Fin dal vertice di Tallin del 29 settembre 2017 la UE, come disse l’allora Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, dichiarò concordemente la volontà di usare le opportunità create dagli sviluppi tecnologici in ogni campo, dalla robotica all’Intelligenza Artificiale. Soprattutto il vertice di Tallin affermò la volontà dei Paesi UE di dominare il proprio futuro e di dominare i rischi che la rivoluzione digitale presentava per le società e le democrazie europee.
Tallin, il vertice che segnò l’ingresso dell’evoluzione digitale nell’agenda Ue
Di conseguenza quel vertice si concluse con la decisione che il Consiglio europeo presentasse un concreto piano di lavoro con l’elenco delle decisioni da prendere nell’anno successivo nell’ambito di quella che allora fu definita la Agenda dei leaders 2017/2018.
In realtà quell’Agenda non aveva come contenuto solo i temi della società digitale ma anche quelli di tenere unita la UE e di offrire efficaci soluzioni agli effettivi problemi e bisogni dei cittadini in materia di sicurezza, migrazioni e disoccupazione, ma certo il punto centrale di quel vertice e di quelle dichiarazioni fu garantire il progresso della UE vista come un tutto nel futuro dell’economia digitale.
Merita ricordare il vertice di Tallin perché fu in quel vertice che l’evoluzione digitale entrò prepotentemente a far parte dell’agenda europea, in un quadro nel quale fu immediatamente evidente che o la UE sarebbe stata in grado di garantire uno sviluppo digitale condiviso e dominato anche dalle scelte e dai bisogni dei suoi cittadini o la stessa esistenza dell’Unione poteva essere a rischio.
La presidenza von der Leyen e i primi passi verso un robusto spazio unico digitale europeo
Ponendosi sulla scia di quel vertice ma andando oltre, la Presidente von der Leyen, nelle sue dichiarazioni programmatiche a presentazione della sua candidatura affermò con nettezza che la radice della UE, fin dalla originaria Comunità del carbone e dell’acciaio, era quella di creare un mercato unico delle risorse strategiche, che consentisse anche uno spazio economico europeo ampio e condiviso, fondato su regole comuni ai diversi Paesi membri. Muovendo da questa considerazione di fondo la von der Leyen dichiarò esplicitamente che nel contesto di una sempre più forte e dinamica società digitale, il cui sviluppo era guidato dalla economia globalizzata, la UE doveva fare quanto necessario per costruire e garantire un robusto spazio unico digitale europeo che consentisse, a sua volta, lo sviluppo di un robusto mercato unico digitale europeo.
Avendo la von der Leyen ottenuto la guida della Commissione, tutta la sua presidenza è stata dominata dallo sforzo, sostenuto e promosso anche dal Consiglio e dal Parlamento, di costruire appunto lo spazio unico digitale europeo, facendo in modo che l’UE potesse contare non solo sulla tutela dei dati personali ma, più in generale, nel quadro di una società digitale fondata sulla libera circolazione dei dati, su un proprio apparato regolatorio che, anche rispetto ai grandi fornitori di servizi digitali collocati fuori dalla UE, fosse in grado di garantire i cittadini europei e di affermare quella che, un poco enfaticamente, fu definita la sovranità digitale europea.
Da Tallin all’AI Act: il processo per garantire una coerenza uniforme al digitale europeo
Sulla base di questa spinta politica, perfettamente in linea con le conclusioni del vertice di Tallin e delle esigenze di tutelare e rafforzare la capacità competitiva del mercato unico, è cominciato un ampio processo di regolazione europea dell’economia digitale che ha trovato per ora il suo approdo nella approvazione del DMA, del DSA e del DGA mentre attendiamo ancora che sia pubblicato il Regolamento AI Act.
Ovviamente la spinta regolatoria della UE continua e infatti sono stati presentati dalla Commissione e alcuni già approvati la proposta di Regolamento 2024 1183 (eIDAS 2) che istituisce il quadro europeo per la per la Identità digitale che la Direttiva NIS2 2022/2555 relativa alla sicurezza informatica nel quadro della stessa UE.
