Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, complice la pandemia, si è fatto più denso di significato e urgente il dibattito sul cambio di paradigma dei nostri sistemi economici, attraverso un nuovo e diverso ruolo per tecnologia, imprese, Stato e partenariati pubblico privato.
Vari osservatori mettono in luce come il Covid-19 abbia avuto un impatto anche sulle disuguaglianze e sulla capacità del nostro Paese di perseguire gli obiettivi posti dall’Agenda 2030, non solo – come ci si potrebbe attendere – rispetto al goal relativo alla Salute e ai nostri sistemi sanitari, ma anche in riferimento ai goal legati a lavoro dignitoso, povertà, istruzione, disuguaglianze, parità di genere. In tutti questi ambiti la pandemia, manifestandosi, ha provocato dei significativi peggioramenti e ha approfondito le disuguaglianze tra persone, generazioni, generi, famiglie, professioni, comunità, aree geografiche.
Dalla crisi, un’opportunità per un futuro sostenibile e inclusivo?
La reazione dei Governi europei, e in particolare del nostro, si è caratterizzata per la narrazione (che piacerebbe veder trasformata in azione) di un tentativo ambizioso: rispondere alla crisi congiunturale facendone un’opportunità per favorire il passaggio verso un nuovo paradigma nel quale dovrebbero convergere transizione ecologica, digitalizzazione, innovazione, e inclusione sociale.
In realtà, nel PNRR questi auspici non si sono tradotti in un’ampiezza di visione e in scelte coraggiose, ad esempio per una politica industriale e di specializzazione produttiva, né sono stati consolidati attraverso un più attento ascolto della società civile, come chiesto dal Parlamento e da numerose organizzazioni, tra cui Forum Disuguaglianze e Diversità e Movimenta.
Nel PNRR infatti, l’asse strategico Inclusione Sociale rischia di rimanere ancora troppo debole sia perché caricato quasi esclusivamente sulle spalle del settore pubblico, che oltre alle sue annose debolezze fatica a realizzare sinergie e nuovi modelli di partenariato con il privato, sia per i trade-off con gli altri due assi, il digitale e l’ecologico, la cui evoluzione richiede attenta stima e monitoraggio degli impatti per evitare che pezzi delle nostre comunità siano tagliate fuori per mancanza di competenze, risorse economiche o infrastrutture.
Investimenti in tecnologie per la crescita inclusiva…
Per provare a far fronte a queste debolezze, e permettere una transizione giusta, è utile guardare alle tecnologie e politiche inclusive “by design”, pensate cioè fin dall’origine con l’obiettivo di favorire l’inclusione sociale e di coinvolgere nei partenariati tutte le parti – pubbliche o private – che possono portare valore. Un modello di particolare interesse, che chiaramente da solo non basta ma che può ancora essere integrato nell’attuale PNRR per dargli una direzione più esplicitamente inclusiva, puntando sullo sviluppo, la sperimentazione e l’adozione di soluzioni tecnologiche a problemi espressi dalla società in tutte o parte delle sue articolazioni.
Nel corso degli ultimi anni vi sono state in varie parti del mondo iniziative di questo genere, spesso stimolate da programmi governativi o da istituzioni filantropiche, per rispondere con tecnologie – soprattutto digitali ma non solo – a una grande varietà di bisogni sociali. La maggior parte degli interventi guardano al campo medico e ambientale (dall’uso dell’intelligenza artificiale per la diagnostica, alle applicazioni in ambito urbano per gestire mobilità e livelli di inquinamento ambientale), ma sempre più riguardano anche ambiti come istruzione, cultura, gestione di crisi migratorie e calamità, ovvero per garantire sicurezza e trasparenza a processi, economici, sociali e politico. La Commissione Europea e Nesta ne hanno censite un gran numero nel network europeo Digital Social Innovation, e da anni promuovono investimenti puntuali nelle “Technologies for Good”, come fanno anche altre organizzazioni, tra le quali Google.org con la sua “Impact Challenge”.
…E politiche per la crescita inclusiva
Alcuni Paesi hanno interpretato questa sfida in modo ancora più ampio, e hanno organizzato i loro investimenti per l’innovazione e la ricerca costruendo politiche orientate da missioni, ossia pacchetti di politiche che aggregano energie e conoscenze di comunità scientifica, settore privato e società civile intorno a obiettivi concreti e ambiziosi per la società, ad esempio lotta al cancro, eliminazione della plastica dagli oceani, creazione di città neutre e intelligenti dal punto di vista climatico. Accanto al programma europeo per la ricerca Horizon Europe, che ha fatto da apripista a molte iniziative simili, tale approccio è ormai molto diffuso tra i Paesi G7.
Anche l’Italia, seppure con qualche ritardo, propone, nel nuovo Programma Nazionale per la Ricerca (2021-2027) approvato dal Ministero Università e Ricerca, l’avvio di un processo che dovrebbe portare alla definizione e implementazione di specifiche missioni condivise con altri ministeri ma soprattutto con il sistema della ricerca, il settore privato e i cittadini. Altri Paesi stanno già sperimentando questo approccio, la Francia, ad esempio, ha stanziato 240 milioni di euro nel 2019 per le “Grands Défis”, nel quadro del suo Fondo per l’Innovazione e l’Industria, che per il momento lavora – soprattutto facendo leva sull’IA – a 5 sfide relative a salute, ambiente e sicurezza.
