Il tema del come disegnare il futuro (digitale) dei Paesi europei è stato al centro del dibattito nell’avvio del semestre italiano di presidenza europea, in particolar modo durante l’evento Digital Venice. Altrettanto importante è il tema conseguente, dello sviluppo di una cultura e di competenze digitali che consentano di costruire un futuro di benessere socio-economico. Ed è un tema centrale, di cui si ricerca la chiave, non solo in Italia.
Nel Regno Unito, ad esempio, Paese che più di altri si sta impegnando in questa direzione, nel mese di luglio la task force governativa sulle competenze digitali ha presentato il rapporto “Digital Skills for Tomorrow’s World” in cui si valuta, tra l’altro, la preparazione del sistema scolastico, fulcro del sistema educativo, rispetto all’adozione da settembre del nuovo curriculum, che prevede anche la “Computer Science”. Sulla base di una rilevazione del 60% di insegnanti non pronti al nuovo curriculum, la task force identifica alcune raccomandazioni per il Governo, tra cui la spinta a creare servizi in rete tra scuole, università, college, a prevedere una formazione permanente per gli insegnanti e a creare una rete di dirigenti scolastici che possano diventare nucleo di spinta sul digitale, oltre che interventi per favorire l’ingresso di insegnanti provenienti dalle aziende private. Quindi, sostanzialmente, per accelerare l’evoluzione, la ricetta prevede rete, apertura e contaminazione (oltre che un aumento degli investimenti).
Principi che valgono anche nel nostro Paese, penalizzato da un punto di partenza più arretrato, ma con aree di eccellenza a livello europeo.
Il dibattito in Italia sulla scuola “digitale”
In un Paese come il nostro, in cui la regressione culturale è sempre più evidente, e in cui l’elevato analfabetismo digitale è strettamente correlato al basso livello culturale e di istruzione (oltre la metà degli adulti ha una istruzione al più di scuola secondaria inferiore), e alla percentuale molto significativa di analfabetismo funzionale (circa due terzi della popolazione, secondo i dati del rapporto PIAAC dell’OCSE), il sistema educativo, e in particolare la scuola, è una delle leve principali per lo sviluppo sociale ed economico e per superare l’attuale distanza sulla crescita digitale che ci separa dalla gran parte dei Paesi Europei. Non basta, naturalmente, perché è fondamentale che lo sviluppo culturale sia pervasivo e “ambientale”, e quindi il ruolo delle reti territoriali in questo è decisivo.
Purtroppo i dibattiti sulle politiche sulla scuola sembrano però basarsi su punti di vista che non considerano adeguatamente uno dei nodi principali per il cambiamento: la questione organizzativa. La tendenza nei dibattiti e nei convegni (tendenza che rischia di diventare “opinione prevalente”), molto spesso, infatti, è di affrontare questo tema,
- secondo l’assunto che si proviene da una overdose tecnologica, da combattere drasticamente con la negazione del valore (anche strumentale) che possono avere supporti come le LIM, i tablet, per la creazione di ambienti di apprendimento innovativi, come se tutte le esperienze di didattica innovativa fossero state “soggiogate dalla tecnologia” e che quindi sia tutto da rivedere e riprogettare (fino a far diventare le LIM emblema di quel che non si deve fare);
- come un tema esclusivamente culturale, per cui l’ostacolo vero all’innovazione, all’introduzione della didattica innovativa a scuola, è dato dagli insegnanti, non preparati a veicolare nuovi contenuti con nuove metodologie didattiche, e quindi fieramente resistenti e incapaci di essere attori protagonisti del cambiamento. In qualche caso affermando l’equivalenza tra età e capacità di innovare. Insegnanti da convincere, prima ancora che da formare, in ogni caso soggetti da trainare nel percorso di cambiamento e non attori trainanti;
- come se si trattasse di un tema “tecnico” e in qualche modo separato dall’evoluzione della scuola, che ha al centro il termine “digitale”, tanto che si parla di “scuola digitale” e addirittura di “processo di digitalizzazione della scuola”, come se il cambiamento principale fosse l’uso pervasivo della rete e non il passaggio a nuovi ambienti e metodologie di apprendimento in cui la rete è certamente un enorme facilitatore ma non il fulcro.
Certamente, tutti questi elementi (consapevolezza tecnologica, cultura, innovazione metodologica) concorrono al cambiamento. Certamente la disponibilità di spazi scolastici che consentano nuovi percorsi di apprendimento sono sempre più una precondizione essenziale per il cambiamento, data l’attuale predominanza di un arredo e di una logistica progettati per la didattica trasmissiva e con fatica adattabili ad una scuola diversa (vedi qui ad esempio l’esperienza della “classe scomposta”).
L’evoluzione della didattica, verso nuovi sistemi di apprendimento, si realizza, inoltre, solo in un contesto “consapevolmente digitale”. Un contesto, in altri termini, in cui il digitale non è vissuto né come pericolo né come panacea assoluta, ma come grande opportunità di evoluzione e innovazione. La realizzazione di un tale contesto passa dall’acquisizione piena delle adeguate competenze digitali da parte dei dirigenti e degli insegnanti, ad un livello tale da consentire loro di attuarle in modo proattivo e creativo nell’ambito della propria attività, sia nel contesto specificatamente didattico sia in quello di gestione scolastica.