Fin qui sono cose note anche se non è così chiaro a tutti che il complessivo quadro regolatorio ha una cornice comune che è proprio quella, indicata già dal vertice di Tallin, di garantire una coerenza uniforme al digitale europeo, tale da fare dell’ UE anche la guida di una regolazione efficace della società digitale nel quadro di una competizione globale sempre più accesa, nella quale l’ecosistema UE deve misurarsi con l’ecosistema americano e quello cinese, entrambi tecnologicamente più avanzati ma certamente meno sicuri e tutelanti per i cittadini e gli operatori economici.
Merita dunque avere ben chiaro che la impressionante quantità e ampiezza della regolazione europea della società digitale non ha solo e tanto l’obbiettivo di rafforzare la UE nella competizione globale ma ha anche lo scopo, centrale e primario, di rafforzare il mercato unico europeo e costruire, anche sul piano regolatorio della difesa dei diritti dei cittadini e delle imprese, la società europea.
In cosa consiste lo spazio unico digitale europeo
In questo, infatti, consiste essenzialmente lo spazio unico digitale europeo: nella costruzione di un sistema digitale di relazioni nel quale i cittadini e le imprese possano avere fiducia e far circolare liberamente i propri dati, convinti che la regolazione giuridica li tuteli, li protegga e valorizzi i loro diritti fondamentali riconosciuti nella UE.
Per questo il pacchetto regolatorio citato è da molti assimilato al GDPR e comunque letto e interpretato alla luce dei Regolamento europeo della protezione di dati personali.
Il GDPR, infatti, è stata la prima regolazione europea orientata non solo al riconoscimento di un diritto fondamentale, quello alla tutela della vita privata, ma anche ad assicurare ai cittadini e alle imprese operanti in rete che i loro dati erano tutelati e il loro uso regolato da una normativa capace di rafforzare la loro fiducia nella società digitale e comunque nella libera circolazione dei loro dati personali.
Nel caso del pacchetto regolatorio citato, tuttavia, il focus della regolazione UE si allarga proprio perché al centro non ci sono più i dati personali, e cioè la tutela di uno specifico diritto, ma la tutela della circolazione digitale dei dati, quale che sia il loro tipo. Dunque, al centro non vi è più la tutela di un diritto ma esplicitamente la tutela della società digitale europea.
Occorre pertanto riconoscere che i Regolamenti adottati sotto la presidenza von der Leyen sono in maggiore sintonia con le considerazioni del vertice di Tallin e hanno come obiettivo esplicito la tutela della circolazione dei dati digitali, anche con l’intento di rafforzare la fiducia dei cittadini e delle imprese nella società digitale.
Per questo è possibile, ed anzi necessario, mettere il focus sulla tutela della società digitale assai più che sulla tutela di specifici diritti fondamentali, come invece faceva il GDPR.
In questo quadro si comprende perché i commenti a questi Regolamenti elaborati da un gruppo di giovani studiosi, tutti titolari di corsi universitari in queste materie, siano stati da me raccolti e pubblicati in un volume edito da Giappichelli, Torino, col titolo di “La regolazione europea della società digitale”.
Il titolo vuole proprio sottolineare che elemento comune di questi regolamenti è la disciplina della società digitale e delle relazioni che essa comporta prima ancora della tutela di specifici diritti, la cui disciplina è comunque costantemente salvaguardata dalla regolazione digitale.
Quello che conta, però, è avere ben chiaro che questa regolazione ha ad oggetto la società e non gli specifici diritti e vuole rafforzare la fiducia dei cittadini e delle imprese operanti in UE circa la tutela e salvaguardia dei dati messi e scambiati in rete più che la tutela di specifici diritti.
Verso un primo embrione di “costituzione digitale europea”
Nel quadro fin qui delineato va sottolineato con forza un ulteriore aspetto della nuova regolazione europea relativa alla società digitale che accomuna tutti questi Regolamenti.
Tradizionalmente, secondo la prassi giuridica condivisa a livello internazionale, la disciplina dei servizi tipici della società digitale, che sono alla base della società digitale stessa e della globalizzazione, era ed è individuata nella legislazione dello Stato nel territorio del quale i soggetti fornitori dei servizi hanno sede.
È questo un punto interessante sul quale merita soffermarsi.
Esso, infatti, è il punto nel quale la disciplina giuridica del passato, basata sulla sovranità degli Stati legata alla dimensione territoriale, si incontra con la disciplina attuale, basata sulla società digitale e dunque sulla potenziale globalizzazione delle relazioni e sulla perdita di ruolo della sovranità territoriale.
