L’incertezza e la complessità, che caratterizzano il contesto economico globale, rendono intrinsecamente fragili le previsioni economiche e occupazionali, per non parlare di quelle relative alla dinamica dei movimenti geo-politici, che oggi più che mai influiscono sulla non linearità dell’evoluzione tecno-economica.
È tuttavia fondamentale esaminare attentamente la situazione per mettere in luce segnali e informazioni utili a delineare tendenze sufficientemente precise, al fine di trarne indicazioni di prospettiva e quindi elaborare direttrici strategiche.
Ciò è tanto più importante nei periodi di grandi trasformazioni, come quello odierno, in cui pandemia, crisi climatica e dinamica tecnico-scientifica caratterizzano un sistema complesso globale con un elevato livello di criticità. Proprio in tali situazioni, infatti, diviene essenziale acquisire informazioni e riflettere attentamente con un approccio sistemico, perché le direzioni di evoluzione possibili sono molteplici e quindi la conoscenza della gamma di potenzialità e rischi diventa l’ingrediente basilare per formulare strategie d’intervento, che siano in grado di orientare la dinamica complessa in atto.
È da evitare il rischio di effettuare estrapolazioni lineari da trend embrionali, perseguendo invece una prospettiva sistemica. Queste considerazioni valgono ancora di più in materia di evoluzione occupazionale, dal momento che la pandemia sembra aver accelerato tendenze preesistenti, le cui conseguenze sembrano univoche, ma tali non sono, come cercheremo di argomentare.
Un esame attento può per contro fornire spunti cruciali per prendere in considerazione sentieri alternativi, sui quali è possibile (e doveroso) agire.
L’accelerazione pandemica di tendenze preesistenti
Il punto iniziale su cui riflettere è che il Covid-19 sta amplificando enormemente tendenze in corso da alcuni anni, tra le quali tre basilari:
- Impiego esteso di intelligenza artificiale (IA).
- Platform economy.
- Mutamento graduale, ma profondo, delle operations in tutte le attività.
Per spiegarle descriveremo brevemente i processi che le hanno generate in una sequenza logica e strutturale.
Innanzitutto dagli anni ’90 in poi è iniziata l’introduzione pervasiva di cyber-physical systems (CPS), che sono “physical and engineered systems whose operations are monitored, coordinated, controlled and integrated by a computing and communication core. This intimate coupling between the cyber and physical will be manifested from the nano-world to large-scale wide-area systems of systems (Rajkumar et al., 2010). Questi dispositivi, 10 anni fa ipotizzati, sono orami ovunque; auto, strade, centrali, oggetti, processi produttivi di beni e servizi, e così via. I CPS producono una mole crescente di flussi multidirezionali di informazioni, che spingono verso la ricerca di maggiore potenza computazionale, che a sua volta genera ulteriori flussi informativi, in un circuito di feedback cumulativi apparentemente senza fine.
Negli smartphone e nei progetti tecnico-scientifici di strumenti che siano combinazioni funzionali di smartphone e PC vi è un’esigenza non procrastinabile di IA. Di qui l’impiego progressivo a tutti i livelli di sistemi algoritmici, sia in ambito personale che in quello delle cosiddette operations¸ cioè le sequenze variabili di fasi e task, che generano una domanda sempre più specifica.
Impiego esteso dell’IA
Tutto questo ha in una prima fase interessato le imprese-unità più strutturate, partendo dai techno-giants del web[1] per poi estendersi progressivamente a sfere sempre più ampie di apparati di produzione. La pandemia ha accelerato il trend estendendolo anche ad aree territoriali ed economico-produttive, che all’inizio ne facevano un uso molto minore o nullo.
L’effetto più rilevante di questi processi è la tendenziale trasformazione delle imprese da entità compatte in insiemi di processi organizzati intorno a quattro elementi basilari (Iansiti e Laknhani, 2020):
- pipeline di dati, cioè raccolta ordinata e sistematica di dati da elaborare in modo “scalabile”.
