Era il 2015 e No Man’s Sky utilizzò una grafica procedurale nel proprio game play, descrivendo tale implementazione come una vera e propria svolta nel mondo video-ludico. Inizialmente il gioco si presentò al mercato pieno di bug, pertanto il successo non arrivò immantinente, nonostante la strategia di marketing con cui il piccolo team di sviluppatori (Hello Games) descriveva la possibilità di una rigiocabilità infinita avesse attirato l’attenzione di tutti.
Al di là dell’esperienza procedurale applicata alla grafica di No Man’s Sky, timide sono state le successive scelte di affidare la storia al machine learning. Quando una macchina sarà finalmente libera di scrivere codici, allora i videogiochi potranno simulare la libertà. No Man’s Sky si limita a ricombinare all’infinito le galassie, dando modo al giocatore di trovare specie aliene sempre nuove da raccogliere, esplorazioni ogni volta diverse, ma per quanto concerne la storia, essa resta lineare: “Prima fai questo, poi fai quell’altro ché quello è l’obiettivo e non cambierà in nessuno dei mondi che troverai”.
La scelta procedurale, inoltre, è anche un modo per occupare meno memoria nei pc: invece di scaricare l’infinito esso resta potenziale, una possibilità in mano all’algoritmo. Secondo Noam Chomsky anche la nostra capacità linguistica si basa su un principio simile. Abbiamo una base innata di regole grammaticali che possiamo usare inizialmente per estrarre e acquisire le specificità di una lingua particolare e poi per generare e trasformare all’infinito le frasi, producendo sensi potenzialmente infiniti. Non è un caso: anche noi siamo specie di calcolatori, ma molto limitati, quindi per ovviare al problema di una memoria poco capiente e di risorse deboli, applichiamo la strategia procedurale di No Man’s Sky e di molti altri giochi, dove però essa, come già detto, si è fino a ora limitata alla grafica.
Valheim
Valheim, gioco di genere survival e sandbox, svilppato dalla casa Iron Gate Studio fa parte delle uscite del 2021 con un impianto procedurale sempre legato alla grafica. Si tratta di un open world incentrato sulla mitologia norrena. Secondo i dati che pubblicava a febbraio Wired, già dopo due settimane dall’uscita, i download erano tre milioni, raggiungendo a marzo i cinque milioni. Un successo straordinario, considerando, oltretutto, che si trattava di un’uscita anticipata.
Il gameplay è apparentemente il solito del genere survival. Consiste nella costruzione di strumenti, di armi, di rifugi, di castelli. Si esplora, si sopravvive, si caccia e si coltiva, con la differenza, però, di non dover morire di fame ogni tot come succede di norma negli altri titoli del genere. Si può giocare da soli o in modalità multiplayer. L’ambiente, inoltre, è creato proceduralmente: va dai laghi, alle foreste nere, ai monti, ai prati (siamo nella canzone di Scanu di qualche anno fa?). I nemici o gli oggetti che si possono trovare hanno un livello di difficoltà che dipende dall’ecosistema in cui ci troviamo. Si può anche decidere di partire per rotte, in questo caso per davvero sconosciute. L’unica costante, per ogni scelta nel gioco, è quella di ottenere la grazia di Odino.
Illustrazione 2: Valheim
The Anacrusis
The Anacrusis, appena annunciato all’Xbox Showcase Extended e al Summer Game Fest, al contrario, sembra essere un titolo in cui la proceduralità viene applicata in misura maggiore alla storia. Si tratta di un cooperative first-person shooter che permetterà ai giocatori di avere esperienza di centinaia di storie diverse. Il concept è certamente visto e rivisto: il team deve cooperare per sopravvivere contro orde di alieni. Si spara, si corre, si ricomincia. Il fatto nuovo è che ogni volta che si ricomincia l’esperienza è differente. Il programma, l’AI driver come lo definisce Faliszek, il CEO di Stray Bombay, è in brado di tenere conto delle azioni compiute, delle caratteristiche dei giocatori per proporre ostacoli calibrati ad hoc sul team, trasformando la sfida in un reciproco adattamento uomo-macchina strategico.
