La pandemia ha profondamente mutato lo scenario economico del nostro Paese.
Quello che appare subito chiaro è quanto la crisi economica scaturita dall’emergenza sanitaria abbia colto impreparati famiglie e imprenditori, erodendo i risparmi degli investitori e i fatturati delle imprese.
Ciò che invece non appare di per sé evidente è che la pandemia e le sue dirette conseguenze, come l’adozione di misure di distanziamento sociale, restrizioni della mobilità e un calo di redditività, abbiano fornito alle imprese una sorta di stress test che, in circostanze diverse, probabilmente non sarebbe avvenuto.
L’emergenza, infatti, ha obbligato le imprese a ripensare la gestione delle proprie attività operative e finanziarie in tempi brevissimi, mettendo alla prova la capacità delle stesse di innovarsi e cercare soluzioni alternative a quelle usualmente adottate. In questo contesto, vi è stata una forte rivalutazione del digitale, benché spesso sia stato considerato non come strumento per garantirsi una crescita sostenibile e costante nel tempo, ma come àncora di salvezza contingente.
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Digitalizzazione dei processi nelle PMI: a che punto siamo
L’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI ha condotto una ricerca in collaborazione con Capterra su un campione di 1038 imprese rappresentative della popolazione italiana di piccole-medie imprese. Lo scenario che ne emerge è di luci e ombre.
Sicuramente il COVID-19 ha dato una forte spinta all’adozione del digitale in quegli ambiti utili a far fronte ai problemi operativi e alla contrazione della domanda.
La chiusura della maggior parte dei negozi e una ridotta mobilità dei consumatori hanno spinto le PMI verso l’eCommerce, e, in particolare, verso i marketplace di terze parti. Questi, infatti, permettono di poter usufruire dei canali di vendita digitali in tempi più ristretti e con un investimento minore rispetto allo sviluppo di una piattaforma proprietaria. Benché l’e-commerce per le PMI del nostro Paese sia in ritardo rispetto alle grandi imprese e alle PMI europee, in quest’ultimo anno si è assistito ad una crescita delle piccole medie imprese che vendono online. In quest’area è emersa la maggior consapevolezza di debolezza delle PMI Italiane, con 4 su 10 che mirano ad investire in maniera prioritaria in questo ambito nel 2021.
La massiva adozione di pratiche di remote working ha comportato, inoltre, una revisione di tutti quei processi legati alla raccolta, all’analisi, allo scambio e all’archiviazione dei dati e della documentazione aziendale. Si è visto, infatti, un aumento dei servizi in Cloud, di cui fruiscono quasi 7 PMI su 10, e del ricorso a strumenti digitali per gestire i documenti aziendali, almeno parzialmente gestiti in modalità elettronica da 9 PMI su 10.
A fronte di questi segnali incoraggianti, però, la digitalizzazione stenta a decollare.
Il maggiore ricorso a servizi in cloud spesso corrisponde all’uso di servizi basici di hosting, mentre in minima parte sono stati intrapresi percorsi di adozione estensiva anche a livello infrastrutturale. Se si guarda al livello di accessibilità dei dati e delle informazioni al di fuori degli edifici aziendali, emerge infatti che solo nel 3% dei casi i dipendenti possono accedere in remoto alla totalità dei dati, e che in più della metà dei casi l’accesso ai server aziendali è consentito prevalentemente in loco. Guardando poi all’integrazione dei dati e dei processi, manca nella maggior parte delle imprese la possibilità di poter accedere ad una vista di insieme, che colleghi le varie aree aziendali. Solo il 35% delle PMI ha adottato un Enterprise Resource Planning (ERP), mentre un altro 35% non conosce questa tecnologia o esclude di adottarla. Infine, la raccolta e l’utilizzo di dati è spesso elementare e prevalentemente descrittiva, tanto che poco più di 1 PMI su 10 ha svolto progetti o attività che facciano ricorso a big data.
Le PMI, il cuore pulsante dell’economia
Questa capacità di reinventarsi e ripensare le attività è un fattore che è stato molto importante per le PMI, la cui stabilità operativa e finanziaria è spesso più precaria rispetto a quella delle grandi aziende. Le PMI – quelle imprese con un numero di addetti compreso tra 10 e 249 e con meno di 50 milioni di euro di fatturato – in Italia rappresentano numericamente solo una piccola percentuale di tutte le imprese attive. Si pensi infatti che, a fronte di un totale di circa 4,4 milioni di imprese, le PMI sono solo 220 mila. Tuttavia da loro deriva il 41% del fatturato nazionale, il 38% del valore aggiunto ed il 33% degli occupati. Quasi 2 PMI su 3 sono localizzate nel Nord, mentre il resto è distribuito quasi equamente tra l’Italia centrale e l’Italia meridionale comprensiva delle Isole; i settori maggiormente rappresentati sono quello della manifattura (31%), quello del commercio (18%) e quello dell’ospitalità e della ristorazione (13%).
Benché non sia ancora possibile valutare quali saranno le conseguenze di lungo termine della pandemia, appare evidente quanto le PMI digitalmente più mature siano state in grado di mostrare una maggiore resilienza e migliori performance economiche rispetto a quelle meno digitalizzate, sia in termini di utile netto (+28%), sia di margine di profitto (+18%), sia di valore aggiunto (+11%), e di Ebitda (+11%). Va sottolineato, poi, che un maggior ricorso al digitale ha contribuito a minori rallentamenti operativi quando si è verificata l’emergenza sanitaria: le PMI digitalmente più mature, infatti, hanno subito in maniera significativamente inferiore un rallentamento forte, o molto forte, dell’operatività aziendale durante il primo lockdown del 2020 (periodo marzo-maggio).