- Algoritmi, per estrarre linee evolutive su cui modellare azioni in orizzonti temporali variabili, a seconda delle estrapolazioni algoritmiche.
- Graduale evoluzione delle strutture operative experimental platform, perché attraverso piattaforme (infrastrutture, software, architettura funzionale) più o meno embrionali l’insieme delle sequenze di fasi e task possono essere controllate e rese congruenti rispetto agli obiettivi (qualità dell’output, profitto, ecc.) L’aggettivo sperimentale significa che i processi innovativi e le sfide competitive possono imporre la necessità di variazioni esplorative in nuovi campi di conoscenza teorica e pratica, al fine di sostenere e cambiare il proprio modello di business o di offerta di servizi.
- Infrastruttura del sistema, che consente la dinamica connettiva tra gli attori.
Su queste basi l’impresa diviene macchina decisionale data-driven (decision factory) che, essendo in grado di processare flussi rilevanti di informazioni, può operare in un’ottica multi-scala, con continue variazioni qualitative e quantitative della propria offerta. Il motivo dell’agile enterprise, oggi ricorrente nella letteratura manageriale, si basa appunto su questi fattori e processi basilari, a cui ovviamente si unisce un’appropriata propensione all’elaborazione strategica, il cui approfondimento esula dal presente contributo.
Il punto di arrivo della riflessione è quindi il seguente: preesiste alla pandemia la tendenza verso l’impresa come AI-company, intesa come macchina decisionale, che sperimenta continuamente nuove soluzioni e può riconfigurare le operations attraverso le funzionalità connesse alla propria piattaforma.
Platform Economy
Il concetto di piattaforma è ampiamente sviluppato nella letteratura manageriale, con applicazioni in molte tipologie di attività socio-economiche e politico-culturali, a partire ovviamente dai Techno-Giants. Proponiamo alcune definizioni, perché ci sembrano utili per mettere a fuoco la questione del futuro del lavoro. Uno dei contributi più importanti in tema è certo la definizione di Robertson e Ulrich (1998: 20): “collection of as.sets that are shared by a set of products….components …. Processes… kowledge…. People and relationships”. Un insieme di asset condivisi, quindi, da un insieme variabile di attori.
Muffatto e Roveda (2002) arricchiscono il concetto con l’idea di un prodotto, risultato di sotto-sistemi che interagiscono mediante una struttura di hardware, software, funzioni, in grado di coordinare: “a product platform is a set of subsystems and interfaces intentionally planned and developed to form a common structure from which a stream of derivative products can be efficiently developed and produced”. Iansiti e Levien (2004) arricchiscono ulteriormente il quadro con l’idea di eco-sistema, le cui componenti utilizzano servizi, tools e tecnologie per aumentare e migliorare le proprie performance. Gawer e Cusmano (2017: 418) qualificano l’analisi sul piano operativo distinguendo tra internal platform ed external platform[2]. Quest’ultima è al centro del loro lavoro, ma ai nostri fini è da tenere presente la prima, perché vedremo come essa sia importante per comprenderne la pervasività in tutti gli ambiti del sistema socioeconomico, indipendentemente dalla dimensione e dalla tipologia della specifica attività svolta.
Siamo quindi pienamente entrati in un mondo caratterizzato da “highly digitized organizations” (Yonatany, 2017). Pertanto qualsiasi tipo di entità decisionale può organizzare o accedere alle piattaforme, le quali “provide a set of shared techniques, technologies, and interfaces to a broad set of users who can build what they want on a stable substrate.” (Zysman e Kenney, 2018: 56). In sostanza, quindi, le piattaforme sono “algorithm-enabled “cyberplaces” where constituents can act, interact, and transact” (ivi. 56), grazie a risorse computazionali una volta scarse e costose, ed ora abbondanti e accessibili anche con risorse finanziarie non elevate (Kushida et al., 2015).
