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PNRR, Bentivogli: “Riforme subito o il paese soccombe. Ecco le prorità”

Bene la chiarezza di dettaglio delle linee di intervento ma dal PNRR non spariscono i mille rivoli per accontentare tutti (i soliti). Manca una visione strategica, vanno indicate azioni e obiettivi. Serve più coraggio e un Governo di unità nazionale che faccia quelle riforme senza cui l’Ue non stanzierà i fondi

Pubblicato il 05 Feb 2021

Marco Bentivogli

Base Italia

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Per uscire dal guado in cui la pandemia ha confinato il Paese e offrire un futuro degno alle prossime generazioni serve il coraggio delle riforme e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è una occasione che non possiamo perdere: non a caso – e per fortuna – la Commissione europea ha preteso che il PNRR sia vincolato alle proprio alle riforme.

Il Governo, quindi, non può trascurare la necessità immediata di migliorare il Piano. In parte già è stato fatto rispetto alle prime bozze circolate, ma restano molti nodi, troppi obiettivi generici che rischiano di vanificare ogni sforzo di ripresa. Vediamo gli ambiti più urgenti su cui intervenire.

Cosa finanzierà il Recovery and Resilience Facility

Chiariamo innanzitutto che il Recovery and Resilience Facility (RRF), strumento chiave al centro di NextGenerationEU – il Piano per aiutare l’Ue a uscire più forte e più resiliente dalla crisi attuale – è ben diverso dai Fondi Strutturali europei. I Fondi Strutturali pagano “i costi”. Il Next Generation Eu è (per fortuna) pieno di condizionalità, assai stringenti. Il Commissario Paolo Gentiloni ha chiarito che non ci saranno corsie preferenziali: tutti i progetti saranno giudicati coi medesimi criteri.

La finalità dell’intero programma è rilanciare, non ripristinare, l’Italia: non per niente lo strumento individuato si chiama “facility” (non fund o found): stabilisce obiettivi, sulla base di progetti (che vengono valutati) ed eroga soldi solo se gli obiettivi sono raggiunti.

Non solo, il 10% dei fondi sarà erogato subito (entro fine 2021) per far partire progetti. Ma il rimanente 90% sarà condizionato al raggiungimento degli obiettivi concordati in partenza (tra Governo e Commissione Eu).

Riforme: troppi obiettivi generici

Detto questo, del Piano italiano si può apprezzare la chiarezza di dettaglio delle 47 linee di intervento contenute nei 4 allegati. Ma, a ben vedere si abusa ancora una volta dell’utilizzo di sussidi, bonus e micro-interventi a scapito delle infrastrutture, in un quadro in cui almeno ci sono più investimenti.

Non spariscono, tuttavia, i mille rivoli per accontentare un po’ tutti (i soliti), e questo con grande probabilità rischia di sminuire la portata del Piano agli occhi della Commissione, che dovrà approvarla. È vero che “manca una visione strategica” is the new “manca “il progetto politico” ma manca davvero. Vanno indicate le azioni e anche gli obiettivi.

In troppi ambiti, il risultato è deludente: per esempio, sulla transizione verde erano stati identificati dei progetti, mentre ora ci sono delle formule vaghe. La riforma della giustizia è un po’ meglio delineata, ma sono assenti la riforma fiscale, della PA, le semplificazioni.

Sulla Sanità si passa da 9 a 20 miliardi: soldi che arriveranno più tardi e con più condizionalità del MES. Questo è il vero stigma, la macchia indelebile di chi è prigioniero dei propri meme sui social. E poi, su intramoenia e sanità sembra che le corporazioni continuino a perimetrare il diritto alla salute degli italiani.

Troppo deboli i capitoli sulla sicurezza delle infrastrutture, sull’edilizia scolastica, su tutte le infrastrutture. Lo stesso vale per logistica, portualità, aeroporti, per l’ecosistema della nuova mobilità, batterie, colonnine di ricarica, smaltimento. Dopo anni di convegni sull’economia circolare, c’è troppo imbarazzo, evidente dallo slalom che si fa sulle bonifiche (si tiene troppo conto della cultura nimby grillina?), sui rifiuti, sulle aree a desertificazione industriale, o delle aree riconosciute a crisi complessa. Scarse idee e risorse su dissesto idrogeologico.

