessante per alcune riflessioni sul tema del lavoro agile nella pubblica amministrazione.
Il 13 dicembre sarà essenzialmente una giornata di sperimentazione, durante la quale tante PA e imprese private “attueranno concretamente il lavoro agile e potranno così verificarne i benefici” come scritto sulla pagina del Dipartimento per le Pari Opportunità (PPOO) della Presidenza del Consiglio dove sono elencate le sedi messe a disposizione per il coworking. L’iniziativa si colloca nell’ambito del progetto governativo “Lavoro agile per il futuro della PA” e rappresenta un primo segnale importante di volontà strategica di diffusione del lavoro agile a livello nazionale.
Le riflessioni che qui propongo riguardano soprattutto due aspetti, a mio avviso prioritari:
la definizione di lavoro agile e della sua attuazione “by default”;
l’importanza del lavoro agile per la trasformazione (digitale) della PA.
Il lavoro agile e l’attuazione “by default”
Le definizioni “ufficiali” di lavoro agile (ormai assumendolo come traduzione italiana di “smart working”) sono molto chiare: sulla base della normativa (legge 22 maggio 2017 n. 81) si tratta di una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. In questi termini, come sottolinea il Dipartimento delle PPOO della Presidenza del Consiglio, il lavoro agile “risponde all’esigenza di diffondere nelle amministrazioni pubbliche un nuovo modello culturale di organizzazione del lavoro più funzionale, flessibile e orientato al risultato. Il lavoro agile è in grado di influire sulla produttività e sul livello di benessere organizzativo dei dipendenti, con un generale miglioramento della qualità della vita, anche in termini di conciliazione vita/lavoro”.
Se questa è la cornice di definizione, è chiaro che una regolamentazione che imponga limiti sul numero di giorni alla settimana o al mese in cui è applicabile il lavoro agile (o lo si restringa a specifiche “categorie” di persone) si situa al di fuori degli obiettivi del legislatore e senz’altro della logica stessa del lavoro agile. E però questo è anche quanto sta avvenendo sia nel settore privato che in quello pubblico, in virtù della scelta lasciata a ciascuna organizzazione di definire una regolamentazione propria. Tra le amministrazioni che si stanno avviando sul percorso di attuazione del lavoro agile è forte la tentazione di limitare la portata del cambiamento attraverso ad esempio una forte limitazione delle giornate “per lavoro agile” (mantenendolo confinato come eccezione e non trattato come normalità) e il mantenimento della logica del controllo orario. E questa tentazione, se diventa tendenza e prassi diffusa, rischia di uccidere nel nascere le possibilità di cambiamento.
Per questo è utile cambiare prospettiva e considerare come stia cambiando nei fatti la forma di lavoro anche nel settore pubblico.
Oggi non ci sono manager (dirigenti, funzionari) del settore pubblico che valutino i propri collaboratori dal numero di ore di presenza in ufficio (o almeno questo ci auspichiamo). La valutazione dell’efficacia della prestazione è data dai risultati che i collaboratori riescono a ottenere e che permettono di far ottenere all’organizzazione. In molti settori già adesso il lavoro viene svolto anche attraverso incontri e attività di collaborazione con altre organizzazioni, e in sedi diverse dal luogo di lavoro dell’amministrazione. I manager non cronometrano i tempi di spostamento, ma il rispetto delle scadenze e la qualità delle milestone. Le normative richiedono però che ogni assenza dalla sede di lavoro sia giustificata anche in termini orari, per complementare le informazioni provenienti dalla timbratura quotidiana. Questa è la realtà in cui viviamo anche oggi, con una forte discrasia tra quanto via via diventa sempre più naturale e possibile (anche grazie alle tecnologie) e quanto prevede la normativa interna. Per essere efficace, la regolamentazione interna alle amministrazioni sul lavoro agile deve pertanto inserirsi su questo fronte di crisi ridisegnando lo scenario. Passare, in altri termini, come scrivevo un po’ di anni fa, da una concezione di attuazione per “eccezione” ad una che consideri il lavoro agile come modalità di lavoro “by default”. Abbandonare l’ottica in cui il lavoro agile sia una forma pensata per certe “categorie disagiate” di persone (donne, disabili, ..) ad una in cui sia una forma di lavoro che si struttura rispetto alle “tipologie di attività” che consentono un lavoro non svolto del tutto nella sede di ufficio.
Non è un discorso nuovo.