Il dato più rilevante dell’ultimo decennio, con un incremento molto forte nell’ultimo anno, è la diffusione capillare di piattaforme più o meno embrionali in ogni tipologia di attività, appunto come algorithm-based cyberplaces¸ dove entità molto differenti interagiscono e scambiano informazioni, prodotti, tecnologie.
Mutamenti nelle operations
L’analisi precedente è essenziale comprendere come, nel mondo fisico-cibernetico in cui siamo entrati, le configurazioni delle operations, prima definite, possano cambiare di continuo e gli algorithm-based cyberplaces sono molto più vicini di quanto si pensi. Se il primo pensiero va alle grandi piattaforme dei techno-giants, si fermi l’attenzione sui bar-tabacchi e su edicole, dove possiamo pagare bollette, contributi INPS, spedire pacchi postali, tributi di vario genere, e così via. Alternativamente si guardi ad un negozio di generi alimentari che –dotato di smartphone, tablet e supporto informatico esterno – diventa centro di una serie “filiere corte” di prodotti di qualità, talvolta combinate con filiere di prodotti a scala molto più vasta. In semplici esempi come questi, per non prendere in esame quelli inerenti ad attività economico-produttive più strutturate del manifatturiero e a quelle tradizionalmente definite terziario, troviamo praticamente espressioni di proprietà che derivano dall’organizzare direttamente mini-piattaforme o dal partecipare a quelle organizzate da altri: varietà del prodotto/servizio, ampliamento della gamma di attività, facilità di accesso a costi ridotti, scalabilità, accelerazione nel rispondere alla domanda e alle sfide competitive, estensione delle fonti e delle forme di redditività. È doveroso sottolineare due aspetti su tutti: varietà e scalabilità, che significano potenziamento quantitativo e qualitativo delle proprie attività e loro indefinita capacità di diversificazione.
Ecco, dunque, cosa vuol dire mutamenti nella struttura delle operations: le tradizionali, consolidate sequenze di fasi e task sono destinate a cambiare più o meno profondamente. Mutano infatti la natura e la composizione delle funzioni e delle attività per qualsiasi tipo di entità (economica, sociale, istituzionale), mentre si ridefinisce la loro struttura, quindi l’architettura strategica e operativa. Un’implicazione fondamentale di tutto questo è che le abilità individuali, i compiti lavorativi, i lavori in genere e le competenze non possono evidentemente restare invariati.
Prima di procedere all’approfondimento di questi temi, riassumiamo allora le tendenze di fondo:
- Le entità di qualsiasi natura divengono macchine decisionali, basate su volumi crescenti di dati.
- L’impiego di sistemi algoritmici con differenti gradi di complessità diviene un’esigenza diffusa in modo granulare in qualsiasi ramo di attività.
- La ristrutturazione estesa e profonda dei cicli operativi, in atto da tempo, è stata accelerata in modo di funzione[3] dalla crisi pandemica e sarà ancora più importante alla luce delle risposte che occorre dare alla crisi climatica in termini di ripensamento delle strategie di produzione, organizzazione dei mercati, ristrutturazione delle infrastrutture logistiche.
Elementi centrali della dinamica che stiamo illustrando, anche questi enormemente accresciuti dalle vicende legate al Codiv-19, sono il sovrapporsi e l’intersezione sempre più frequente tra componenti di sequenze molteplici di fasi. In altri termini, i confini tra filiere e settori sono di fatto completamente permeabili, com’è logico che sia in un mondo pervaso da algorithm-enabled cyberplaces, dove interagiscono agenti individuali e collettivi in modo trasversale.
Su tutto questo si sono poi innestate le spinte potenti verso un’automazione sempre più ampia di compiti e funzioni lavorative. Ancora una volta la crisi pandemica ha agito da acceleratore di tendenze in atto, cercheremo di spiegare, delineando una pluralità di traiettorie possibili. Lo sviluppo di conoscenze approfondite è essenziale per orientare le direttrici future dello sviluppo, specie se si ha la consapevolezza che è in gioco il destino del Sistema-Terra e dell’umanità che di essa vive.