Tutto in un paese in cui non si chiude più positivamente una vertenza industriale.

Bisogna prevedere dei piani di rigenerazione urbana recuperando interventi profondi sulle periferie e per realizzare smart city policentriche. Siamo il diciassettesimo paese per quantità e qualità delle sue infrastrutture in Ue: al Sud servono urgentemente, più degli sgravi non selettivi. La necessità di una Tav adriatica (e di un suo arretramento). E ancora, andrebbe ammodernata la rete ferroviaria di tutta l’Italia insulare. Sull’idrogeno, l’incapacità di risolvere le contraddizioni interne alla maggioranza ha prodotto un esercizio di vuota retorica, senza il coraggio di dire che – se l’Italia vuole giocare questa partita – deve farlo a 360 gradi. Col verde e col blu, insomma, senza pregiudicarsi alcuna strada.

Ricerca e innovazione: serve un salto quantico

Al nostro paese serve un salto quantico per recuperare i ritardi in ricerca e innovazione che, ricordiamo, sono attività correlate ma da non confondere (per questo, ad esempio, la Germania utilizza il Max Planck Institute per la ricerca, e il Fraunhofer per l’innovazione).

Il ritardo italiano su ricerca, innovazione e competenze va recuperato utilizzando le risorse del Next Generation Eu su infrastrutture che arricchiscano in modo permanente il paese di competenze e capacità di generarle e aggiornarle. Ma come?

L’Università ha un ruolo importantissimo, ma bisogna evitare di affidare tutti i ruoli alle Università specie in un paese come il nostro con un tessuto industriale costituito in larga parte di Pmi. Serve, piuttosto, un’infrastruttura diffusa su scala nazionale che consenta al sistema delle imprese di partecipare all’accelerazione in corso, specie dopo i danni della pandemia. In particolare, questo tipo di infrastruttura consente di sedimentare nei centri e nei territori le competenze dell’innovazione, trasferire e abbassare le soglie di accesso alle pmi e diffondere ai lavoratori coinvolti da questi processi.

Il piano Quantum Italia

Determinante in questo senso è il Piano Quantum Italia. Elaborato insieme a Federico Ronchetti, Quantum Italia mette insieme l’idea originale del piano Amaldi per finanziare la ricerca pubblica di base e applicata investendo l’1% del PIL (per agganciare la spesa della Germania) e la rete InnovAction che, a partire da 4 centri di eccellenza sull’innovazione tecnologica (Cefriel, Deti, Fbk, Links), pone le basi per lo sviluppo di una rete di eccellenza per l’innovazione tecnologica.

Finalmente, insomma, si accoglie la necessità di dotare il paese di un’infrastruttura sul modello del Fraunhofer Institute tedesco che si occupi di trasferimento tecnologico. La rete dei centri di eccellenza in realtà è già partita, quanto al piano Amaldi sui finanziamenti alla ricerca siamo a mezzo risultato.

È, certo, un primo passo ma in un paese che vuole recuperare sovranità tecnologica, la ricerca è un capitolo strategico.

È altresì un bene che siano state accolte le nostre proposte sugli ecosistemi territoriali. Va sottolineata però la necessità di avere una PA abilitante e capace di interagire dentro la piattaforma di dialogo tra tutti gli attori territoriali.

Il ruolo degli ITS

Importante il capitolo sugli ITS, a cui è destinato uno stanziamento di 1,5 miliardi. Ciò non autorizza a sciupare risorse. Servono obiettivi sul numero degli studenti che vogliamo avere a regime entro il 2025. Al contempo bisogna far crescere il numero di ITS nel sud del paese, ma con gli stessi standard qualitativi delle migliori esperienze del centro-nord.

