L’esito delle recenti elezioni americane inciderà sul potere dei “giganti” di Internet? È la domanda del decennio e la risposta si sta formando in questi giorni. I sempre più complessi problemi regolatori in materia di antitrust, i problemi legati alla privacy e le fake news catalizzeranno presto un interesse centrale nell’ambito delle riforme governative da realizzare nei prossimi anni. Sembra difficile, tuttavia, immaginare un drastico cambiamento di scenario nel breve periodo, per molte ragioni.
Governo Biden e big tech: severità o linea morbida?
Lo scenario politico esistente sembra rendere però particolarmente difficile il dibattito, alla luce di una variegata esternazione di differenti punti di vista – poco conciliabili – nella ricerca del migliore compromesso possibile da ratificare tra distinte posizioni ideologiche.
Esistono orientamenti troppo eterogenei sulle coordinate di intervento da intraprendere al riguardo, in mancanza di una visione unanime che favorisca l’agevole emanazione dei necessari correttivi da approvare in materia, anche se il recente assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori del Presidente uscente Trump per contestare l’esito elettorale, imputato in qualche modo al ruolo di fomentazione attribuito ai social network, sembra rappresentare più che un valido pretesto per introdurre una regolamentazione più severa del settore.
Sul piano teorico, è largamente condivisa l’idea – più o meno in modo “bipartisan” da democratici e repubblicani – di intensificare il controllo pubblico sulle condotte anticoncorrenziali dei colossi del web per contenerne il crescente potere di mercato persino a costo di frenare il ritmo evolutivo dell’innovazione in funzione di una più rigorosa vigilanza antitrust, nell’ambito di una stringente regolamentazione del settore a tutela non solo della concorrenza ma anche dei diritti fondamentali degli utenti esposti al rischio di manipolazioni virtuali in grado di compromettere la privacy online e la libertà individuale alla propria autodeterminazione decisionale.
Al contempo esiste un atteggiamento politico più morbido – in qualche modo influenzato dal potere delle imprese tecnologiche di esercitare svariate pressioni di lobbismo, in costante aumento rispetto agli anni precedenti – favorevole all’espansione imprenditoriale delle big tech come rilevante fattore di crescita positiva del mercato nella direzione delle fiorenti prospettive dell’economia digitale in grado di assicurare benessere diffuso per tutta la società.
Di fronte a una questione politica non più rinviabile, il Governo presieduto da Biden sarà sollecitato a formalizzare un chiaro indirizzo operativo su come intenderà delineare i futuri rapporti con le big tech, decidendo se mantenere, in continuità con l’amministrazione Obama (di cui Biden è stato Vice Presidente), un orientamento “accomodante” mediante politiche remissive o comunque acquiescenti a supporto dello sviluppo tecnologico della “Silicon Valley”, oppure inaugurare l’inizio di una vera e propria “linea dura” per reprimere l’abuso di potere delle grandi aziende tecnologiche mediante l’adozione di misure restrittive volte ad accertare la sussistenza delle posizioni monopolistiche e delle condotte anticoncorrenziali che determinano distorsioni del mercato con conseguente concentrazione del dominio “tecno-economico” in capo ai “Giganti” di Internet.
Scudo legale per le piattaforme, la “moral suasion” è l’orientamento?
Nell’ambito del dibattito pubblico incentrato sulla necessità di introdurre riforme in grado di contenere il potere monopolistico delle imprese digitali, uno dei temi cruciali più critici su cui ruoterà il dibattito politico – già peraltro avviato durante l’amministrazione Trump – in ordine alle possibili riforme da realizzare (non solo nell’ambito della dialettica parlamentare limitata all’interno degli organi istituzionali competenti, ma coinvolgendo anche la società civile e l’opinione pubblica) riguarda la disciplina legislativa prevista dalla Sezione 230 del “Communications Decency Act” del 1996, nella parte in cui riconosce uno specifico “scudo legale” che funge da immunità contro il rischio di pubblicazione di contenuti illeciti online immessi dagli utenti terzi, garantendo ai gestori dei siti web e agli intermediari telematici un esonero di responsabilità dalle conseguenze dannose provocate sulle loro piattaforme.
Riconoscendo il rilevante impatto di Internet sull’incremento delle fonti informative accessibili grazie alla disponibilità di risorse consultabili online che consentono di favorire lo scambio di opinioni e di idee nell’ambito di un confronto pluralistico aperto e interattivo a beneficio di tutte le persone, la citata normativa del 1996 promuove lo sviluppo tecnologico della Rete, incoraggiando la progettazione di servizi informatici innovativi in condizioni di libero mercato, con l’intento di rimuovere tutti i possibili disincentivi di blocco e filtro che limitano l’accesso ai relativi contenuti, pur con l’intento di reprimere qualsivoglia attività illecita eventualmente posta in essere online.
In questo senso, la Sezione 230 del Communications Decency Act tutela la libertà di espressione e di innovazione su Internet, così da consentire che gli intermediari telematici (secondo una nozione configurabile in senso estensivo, comprensiva dei social network e dei blogger) che ospitano contenuti pubblicati da utenti terzi siano legislativamente protetti per evitare di incorrere in responsabilità al di fuori delle ipotesi eccezionali specificamente previste dalla normativa.
Rispetto alla posizione assunta da Trump che, in più occasioni, ha annunciato di voler abrogare tout court la Sezione 230 del Communications Decency Act, per ridimensionare il regime di protezione di cui godono gli operatori telematici, Biden sembra all’apparenza optare per una soluzione meno drastica e più moderata che prevede, in coerenza con la natura di bene fondamentale propria di Internet strettamente connessa al primo emendamento costituzionale in materia di freedom of speech, la possibilità di realizzare una riforma del quadro normativo di riferimento, mediante una modifica di tale disposizione, mantenendone però la vigenza, probabilmente anche sotto l’effetto della “moral suasion” esercitata dagli operatori del mondo imprenditoriale high-tech, tra i più attivi donatori della sua campagna elettorale e in stretti legami di lunga data con la Vice Presidente Kamala Harris.
In realtà, si tratta di una posizione non ancora ufficializzata sul piano politico-istituzionale che, peraltro, tenuto conto delle instabili oscillazioni esistenti sull’argomento, risulterebbe talvolta smentita da opposte dichiarazioni espresse dallo stesso Biden sulla revoca della norma, prendendo quindi le distanze dall’approccio politico “soft” di Obama, mediante opinioni rese note nel contesto della campagna elettorale, dettate perlopiù da esigenze di strategia comunicativa piuttosto che da un’effettiva volontà di procedere in tal senso, anche perché sul piano pratico, qualsivoglia intervento realizzabile in materia dipenderà non solo dalla visione personale del Presidente ma dal concreto supporto parlamentare variabile in base alle compagini politiche che si formeranno all’interno del Congresso.
Conclusioni
Di certo, in uno scenario geopolitico particolarmente complesso, in cui la regolamentazione tecnologica costituisce un fattore strategico decisivo per la definizione dei rapporti di forza tra poteri statali e oligopoli digitali, sembra comunque difficile ipotizzare significati mutamenti del quadro normativo vigente in tempi brevi, essendo verosimile prevedere, anche alla luce di una perdurante condizione di instabilità politica, un pressoché integrale mantenimento della legislazione attuale al netto di poche eventuali misure integrative che potrebbero essere adottate nel breve/medio termine soprattutto dal punto di vista repressivo/sanzionatorio, senza dunque sostanzialmente incidere in modo significativo su tale settore.