Automazione, processi lavorativi e occupazione: tendenze e possibilità
Definito il quadro di fondo, per comprendere i possibili effetti di medio-lungo periodo degli attuali processi automazione è opportuno chiarire preliminarmente alcuni concetti-base con l’ausilio di recenti pubblicazioni del Joint Research Center della Commissione Europea (d’ora in poi JRC-EU): task, skills, skill domains, competences.
Definiamo innanzitutto il task come “una unità discreta di attività di lavoro che contribuisce alla produzione di un output economico” (JRC-EU, 2021: 7). Gli skills sono “le abilità di eseguire bene un determinato task” (ivi: 9), tenendo presente che tasks e skills possono essere raggruppati in cluster, denominati domains: gli skills domains possono essere molto complessi a seconda della complessità delle componenti specifiche richieste (pratico-manuali, tecnico-scientifiche, integrative di molteplici conoscenze, attitudinali a fini di leadership.
Le competenze sono definite come le abilità di ottenere performance elevate in particolari cluster di compiti lavorativi (ivi: 12, traduzione nostra come le precedenti). Esse sono più ampie degli skills, perché richiedono molto di più di un set specifico di skills, come ad esempio la capacità di comprendere un dominio di conoscenze nel suo insieme (integrazione cognitiva), l’attitudine a essere propulsori di conoscenze nell’ambito di pertinenza.
Chiariti questi concetti preliminari, vediamo come i processi di automazione in atto e tendenziali nello scenario internazionale possono incidere su di essi nella pratica. L’accelerazione pandemica sta di fatto accentuando tre aspetti fondamentali: 1) la spinta decisiva verso entità decisionali data-driven è ormai determinante, perché stanno cambiando i modelli di produzione, di consumo e quindi di rapporto tra domanda e offerta di skills e competenze sia nella produzione che nella distribuzione. La reingegnerizzazione generalizzata dei processi in tutte le attività e con essa l’aumento del ricorso al lavoro on demand, come nel caso di Upwork, piattaforma basata su IA, che mette in connessione professioni free-lance, o di Google-Kaggle, che facilita interazioni per la risoluzione di problemi nella comunità dei data-scientists e di esperti in Machine Learning (BCG, 2020a). Queste due realtà sono esempi paradigmatici dei cambiamenti in atto in un contesto imperniato sui meccanismi appena descritti. In tale quadro dinamico si innestano spinte potenti verso l’introduzione di nuovi e importanti strumenti di automazione, come la Robotic Process Automation (d’ora in poi RPA). L’automazione dei processi di business, a cui si riferisce essenzialmente la RPA, ha tre obiettivi principali: 1) ridurre i costi; 2) migliorare la produzione; 3) automatizzare a tal fine processi che (ancora per il momento) richiedono bassi livelli di conoscenze ed un’alta frequenza di esecuzione.
Prima di vedere nel dettaglio quali attività sono già automatizzate e quali prevedibilmente lo saranno nel prossimo futuro, è bene introdurre la definizione di RPA, elaborata dall’Institute for Robotic Process Automation and Artificial Intelligence (IRPA/AI) (The Automation of Knowledge Work Will be This Decade’s Engine of Growth): “Robotic process automation (RPA) is the application of technology that allows employees in a company to configure computer software or a “robot” to capture and interpret existing applications for processing a transaction, manipulating data, triggering responses and communicating with other digital systems”. Come si evince chiaramente la RPA mira a sostituire i knowledge workers, i lavoratori della conoscenza, mediante la technological extrapolation dei lavoratori umani, togliendo loro “compiti strutturati e ripetitivi” (IEEE, 2020). In effetti la RPA tende a sostituire le persone “by automation done in an “outside-in’’ manner. This differs from the classical “inside-out” approach to improve information systems.” (van der Aalst et al., 2018). Questo significa che la RPA è un agente artificiale in grado di interagire con differenti sistemi informativi, che restano intatti, mediante appropriati tools, in modo da eseguire attività di mapping tra strutture dati, con introduzione di cambiamenti, aggiunta di informazioni, correzione di errori. Tecniche di IA e ML consentono quindi di automatizzare compiti ripetitivi con un livello moderato di contenuti cognitivi, comunque tradizionalmente affidati a persone.