Essendo la fornitura di servizi della società digitale basata essenzialmente su contratti di diritto privato tra fornitori e utenti, e non su regole di diritto pubblico, è ovvio che la regolazione da applicare è stata in generale individuata in quella del territorio in cui il fornitore del servizio ha sede, e dunque, per quanto qui interessa, prevalentemente nella legislazione degli Stati che fanno parte della Federazione americana.
I più recenti regolamenti UE in materia di scambi di dati in modalità digitale, invece, affermano come regola europea di tipo pubblicistico, e quindi valida per ogni tipologia di rapporti di servizi che i fornitori di servizi digitale, in ogni parte del mondo collocati, devono applicare le regole UE ove il destinatario/utente del servizio sia collocato in UE o operi nello spazio economico europeo.
Il mutamento di prospettiva è evidente e di grandi dimensioni perché introduce in questi Regolamenti una norma di carattere pubblicistico e di natura esplicitamente costituzionale in quanto basata sulla sovranità della UE nello spazio digitale europeo.
In sostanza potremmo dire che le norme contenute in questi regolamenti circa la loro efficacia territoriale al di là dei rapporti contrattualistici che ne sono alla base costituisce un primo embrione di “costituzione digitale europea”, dando così senso anche giuridico al concetto di sovranità digitale della UE.
Continuando sul filo di questo ragionamento sembra di poter dire che con questi Regolamenti la UE ha cominciato a costruire una propria identità costituzionale digitale partendo non dall’alto, e cioè da un processo esplicitamente costituente, ma dal basso, e cioè da un processo regolatorio dei rapporti propri della società digitale in punto di fornitura e uso dei servizi che la caratterizzano.
AI Act: la costruzione concreta di un altro pezzo della regolazione della società digitale
Se il ragionamento fin qui svolto è fondato, appare chiaro che anche, e forse soprattutto, a seguito della evoluzione della società digitale la UE è spinta a fare un salto in avanti dotandosi di regole di fatto di rango costituzionale, idonee a regolare non solo la UE ma, soprattutto, la società digitale che si sviluppa nell’ambito del suo territorio.
Se tutto questo è vero si tratta di una ulteriore conferma del fatto che la UE è giunta al termine del suo percorso di struttura sovranazionale di natura pattizia tra Stati e deve ormai andare oltre, nella direzione di una organizzazione giuridica dotata di una propria sovranità sul suo territorio e, per restare nel quadro dello Stato di diritto, anche di una propria organizzazione e normativa di tipo costituzionale.
Si delinea in tal modo, anche e soprattutto sul piano della società digitale, una necessaria evoluzione della UE che fa riscontro alle prospettive di evoluzione del quadro europeo e delle caratteristiche della UE delineate non solo nel rapporto Draghi ma anche nelle non poche prese di posizione circa la necessità per la UE di dotarsi di un proprio sistema di difesa e di proprie politiche sul piano degli armamenti.
Soprattutto si tratta di un processo che consente di dare senso e prospettiva storica ai numerosi interventi UE relativi a assicurare la interoperabilità delle reti UE e anche la regolazione comune della più rilevante tecnologia della società digitale nell’attuale momento storico: quella relativa appunto alla analisi dei dati digitali nell’ambito della IA.
Il che spiega bene perché la approvazione dell’AI Act è considerata così importante dagli europei e in generale dagli operatori digitali a livello globale.
Non si tratta tanto di vincere una sorta di campionato per poter dire di essere stati i primi ad avere una regolazione giuridica della IA, né di mirare a costruire per primi una IA che dia adeguato rilievo ai risvolti etici. In gioco, invece, vi è la costruzione concreta di un altro pezzo della regolazione della società digitale che, per le caratteristiche di questa tecnologia, richiede necessariamente trattamenti e regole uniformi all’interno di un comune spazio costituzionale europeo.
Insomma, e per dirlo in breve: la UE, partita nella sua attività normativa alla ricerca dello spazio digitale, comincia a scoprire la necessità di una Costituzione digitale basata su regole e condivisa dai Paesi membri. Una visione che, nell’attuale quadro della UE, comporta anche la definitiva accettazione non solo della identità digitale UE ma anche della sua soggettività internazionale nell’ambito di un quadro costituzionale che la configura come un soggetto conforme allo Stato di diritto.