Per il potenziamento delle competenze e il diritto allo studio sono previsti maggiori finanziamenti rispetto prima bozza e in gran parte “freschi”: 16,72 miliardi (di cui 12,38 aggiuntivi rispetto a progetti già in bilancio e 1,35 da React EU). Finalmente, poi, un forte investimento sulla fascia da 0 a 6 anni (3 miliardi: due per i nidi e uno per le materne) e tempo pieno (1 miliardo). I due miliardi per i nidi si aggiungono a 1,6 già a bilancio. Cinque miliardi saranno quindi destinati a STEM e multilinguismo (di cui 3,6 “nuovi”).

Riforme con pochi soldi ma fondamentali: reclutamento dei docenti, istruzione tecnica e professionale, orientamento. Su orientamento, l’impianto ancora debolissimo. Tra le iniziative delle altre missioni da segnalare nelle politiche per il lavoro i 600 milioni su apprendistato duale. Con scuole troppo tempo chiuse bisognerà prevedere un “piano nazionale di recupero delle competenze”.

La situazione drammatica (e le fosche prospettive) del lavoro

La crisi conseguente alla pandemia – si legge nel rapporto del Cnel sul Mercato del lavoro – ha colpito circa 12 milioni di lavoratori tra dipendenti e autonomi, per i quali l’attività lavorativa è stata sospesa o ridotta. E questo in costanza di Cassa integrazione e blocco dei licenziamenti: due misure straordinari che sono state utili a “prendere tempo”, ma ci sono troppe persone che da febbraio non sono mai rientrate a lavorare o vi sono rientrate per uno o due mesi.

Il tempo andava utilizzato per far ripartire l’economia. E questo non è avvenuto, con la conseguenza che la progressiva dissolvenza dei due strumenti di protezione farà venire alla luce una situazione esplosiva e drammatica.

Eppure, proprio sul lavoro il PNRR è disarmante. Su Transizione 4.0 siamo passati da 25,7 a 18,9 miliardi: il futuro dell’industria, in sostanza, si è ristretto e piuttosto pasticciato.

La realtà che ci si sta palesando davanti rischia di essere drammatica. Hanno perso la vita più di 80.000 persone e il tragico computo non è destinato ad azzerarsi nel breve periodo.

Se le cose non cambiano, alla fine della primavera vi sarà un’emergenza lavoro tra le più drammatiche della nostra storia. Abbiamo visto che in troppi casi i bonus e le mance ingrassano chi non ha bisogno e lasciano a secco chi ne ha. Servono più strateghi del lavoro, della crescita e della politica industriale e meno tattici della governabilità o dello sfascio a cui i partiti invece si sono consegnati.

Le difficoltà economiche all’orizzonte

Lo Eurozone Economic Outlook, realizzato da Ifo, Istat e Kof, dice chiaramente che il mitico rimbalzo del 2021 ci sarà forse dopo l’estate e a livello europeo si prevede un -7,3% di calo del Pil nel 2020. Ancor più grave a livello italiano. Si contraggono consumi e investimenti. Il nostro Pil cala del 9,1%. È complicato ipotizzare un pieno recupero con un 6,1% nel 2021 (anche perché Bankitalia ci dà il 3,5% e la Ue il 4,5%). Forse il Governo si affida di più al tiepido ottimismo (+0,15 a fine 2022 rispetto al 2019) dei compagni di Goldman Sachs. Speriamo tutti che abbiano ragione, ma è illogico fondare le proprie strategie sulle sole previsioni ottimistiche.

Conclusioni

Quello che serve ora è un Governo molto forte e dotato del coraggio di riformare, come ci è richiesto: PA, giustizia, semplificazioni e concorrenza in un paese corporativo come il nostro sono missioni enormi. Per questo servirebbe un Governo di unità nazionale. Questo paese ha veramente bisogno di cambiare pagina. L’interesse del paese non è la media della somma delle richieste delle corporazioni urlanti.

Senza riforme il nostro paese verserà acqua preziosa in un catino bucato, come è sempre avvenuto negli ultimi 30 anni. È nostro interesse avere un Governo meno sensibile ai veti, agli strepiti.

Ricordiamoci che si stanno spendendo i soldi presi in prestito dai nostri figli. E il genericismo su generi e generazioni di questa bozza non lascia ben sperare.

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