Le competenze digitali: l’altra faccia della medaglia
Sarebbe errato far coincidere la trasformazione digitale con la mera adozione di soluzioni lungo i processi aziendali, poiché cultura, approccio strategico e competenze digitali giocano un ruolo centrale nella pervasività e nella riuscita di tale trasformazione.
Secondo il dichiarato degli imprenditori, in 9 imprese su 10 vi è interesse verso il digitale e 6 PMI su 10 ritengono di avere un livello almeno buono di competenze digitali. Di contro però, il 43% mostra resistenze ad investire, per via di costi percepiti come troppo elevati o ritenendo il digitale come marginale nel proprio settore, e di chi dichiara di avere buone competenze una larga parte poi mostra una scarsa conoscenza delle tecnologie e delle opportunità del digitale.
L’approccio al digitale delle PMI
Analizzare quindi l’approccio alla digitalizzazione delle PMI tenendo conto sia della digitalizzazione dei processi sia della componente culturale consente di fare alcune considerazioni su a che punto siamo oggi e su quali leve è necessario lavorare. Le PMI sono state quindi raggruppate in 4 cluster:
- Analogico (il 7% delle PMI): si tratta di quelle imprese senza una chiara visione strategica riguardante la digitalizzazione e con una conoscenza limitata dei trend tecnologici. In questa categoria rientrano aziende di prodotto, prevalentemente piccole e orientate sul mercato italiano.
- Timido (il 40% delle PMI): comprende tutte quelle imprese che pur in assenza di una pianificazione strategica, hanno iniziato un percorso di digitalizzazione mosse dalla situazione di necessità o da obblighi giuridici.
- Convinto (il 44% delle PMI): in queste imprese emerge chiaramente un orientamento verso il digitale, sia nella digitalizzazione dei processi sia nell’approccio del management.
- Avanzato (il 9% delle PMI): queste imprese hanno un approccio strutturato che parte dall’orientamento al digitale prima di costruire attività e processi. Sono aziende di media dimensione, con una forte apertura al mercato internazionale.
La spinta del PNRR alla digitalizzazione
Partendo da quanto emerso dalla ricerca, ci sono alcune considerazioni che possiamo fare in merito a quanto sarebbe auspicabile implementare per favorire la trasformazione digitale delle PMI.
In generale, sono positivi gli investimenti previsti dal PNRR per le aree di base abilitanti alla digitalizzazione delle PMI, ossia le misure per l’innovazione della pubblica amministrazione, per potenziare la banda larga e la connettività e per migliorare l’accesso al credito delle imprese, in particolare PMI. Questi tre ambiti rappresentano condizioni abilitanti necessarie per la digitalizzazione delle PMI.
Dal punto di vista degli incentivi per la digitalizzazione dei processi, va nella giusta direzione poi la volontà di estendere il piano Transizione 4.0 rispetto al precedente Industria 4.0 ad altri settori e processi aziendali rispetto a quello manifatturiero e produttivo.
Tuttavia, i risultati del primo trimestre 2020 mostrano che gli effetti positivi sugli investimenti sono prevalentemente legati al mondo manifatturiero: sarà fondamentale monitorare gli effetti sugli altri settori e valutare eventualmente delle revisioni delle misure.
Molto positiva è anche la scelta di investire sulle competenze, tramite il credito d’imposta Formazione 4.0 e il credito d’imposta R&S. Un’ulteriore area in cui il PNRR potrebbe dare un significativo contributo è quella delle assunzioni di figure con competenze specifiche in ambito ICT e STEM, siano esse junior o senior, e in questo ambito si potrebbe pensare ad un bonus assunzioni.
Questi investimenti devono essere pensati non solo come uno strumento per aumentare il livello delle conoscenze tra la forza lavoro o per l’inserimento di figure specifiche che possano intraprendere progetti di digital trasformation, ma anche come uno strumento per investire in formazione della classe dirigente, da cui devono passare tutte le scelte in ambito di strategia digitale.
Infine, è necessario che lo Stato si adoperi in una semplificazione normativa che agevoli le modalità di accesso ai bandi pubblici, molto spesso ostici per la maggior parte degli imprenditori, e che possa venire incontro a quelle imprese che necessitano di chiarimenti, eventualmente prevedendo procedure standardizzate di interpello verso il MiSE o l’Agenzia delle Entrate. Affianco alla semplificazione, c’è infine da lavorare sulla comunicazione riguardante i bandi e le agevolazioni esistenti, per fare in modo di mettere a conoscenza gli imprenditori degli incentivi messi a disposizione.
Conclusioni
Nella sua drammaticità, la pandemia ha costretto le PMI a riflettere sulla loro visione di futuro, portandole sempre più ad abbracciare il digitale come strumento di sviluppo.
Il recente entusiasmo del mondo imprenditoriale per il digitale congiuntamente alle risorse del NextGenEU potrebbero non bastare da soli: per tradurre le idee in azioni serve intraprendere all’interno di ogni PMI un percorso serio e strutturato di digitalizzazione, per ridisegnare i processi e modelli di business, ripensare i prodotti in chiave digitale, e garantire che gli investimenti e le progettualità siano finalizzati a una crescita sostenibile di lungo periodo. Per assicurarsi che la trasformazione digitale delle PMI avvenga, è necessario investire sulle competenze che possano permettere di scegliere quali soluzioni digitali adottare (come nel caso dei manager), come implementarle internamente (tramite l’ausilio di figure tecniche e specialistiche) e come fare in modo che generino valore aggiunto (tramite un ampio coinvolgimento della forza lavoro).
Senza competenze e cultura digitale, la digitalizzazione rischia di divenire un processo fino a sé stesso, che si limita a rispondere a urgenze o obblighi esterni e che non porta a una revisione del modo di fare impresa.