pensiero critico e digitale

Politica e social: i partiti alla sfida della dialettica democratica

Il Partito Democratico lancia un’app per far interagire i militanti gli uni con gli altri, in una sorta di Facebook di partito. L’occasione dà lo spunto per riflettere sui limiti delle reti sociali generaliste nel gestire il dibattito pubblico e sulle opportunità per i partiti di occupare lo spazio del pensiero critico

Pubblicato il 16 Ott 2019

Guido Vetere

Università degli Studi Guglielmo Marconi

social smartphone

Partiti, movimenti e associazioni politiche italiane si trovano a definire in modo sempre più accurato la propria presenza nello spazio della socialità mediata dalle piattaforme digitali. Alla pionieristica intuizione del Movimento 5 Stelle che nel 2016 ha preso corpo nella piattaforma Rousseau fa oggi seguito il Partito Democratico con una app che promette di far interagire i militanti gli uni con gli altri, in una sorta di “Facebook di partito”. Francesco Boccia, ideatore della piattaforma, si dice convinto che “i social aperti crolleranno perché i dati non sono protetti”.

In un futuro di partiti-piattaforma gli attuali strumenti – ossia i social ideati per profitto – difficilmente potranno giocare un ruolo positivo, perché lasciano scoperto il terreno del pensiero critico, fondamentale nella dialettica democratica. I partiti sapranno occuparlo?

Social e partecipazione politica

Cominciamo col dire che la partecipazione politica e civile della cittadinanza per mezzo delle “nuove tecnologie” si è fatta più intensa da quindici anni a questa parte. Ma ciò non è avvenuto a seguito di provvedimenti, piani, azioni dei governi che si sono succeduti, bensì, appunto, della crescente pervasività di social network come Facebook e Twitter.

Queste piattaforme, nell’ospitare un continuo e fitto dialogo tra cittadini e rappresentanze, integrano e in certi casi sostanziano le forme associative che la Costituzione prevede a fondamento della partecipazione politica (Art. 49), come delineato anche nell’art. 9 del Codice dell’Amministrazione Digitale che già dal 2005 prevede di “promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini […] al processo democratico e [..] facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili” con l’uso di quelle che dal secolo scorso continuiamo a chiamare “nuove tecnologie”.

Le scelte politiche dei partiti e dei loro esponenti sono già da tempo influenzate dall’analisi del sentiment dei rispettivi elettorati. Ma mai come oggi ci sembra normale che un parlamentare riveda il proprio orientamento su una questione dopo essere stato investito una tempesta di tweet negativi dei suoi seguaci.

Piattaforme globali e dialettica democratica

Tuttavia, le piattaforme globali dove oggi avviene l’interazione politica soddisfano solo in parte le esigenze della dialettica democratica. Oltre ad essere concepite per finalità di intrattenimento, esse non garantiscono la dovuta riservatezza, collocandosi peraltro al di fuori delle giurisdizioni nazionali e potendo dunque esercitare, attraverso le loro policy aziendali, i loro imperscrutabili algoritmi e l’uso opaco dei dati che accumulano, indebite influenze. Di recente, Facebook esercita con vigore il suo diritto di togliere la parola a gruppi politici nei paesi in cui opera, per ottimi motivi forse, ma svelando il paradosso di un soggetto privato che ha acquisito il potere di gestire la sfera del dicibile a livello globale.

Un futuro di partiti-piattaforma

In tutto questo, la direzione è chiara: non assistiamo solo alla nascita di piattaforme di partito (tale si può anche considerare la misteriosa “bestia” di Salvini) ma andiamo verso un futuro di partiti-piattaforma dove il mezzo tecnologico ed il fine politico si trovano compenetrati. Il modo in cui le associazioni politiche progettano e realizzano la loro presenza digitale diviene infatti un’incarnazione della loro ideologia (inclusa l’ideologia della fine delle ideologie).

La tecnicità delle piattaforme non è neutrale: da un lato i modelli delle organizzazioni politiche richiedono specifiche funzioni, dall’altro l’uso della tecnologia fa emergere nuovi modelli organizzativi e nuove forme di partecipazione. Il tracciato delle connessioni tra opzioni tecniche e opzioni politiche è ancora tutto da studiare (si può iniziare dal breve saggio di Paolo Gerbaudo), ma già a prima vista emerge una pluralità di orientamenti e filosofie in cui persuasione, leadership personale e legami di comunità si compongono in modo vario e interessante.

Nello spazio che si sta aprendo, mentre demagogia (nel senso di conduzione del demos) e democrazia diretta sono territori già in parte esplorati, l’esercizio della dialettica, che è alla base dei legami di comunità, appare come una terra ancora ampiamente incognita. Il limite delle reti sociali generaliste nel gestire il dibattito pubblico è da sempre sotto gli occhi di tutti. Le discussioni in rete sono per lo più un frustrante affastellarsi di falsità, argomentazioni fallaci e insulti personali.

La cattiva discussione inquina la sfera pubblica e porta a conseguenze nefaste che è perfino difficile quantificare. L’accesso alla sfera pubblica della singolarità qualunque, che Umberto Eco aveva aristocraticamente stigmatizzato, non può essere visto come il problema (“l’essere che viene è l’essere qualunque” scrive Giorgio Agamben) ma deve essere considerato un dato, forse il dato, della contemporaneità. Il tema allora è quello di lavorare meglio la materia della qualunquità contemporanea.

Appare evidente che le piattaforme sociali progettate dai ragazzi dei campus universitari statunitensi, non avendo come scopo quello migliorare la qualità dell’infosfera, bensì il profitto, difficilmente potranno giocare un ruolo positivo. Anzi, nella scabra laconicità dei loro like, pensati nella semantica del flirt giovanile ma oggi gravati da significati potenti e oscuri, rischiano di peggiorarla, benché (sia concesso) involontariamente.

Piattaforme di partecipazione politica e supporto all’argomentazione

Se una piattaforma di partecipazione politica si ponesse come obiettivo la creazione di una comunità dialogante, essa dovrebbe prendere molto sul serio il tema dell’argomentazione. Le insidie della dialettica sono al centro di un’antica questione filosofica, ma al di là del giudizio su di esse (i sofisti infatti le ritenevano quasi pregi) queste insidie mostrano che le discussioni umane difficilmente possono essere ricondotte senza residui a una socratica “ricerca della verità”, qualsiasi cosa essa tecnicamente sia.

In questo si scorge il limite del “fact-checking” come (pur necessario) strumento per il miglioramento dell’infosfera. Oltre alla verifica dei fatti laddove sia possibile, è necessario introdurre nelle piattaforme politiche uno specifico supporto al complesso gioco di affermazioni e confutazioni in cui consiste il dibattito pubblico, cioè appunto all’argomentazione. Bisogna lavorare sul like, ma soprattutto sul dislike. Tutti i consensi si somigliano tra loro, ogni dissenso è fatto a modo suo: per ogni argomento a supporto di una proposizione ve ne sono infatti mille per confutarla, gran parte dei quali sbagliati.

Lo spazio del pensiero critico è quello che le reti sociali hanno lasciato deserto. Oggi è necessario occuparlo. La ricerca su questo tema non è nuova e non mancano studi a cui attingere. Ma la consapevolezza è nulla senza concrete azioni politiche, e il governo in carica può far molto per realizzare almeno in parte i buoni propositi del Codice dell’Amministrazione Digitale, ormai prossimi a diventare maggiorenni. A questa riflessione sarà dedicato un Workshop dell’Internet Governance Forum di Torino, il prossimo 30 Ottobre.

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