Con il telelavoro questo tema è stato affrontato con sempre maggiore approfondimento fino alla definizione normativa del “telelavoro by default”, che cioè dispone (mutuandolo da una analoga normativa introdotta dall’ex presidente statunitense Obama) l’obbligo per le PA di pubblicare lo stato di attuazione del “piano per l’utilizzo del telelavoro” nella propria organizzazione, in cui “identificano le modalità di realizzazione e le eventuali attività per cui non è possibile l’utilizzo del telelavoro”. Il telelavoro però è stato inteso fin qui in buona parte come “telelavoro domiciliare”, lavoro a distanza dalla casa del lavoratore, e i “progetti di telelavoro” essenzialmente attività a termine che giustificavano il lavoro da casa per un certo periodo di tempo e per determinate giornate alla settimana. Anche per questo è utile ripartire dal lavoro agile, nuova cornice in cui ridisegnare le forme di lavoro dei dipendenti, dove il luogo di lavoro si definisce sulla base delle esigenze specifiche dell’attività da svolgere. Per affermare, con il principio “by default”, che il lavoro deve essere svolto in ufficio solo se necessario.
Il lavoro agile e la trasformazione (digitale) della PA
Se il lavoro agile diventa un “by default” e quindi un diritto dei dipendenti, una volta definiti i criteri di necessità per cui un lavoro deve essere svolto in ufficio, ecco che il focus si sposta sulla definizione di questi criteri. Parafrasando quanto già previsto per il telelavoro, si tratta, per ciascuna amministrazione, come primo passo necessario del percorso di attuazione, di identificare “le eventuali attività per cui non è possibile” il lavoro agile. Questo significa, concretamente, suddividere le attività dell’amministrazione in tre gruppi:
le attività che intrinsecamente richiedono la presenza in ufficio (es. attività allo sportello, docenza in aula, presidio logistico ..);
le attività che richiedono la presenza in ufficio perché mancano le condizioni organizzative e/o tecnologiche per essere effettuate in altra sede (a causa della necessità di consultazione di archivi cartacei, perché le applicazioni informatiche utilizzate sono accessibili solo dalla rete dell’amministrazione, le interrelazioni necessarie con altri dipendenti sono troppo frequenti);
tutte le altre attività, per le quali è attuabile una forma (da definire nello specifico) di lavoro agile.
D’altra parte, il lavoro agile può essere attuato solo se ci sono le adeguate condizioni culturali, organizzative e tecnologiche nell’amministrazione, e quindi in particolare, per ciascuna delle tre aree:
cultura – le modalità di lavoro sono orientate secondo una logica di project management, con assegnazione di obiettivi, relazioni e interazioni strutturate, monitoraggio sui risultati e sugli stati di avanzamento delle attività. Questo implica una formazione su questa modalità di gestione delle attività sia da parte del responsabile di gruppo sia da parte di ciascun dipendente;
organizzazione – i meccanismi organizzativi devono essere definiti in modo da consentire con coerenza un lavoro per obiettivi, orientando in questi termini, ad esempio, la modalità di assegnazione e controllo degli obiettivi verso le strutture e i dirigenti, la regolamentazione interna delle attività;
tecnologia – è realizzata la diffusione del “cloud enabling” applicativo, consentendo di fatto l’utilizzo delle applicazioni esternamente dalla rete dell’amministrazione.
La necessaria gradualità di attuazione del lavoro agile nelle amministrazioni attiene pertanto in gran parte alla costruzione delle condizioni culturali e organizzative che consentono di passare da una logica di controllo della presenza (fisica, non effettiva e di attenzione) ad una di monitoraggio degli obiettivi, come descrive efficacemente Monica Parrella. E quindi con un percorso determinato ma concreto che tenga conto delle esigenze di efficacia ed efficienza delle singole attività sapendo che, come evidenziato da più ricerche, con il lavoro agile il potenziale di produttività individuale e collettivo aumenta in modo significativo.
Possiamo di conseguenza affermare che la presenza delle condizioni per il lavoro agile su tutte le attività che non ricadono nel primo gruppo, come è stato sopra identificato, è la misura della maturità di un’amministrazione nel percorso della sua “trasformazione digitale”. Per ciascuna amministrazione, l’obiettivo deve essere quello di ridurre le attività che ricadono nel secondo gruppo, facendole transitare nel terzo. E se davvero (come credo) c’è una forte correlazione tra maturità relativa alla trasformazione digitale, efficacia ed efficienza dell’amministrazione, diffusione del lavoro agile, ecco che il sostegno e l’accompagnamento alle amministrazioni dovrebbero tenerne conto, dal punto di vista delle misurazioni, della premialità, dell’organicità del supporto. Ed è molto auspicabile che questo avvenga a breve.