Ma queste sono condizioni necessarie, non sufficienti. L’infrastruttura di base che rende possibile il cambiamento si identifica con la questione organizzativa, che sempre più diventa discriminante per una reale trasformazione, indispensabile per disegnare un sistema di governance in cui trova equilibrio efficace il rapporto tra strutture centrali e strutture operative locali (gli istituti scolastici).
La questione organizzativa
Alcuni punti emergono come centrali da questo punto di vista, suggerimenti per un cambiamento profondo:
- definire un sistema di governance in cui le strutture scolastiche intervengono nei processi decisionali anche nelle fasi di progettazione, oltre che per fornire feedback. Le strutture centrali come indirizzo politico e gestione del sistema di governance, supporto, knowledge management (condivisione contenuti, gestione comunità, linee guida), coordinamento fondi, coordinamento e semplificazione infrastrutturale e applicativa (in un’ottica strategica orientata al cloud computing e all’open source), formazione per le figure chiave, accompagnamento delle scuole sui progetti di cambiamento, con task force di esperti;
- favorire e organizzare la logica di rete. Le reti di scuole (di cui si stanno diffondendo ottimi esempi, come quelli premiati al recente Contest sulle azioni per la cultura digitale ) non come formazioni accidentali e costruite ad hoc per progetti e riposte a bandi, ma come soggetto intermedio “riconosciuto” tra la singola scuola e il livello nazionale, anche amministrativamente per la condivisione di risorse;
- prevedere figure di sistema, condivise anche a livello di rete di scuole, sui diversi fronti organizzativi, didattici, tecnici, pensando anche a figure di “tutor per l’innovazione”, e a reti di dirigenti scolastici promotori dell’innovazione, prendendo spunto dalla raccomandazione del rapporto della task force britannica;
- definire e gestire un sistema di competenze dei docenti e dei dirigenti, e sulla base di questo rivedere il sistema delle professionalità e di carriera, oltre che i percorsi di sviluppo delle competenze. In questo senso sarebbe bene fosse riorganizzata l’attività formativa (con una base obbligatoria) verso gli insegnanti e i dirigenti, sempre meno basata su corsi in aula e sempre più operata a rete e localmente, con utilizzo di tutorship e peer-education, partecipazione a progetti, accelerata dalla disponibilità di contenuti digitali specifici, e allo stesso tempo costantemente monitorata nel raggiungimento dei profili di competenza attesa;
- come in qualsiasi organizzazione, intervenire con un quadro organico e sistemico di interventi, non sezionando i temi (la professionalità e la carriera, la formazione e lo sviluppo delle competenze, l’organizzazione, la comunicazione e la collaborazione).
Nel momento in cui consideriamo necessario un ripensamento profondo della didattica, intervenendo nella trasformazione degli ambienti di apprendimento, dello stesso spazio-scuola, perché siamo consapevoli che la scuola non può che porsi come avanguardia per lo sviluppo di una cultura sempre più connettiva, ecco che diventa necessario allo stesso tempo avviare un processo di miglioramento continuo del funzionamento e della forma organizzativa scolastica. Bisogna, in questo, approcciare in modo organico il sistema scolastico con la stessa capacità di visione che permise, negli anni Novanta, di progettare la scuola dell’autonomia, ma avendo adesso la consapevolezza che il cambiamento deve essere gestito in tutti i suoi aspetti (qui, ad esempio: competenze, professionalità e carriera docenti e dirigenti, loro formazione e tutoring, monitoraggio dei risultati). Avendo definito chiaramente l’obiettivo di una scuola in grado di preparare ad una società complessa, in continuo e rapido cambiamento, pervasa da tecnologie che devono essere gestite e utilizzate consapevolmente e creativamente, e che quindi deve puntare, con la stessa intensità, alle competenze trasversali (capacità di collaborare, comunicare, analizzare criticamente le informazioni, pianificare, problem setting, problem solving..) e a quelle verticali (le diverse discipline), sapendo che è la capacità di combinarle, infine, che permette di affrontare con successo le situazioni della vita.
Ecco che allora queste stesse competenze trasversali diventano indispensabili nel portfolio dei docenti e dei dirigenti, e ancor di più devono essere i principi su cui si basa il funzionamento del sistema. Altrimenti diventano nozioni, e non possono essere trasmesse come tali.
Per mettere a sistema le notevoli esperienze di didattica innovativa, delle reti di scuole, l’organizzazione del sistema scolastico deve essere totalmente permeata dalle competenze che si ritengono necessarie, deve essere la dimostrazione concreta della loro efficacia. Con un coinvolgimento ampio che sia esso stesso momento di crescita collettiva.
In questa direzione sembra muoversi la proposta del governo “la buona scuola“, che approfondiremo in modo specifico in un prossimo articolo. Una proposta che sta per iniziare un percorso di consultazione che si auspica ampio e intenso, anche per affrontare più in profondità alcuni temi poco presenti (diritto allo studio, competenze per il lavoro, organizzazione e funzionamento del Miur, correlazione con il programma nazionale per le competenze digitali), e per delineare concretamente e realisticamente un progetto di cambiamento che abbia date certe e risultati misurabili. Per fare di questa riforma della scuola la più grande esperienza nazionale di co-progettazione e di iniziativa collaborativa.