Cosa si intende per Costituzione digitale
Riservandoci ovviamente di approfondire questi temi in prossimi contributi, resta ora da delineare, almeno a grandi tratti, cosa si debba intendere per Costituzione digitale.
A tal fine, muovendosi anche sulle orme di F.Balaguer Callejon nella sua “La Costituzione dell’algoritmo”, è bene prendere atto che l’evoluzione digitale ha come primo e più evidente effetto quello di mettere in crisi la democrazia rappresentativa che, invece, è tuttora alla base delle organizzazioni statali, comprese quelle che fanno parte della UE, nonché di larga parte delle istituzioni europee, a partire dal Parlamento UE.
La crisi della democrazia rappresentativa negli attuali Stati di diritto è sempre più evidente e passa attraverso la costante diminuzione della partecipazione al voto e nella crescente distanza fra organizzazioni politiche della democrazia rappresentativa e i cittadini che queste organizzazioni dovrebbero rappresentare o almeno intermediare.
Tuttavia, e questo merita di essere sottolineato con forza, la società digitale non si basa sulla assenza di mediatori, come troppo spesso ed erroneamente è stato detto, né si basa su un accesso diretto e non mediato dei cittadini alla rete e all’espressione della loro volontà.
Al contrario, come a suo tempo aveva ben intuito il GDPR, la società digitale si basa su processi gerarchici di organizzazione delle informazioni e dei dati, dominati dalle grandi aziende tecnologiche che, come dice Balaguer, “monopolizzano la distribuzione delle informazioni e fungono di fatto da nuovi mediatori fra utenti e spazio pubblico” (cfr. Balaguer, la Costituzione dell’algoritmo”, Le Monnier, 2023, 75).
Dunque, nella società digitale è illusorio pensare a uno spazio pubblico totalmente privo di condizionamenti e di vincoli, tale da consentire e favorire la libera e non mediata partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico e alle decisioni collettive. Al contrario, è necessario prendere atto che è da escludersi la possibilità di una società digitale senza mediatori. Questo comporta la necessità di comprendere che le società digitali si basano sul potere monopolistico di pochi grandi operatori globali, col rischio sempre più evidente che la società digitale invece di favorire, come troppo spesso si è detto, l’evoluzione di una democrazia digitale a base diretta, conduca a una rapida involuzione democratica come alcuni episodi verificatisi negli ultimi anni, specie nelle elezioni presidenziali americane, sembrano anticipare e dimostrare.
Si tratta dunque di ripensare i nostri sistemi di democrazia rappresentativa e costituzionale al fine di costruire nuove forme di Stato di diritto basate su una attenta regolazione dei fornitori dei servizi in rete e delle loro modalità operative.
Ovviamente tutto questo non basta ma, a ben vedere, è esattamente quanto hanno fatto i nuovi Regolamenti europei, ciascuno nel proprio settore di azione. Così come gli sforzi europei legati agli investimenti nelle reti di comunicazione e nella loro interoperabilità, a partire dal NextGenerationEU e dal PNRR dimostrano la volontà europea di costruire non solo uno spazio digitale unico ma anche, e soprattutto, uno spazio unico coerente con la società digitale, basato anche sulla libera circolazione dei dati relativi alla partecipazione dei cittadini non solo ai servizi digitali che hanno valenza economica ma anche a quelli che concorrono a costruire una comunità politica sempre più identificata e coesa.
Proprio questo, del resto, dimostra il dibattito che, a partire dai rapporti Draghi e Letta ma passando anche per le prese di posizione di Macron e in generale degli effetti della guerra in Ucraina e dell’allargamento della Nato ai Paesi baltici, si sta evidenziando in vista delle prossime consultazioni europee.
Il dibattito in corso nella campagna elettorale europea
Concludendo per il momento queste riflessioni, pare di poter dire che i Regolamenti europei che hanno caratterizzato il 2023/2024 e le discussioni che stanno accompagnando la campagna elettorale in vista delle elezioni europee di giugno sono chiari segnali che ormai stiamo entrando nell’epoca del costituzionalismo digitale.
La UE sembra per un verso avanti su questa strada proprio a ragione dei suoi più recenti Regolamenti ma per un altro non pare ancora pienamente consapevole di quanto sta avvenendo, visto anche il dibattito in corso nella campagna elettorale europea.
