il paradosso

Privacy sui social, il problema della scarsità cognitiva e qualche soluzione

Gli utenti si trovano in condizione di scarsità cognitiva e tendono a condividere troppe informazioni sui social media. Ecco gli studi che analizzano il problema e le soluzioni ipotizzate

Pubblicato il 21 Feb 2018

Giuseppe A. Veltri

Professor in Research Methodology & Cognitive Sociology Department of Sociology and Social Research University of Trento

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Ho concluso di recente uno studio [1] che esplora il rapporto tra la scarsità cognitiva e la tendenza a condividere informazioni personali online.

Per scarsità cognitiva si intende la capacita limitata che abbiamo nel compiere alcune attività cognitive. Nello specifico, abbiamo testato due forme diverse di scarsità relativa a due attività cognitive coinvolte nella condivisione di informazioni personali online.

  • La prima riguarda la capacità di auto-regolamentazione, di contenere i nostri impulsi.
  • La seconda riguarda la capacita di tenere a mente informazioni recenti, la nostra memoria di lavoro.

Entrambi questi aspetti giocano un ruolo nel modo in cui le persone prendono decisioni e di conseguenza intervengono quando decidono di condividere o meno informazioni online.

Il paradosso privacy

Nella letteratura scientifica sulla privacy, molti studi hanno identificato il cosiddetto ‘privacy paradox’, il paradosso della privacy. Questo paradosso nasce dal fatto che le persone solitamente tendono a dare una elevata importanza alle questioni di privacy quando gli viene chiesto di valutarle attraverso questionari o durante interviste.

Allo stesso tempo, però, quando si tratta di comportamenti, tendono ad essere molto disinvolti nel condividere informazioni. Il quadro si complica se si considera che fattori contestuali giocano un ruolo: il look di un sito può influenzare il grado di ‘rivelazione’ di informazioni online; il tipo di informazione coinvolta; come viene presentata; l’uso di default option e cosi via.

Per una sintesi degli studi sulla privaci, si consiglia Acquisti et al (2015) [2]. In questo contesto, questo studio contribuisce a fornire una spiegazione al paradosso della privacy. Molti studi precedenti, infatti, assumono una condizione di normalità cognitiva quando gli utenti fanno delle scelte online, mentre invece è molto più plausibili che le loro capacita cognitive siano limitate.

I risultati mostrano che inducendo entrambe le forme di scarsità cognitiva le persone tendono a rivelare maggiori informazioni su loro stesse, in particolare di informazioni considerate sensibili. Naturalmente, come ogni studio, vi sono dei limiti a questa ricerca ma i risultati sono in linea con quanto suggerito dalla letteratura scientifica precedente.

L’aspetto interessante è che questi risultati mettono in discussione alcune soluzioni classiche al problema della privacy online: dare maggiori informazioni alle persone su come i loro dati sono utilizzati. Aumentando la complessità e carico cognitivo della scelta, ad esempio attraverso il fornire maggiore informazione, le probabilità sono che questo incrementi piuttosto che riduca i rischi di privacy. Infine, possiamo discutere anche di come questi risultati suggeriscano delle strategie di design che aiutino a minimizzare i rischi di eccessiva condivisione di informazioni a scapito della privacy degli utenti/cittadini.

Una soluzione al problema

La prima indicazione è quella che il decidere il proprio livello di privacy dovrebbe essere fatto in modo semplice con l’aggiunta di una revisione della propria decisione periodica. Qualcosa di simile è in fase di implementazione su alcune piattaforme social. L’altro punto è maggiormente legato al cittadino: essere ben consapevole di cosa voglia dire tutelare la propria privacy e i rischi annessi deve diventare parte del nostro bagaglio di conoscenza comune sin dalla scuola. In alcuni paesi, sono stati introdotti già dagli ultimi anni delle scuole elementari corsi sull’uso consapevole del web per bambini. Per i cosiddetti nativi digitali, infatti, essere cresciuti in un ambiente tecnologico già avanzato e potenzialmente problematico per la loro privacy rende la necessità di questa nuova forma di istruzione essenziale. In questo caso, la triangolazione scuola, genitori, studenti rappresenta la soluzione probabilmente maggiormente efficace: istruire gli studenti, rendere consapevoli i genitori sul loro ruolo, dare alla scuola il compito di fornire un livello di consapevolezza di base per tutti i cittadini.

La presenza di un numero sempre maggiore di strumenti di marketing che hanno come obiettivo i giovanissimi, rende questo tema piuttosto urgente. Basti pensare ai giochi online gratuiti che hanno come costo di accesso le informazioni dell’utente e che possono facilmente attrarre gli utenti più giovani iniziando a profilarli.

Dare una istruzione di base, una alfabetizzazione di partenza sull’uso consapevole delle Web, nelle sue enormi potenzialità come strumento di conoscenza ma anche come fonte di rischi rappresenta uno dei nuovi pilastri delle cittadinanza nelle società contemporanee in cui la distinzione tra online e offline diventa sempre meno facile da riconoscere.

Note
[1] Veltri, G.A. & Ivchenko, A. (2017), The impact of different forms of cognitive scarcity on online privacy disclosure. Computers in human behaviour 73, 238-246.  https://doi.org/10.1016/j.chb.2017.03.018
[2] Acquisti, A., Brandimarte, L., & Loewenstein, G. (2015). Privacy and human behavior in the age of information. Science, 347(6221), 509–514.

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