La Germania ha investito su questa linea con maggiore convinzione, forte anche dell’esperienza maturata con “Energiewende”, la missione avviata nel 2010 per realizzare la transizione energetica con l’abbandono del nucleare e una produzione interamente basata sulle rinnovabili. Tali interventi sono stati articolati all’interno della Strategia High-Tech 2025 (HTS 2025) non solo individuando dodici grandi sfide per la società (dove ritroviamo le consuete “Salute e assistenza”, “Sostenibilità ambientale ed energia”, “Mobilità”, “Sicurezza e difesa”), ma anche in altri due strumenti: lo schema di finanziamento “Gesellschaft der Ideen”, che cerca di trovare soluzioni alle sfide sociali attraverso la collaborazione di ricerca con la società civile, e la missione “New Sources for Knew Knowledge”, con l’obiettivo di investire su Open Access, Open Science, Open Data e Open Innovation. Una missione che ha l’obiettivo non solo di sviluppare soluzioni più efficaci a sfide sociali e tecnologiche, ma anche di consentire alle aziende un accesso più rapido alle scoperte scientifiche, e offrire l’ambiente adatto a sperimentare nuove modalità di acquisizione, scambio di conoscenze e coinvolgimento di nuovi attori – anche della società civile – nei processi di innovazione.
Cosa manca per una migliore attuazione del PNRR
Queste sperimentazioni mettono in luce alcune debolezze, e quindi qualche lezione appresa, delle quali il nostro Paese potrebbe far tesoro per una migliore attuazione del PNRR e l’avvio di politiche che siano davvero inclusive “by design”.
Innanzitutto, dovremo andare oltre gli ambiti che nelle politiche orientate da missioni ormai sono diventati i riferimenti più ricorrenti e quasi esclusivi: salute e ambiente. Questo approccio può essere estremamente potente, e merita di essere usato in modo più coraggioso per rispondere a problemi sociali come le disuguaglianze, il declino della natalità (si veda il caso del Giappone con il “Moonshot Research and Innovation Programme”). Anche nel nostro Paese sarebbe importante orientare investimenti su innovazioni e tecnologie che aiutino, per esempio, a contrastare la crescita delle disuguaglianze, che secondo l’Istat ha visto salire a 5,6 milioni le persone in povertà assoluta.
Attivare i territori
Inoltre, si può e si deve cercare di potenziare il ruolo dei territori, affiancando a iniziative ampie altre guidate dalla stessa logica ma più circoscritte, ben focalizzate su competenze e bisogni locali, e capaci di stimolare le organizzazioni che vivono i luoghi.
Nel disegnare queste politiche dovremo far attenzione ad almeno quattro punti. Innanzitutto, dovremo essere in grado di individuare e rispondere a una questione sociale concreta e ben definita, mediante la collaborazione tra amministrazioni pubbliche, imprese e organizzazioni della società civile, che devono condividere conoscenza specifica e dati.
In secondo luogo, occorre che tali iniziative siano adatte a stimolare l’innovazione, superando ostacoli tecnologici e trasformando campi fino ad ora poco sviluppati.
Inoltre, ci si deve porre l’obiettivo di sostenere la costruzione di prospettive concrete per sbocchi commerciali; le iniziative devono essere progettate nell’ottica di portare sul mercato un prodotto o servizio innovativo, che mentre risponde a un’esigenza locale ed è sperimentato in un’area circoscritta, possa suscitare l’interesse di mercati molto più ampi.
Infine, si debbono tenere in debita considerazione le competenze e le caratteristiche delle imprese, in particolare quelle di medie e piccole dimensioni, e delle organizzazioni della società civile presenti sul territorio e che potenzialmente possono sviluppare le soluzioni.
Può sembrare complicato, ma in realtà lo sta facendo a livello internazionale l’UNDP con l’Accelerator Labs, che sperimenta in varie parti del mondo tecnologie per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030, e in modo più delimitato ma comunque interessante la Camera di commercio di Milano Monza Brianza e Lodi, che da due anni finanzia imprese che realizzano e sperimentano soluzioni tecnologiche per migliorare la qualità dell’aria cittadina, o quell’economia di prossimità messa in crisi dalla pandemia.
In conclusione
Tutto questo con la consapevolezza che la corretta integrazione nel PNRR della transizione ecologica, digitale e sociale, non dovrà avvenire nonostante le imprese, e la loro inviolabile necessità di generare profitti, ma coinvolgendo le imprese; non solo le imprese dell’economia sociale, ma tutte le imprese, a iniziare da quelle più innovative, in collaborazione con governi nazionali e locali capaci di orientarle verso tecnologie utili a risolvere grandi sfide sociali e ambientali. Non si tratta, del resto, solo di sollecitare generosità, altruismo o senso della responsabilità sociale, ma anche di indicare precise opportunità di mercato e delineare una nuova strategia di crescita.