Recentemente lo youtuber Harrison Kinsley ha pubblicato un video in cui mostrava il risultato ottenuto attraverso GameGAN. Si tratta di una rete generativa creata da Nvidia in grado di creare nuovi giochi imitando quelli su cui è stata addestrata. In questo caso i dati in ingresso erano quelli di un’autostrada di Grand Theft Auto, ma poteva essere qualunque altro esempio di scena e azione. Un anno fa ad esempio GameGAN è stata addestrata per ricreare Pac-Man imitando il game play di un’altra IA che giocava a questo noto arcade. Tale progetto, direi ricorsivo, fu condotto dallo stesso sviluppatore che ha lavorato insieme a Kisney a “GAN Theft Auto”. Ciò che è assolutamente sbalorditivo è come la rete sia stata in grado di ricreare non solo la scena nel suo aspetto più macroscopico, quanto piuttosto la cura dei dettagli. La coerenza di ombre e riflessi è perfetta.
La possibilità che questa rete offrirebbe allo sviluppo di giochi è molto interessante, purché non venga impiegata per velocizzare la tendenza, già in atto da anni, di produrre saghe, sequel, plagi. Se in futuro un videogame avesse bisogno di pochi dati in memoria e il resto lo creasse il programma di machine learning man mano che il gamer procede, a imitazione di quanto avuto in pasto nell’addestramento, potremmo giocare in streaming senza aver bisogno di specifiche tecniche particolari? Potremmo accedere al repository di giochi online anche da un computer meno costoso? Questo potrebbe finalmente allargare il mercato di videogiocatori, dilatando contestualmente la possibilità creativa e l’offerta di storie. C’è da dire che presto chiunque, anche senza particolari competenze di programmazione, potrà creare un gioco a partire da un game-play di esempio, democratizzando la tecnica e aprendo la porta a una vera industria indie come è già da tanti anni per la musica. Inoltre se fosse possibile dare alla rete video di esseri umani, ne risulterebbe un videogioco in cui i movimenti, le animazioni, il design grafico potrebbe essere sempre più simulativo, a immagine e somiglianza della realtà, vario com’è quest’ultima.
La nostra voce vivrà dopo di noi, grazie all’AI: siamo sicuri che è una cosa buona?
Conclusioni
Ubisoft stessa sente l’esigenza di integrare l’Intelligenza Artificiale nei videogame in modo più complesso e maturo. È per questo che ha aperto, nelle sue sedi di tutto il mondo, gruppi che si occupano di ricerca e sviluppo nel settore “Artificial Intelligence”.
L’obiettivo è vedere applicata la tecnologia di machine learning perché finalmente sia pronta a offrire modalità di gioco effettivamente nuove e creative. Il fine che si è posta Ubisoft è quello di proporre contenuti che non cambiano solo graficamente. L’immaginazione è lo scopo.
Oltre alle azioni e al tipo di missioni, al genere che via via può evolvere, come accade nella vita naturale, in cui passiamo frequentemente da un ruolo a un altro, da un’attività a un’altra, da hard skill a soft skill, i videogame dovranno includere sistemi di Natural Language Processing (NLP), capaci di rendere la comunicazione con i personaggi più autentica e impattante. Anche i sistemi di voce artificiale potrebbero avere un ruolo. Immaginiamo che una decisione del videogamer cambi improvvisamente il contesto, anche il personaggio non giocabile dovrà adattare il suo tono e il contenuto.
Presto sarà possibile implementare voci create con una tecnologia simile a quella del deep fake. Ci sono start-up che si stanno già dedicando a questo interessante obiettivo. Da filosofa ho alcune idee in questo senso… e da giocatrice non vedo l’ora che i tempi siano maturi per l’ingresso pieno dell’IA nel videogioco.