Pure vi è ragione di credere che la UE sia più avanti di tutti in questo processo. Un fatto molto positivo soprattutto se, anche nell’ambito delle discussioni sui rapporti Draghi e Letta, le forze politiche europee mostreranno di essere consapevoli dell’evoluzione in corso.
L’importanza di combattere la tendenza alla leaderizzazione verticale
Un’ultima considerazione a chiusura di questi ragionamenti, per il momento ancora “provvisori”: nel quadro delineato pare evidente che ogni riforma costituzionale in corso nei Paesi membri dovrebbe essere valutata anche alla luce dei processi europei in atto e delle considerazioni svolte.
Poiché è chiara la volontà della UE di regolare la società digitale e la libera circolazione dei dati in una ottica rispettosa dei diritti fondamentali e dunque anche in una prospettiva sostanzialmente costituzionale, secondo i principi propri della società digitale, sembrerebbe del tutto ragionevole che anche negli Stati membri le eventuali modifiche costituzionali, in corso o in fase di elaborazione, fossero conformi alla prospettiva della costituzione della società digitale e comunque conformi alle caratteristiche e alle esigenze proprie di questa.
Sarebbe del tutto logico, inoltre, attendersi che anche i processi di eventuale revisione delle Carte costituzionali, ove avvenissero, tendessero a rispettare, come fanno i nuovi Regolamenti europei le esigenze e le caratteristiche proprie della società digitale sia quanto a forma di governo, combattendo la tendenza alla leaderizzazione verticale che è propria della tecnologia digitale, sia conformando le eventuali modifiche ordinamentali alle esigenze di una più rapida e sicura circolazione dei dati fra le diverse strutture costituzionali e alla prospettiva di una governance solidamente strutturata anche con riguardo alla circolazione dei dati.
Se invece guardiamo a quanto sta avvenendo in Italia in questo periodo non possiamo che registrare una sostanziale trascuratezza di questi profili così come di quelli legati al quadro europeo secondo la evoluzione che in esso sta avvenendo.
Italia in controtendenza col dibattito su premierato e regionalismo flessibile
Basti pensare al dibattito in corso in Italia sul c.d. premierato e sul regionalismo flessibile per averne conferma.
Non vi è dubbio che la riforma del premierato così come proposta dal Governo va nel senso di un superamento della rappresentanza democratica tradizionale come fondamento della legittimità dell’ordinamento per piegare invece verso una forma, per ora indefinita e persino “negata”, di leaderismo verticalizzato, più conforme alle tendenze proprie di una democrazia basata su una forte e solida digitalizzazione della società, che tende a poggiare su scelte verticali e tendenzialmente binarie piuttosto che sull’obbiettivo di aumentare la legittimazione democratica delle istituzioni fondata sulla tradizionale rappresentanza democratica degli elettori da parte degli eletti.
Egualmente per quanto riguarda il regionalismo differenziato, basato sulla possibilità per le regioni di chiedere e ottenere poteri differenziati a seconda delle loro esigenze sembra di intravedere la visione di una società digitalizzata, capace di assicurare una forte governance alle modalità di circolazione dei dati, tale da consentire allo stesso tempo una forte differenziazione e il mantenimento di una forte unitarietà delle istituzioni e della società nel suo complesso.
Si tratta tuttavia di illazioni marginali rispetto a ciò che invece emerge con tutta evidenza dalle vicende in corso: la tendenza cioè a valutare i temi delle eventuali riforme costituzionali secondo le modalità tradizionali delle revisioni normative costituzionali e della loro compatibilità con lo “spirito” della Costituzione vigente quasi che la fortissima digitalizzazione in atto, pur registrata e registrabile dalle tendenze già evidenti in UE, debba avere anche a livello nazionale conseguenze rilevanti.
Invece dovrebbe essere evidente che le vicende in atto nella UE come messe in rilievo dal rilevantissimo sforzo di nuova regolazione in atto, dovrebbero spingere anche i legislatori nazionali, e prima di tutto quelli costituzionali, a collocare ogni loro proposta nel quadro di una visione complessiva di governance e di raccordo tra i diversi livelli di governo e delle diverse modalità di legittimazione del potere decisionale coerente con la società digitale quale si sta sviluppando non solo a livello globale ma anche, e soprattutto, a livello europeo.