In sostanza, la RPA consiste di fatto in “robot to capture and interface with existing applications for processing a transaction, manipulating data, triggering responses and communicating with other digital systems. RPA intends to assist or remove a human activity,” (Kommera, 2019). Si tratta pertanto di compiti /task finora eseguiti da umani, per esempio nel mapping tra database strutturati e non strutturati con aggiornamenti, correzioni e conseguente rapidità di effettuazione delle stime richieste.
Una conseguenza importante dal punto di vista dei vantaggi per le imprese che ricorrono alla RPA è la notevole riduzione dei costi, oltre alla possibilità di evitare o ridurre drasticamente gli errori: uno studio Capgemini (2016: 12) stima che l’introduzione di software robot può portare alla riduzione di un 1/3 del costo di un occupato full-time esterno (offshore FTE) e di 1/5 di uno interno (onshore FTE), con un risparmio complessivo tra il 20% e il 50% e una riduzione degli errori fino al 20%.[4]
La prospettiva per i lavoratori della conoscenza è quindi non esaltante: “One “robot” equals one software license and, in general, one robot can perform structured tasks equivalent to two to five humans.” (Lacity e Willcock, 2015). Poiché naturalmente non tutti i processi di business possono essere automatizzati, sono stati avanzati criteri in base ai quali la RPA è applicabile: 1) contenuto livello di conoscenze per lo svolgimento. 2) Elevata frequenza di esecuzione dei compiti. 3) Standardizzazione con una moderata possibilità di dover controllare le eccezioni. 4) Attività con probabilità di errori dovuti a interventi umani (inserimento dati, variazioni, controlli incrociati tra database) (Fung, 2014; Penttinen et al., 2018; IEEE, 2020)[5].
Lo scenario è quindi problematico: la tendenza all’automazione va ben oltre la sostituzione degli umani in lavori ripetitivi, faticosi e usuranti, perché si erodono attività che richiedono contenuti cognitivi, anche se in gran parte ripetitivi, ma la strada è tracciata verso “traguardi” più ambiziosi.
Le ipotesi sul futuro
Le ipotesi sul futuro sono disarmanti. KPMG (2019) prevede per gli Usa, il Paese più avanti nel ricorso alla RPA, che tra il 2019 e il 2025 il mercato del lavoro della conoscenza sarà interessato per circa 9000 miliardi di dollari, mentre il World Economic Forum (WEF, 2018, The Future of Jobs Report) stima cambiamenti del rapporto uomo-macchina tali per cui la quota del lavoro umano scenderà dal 71% (29% quello delle macchine) nel 2018 al 58% (42% quella delle macchine) nel 2022.
Al di là del dato quantitativo, ovviamente soggetto a margini i prevedibili di aleatorietà, resta il quadro tendenziale dell’avviata e progressiva sostituzione degli umani in funzioni con contenuti cognitivi sempre più marcati. È quindi probabile che l’automazione dei knowledge works provocherà una ridefinizione sostanziale dei tasks e degli skills richiesti agli umani. In breve, ci sarà una nuova composizione dei compiti lavorativi con spinte contrastanti: da un lato si avrà una riduzione quantitativa dei lavori, dall’altro vi sarà la possibilità di un miglioramento qualitativo delle competenze richieste agli umani, ma non è dato definire in modo attendibile se e dove verrà creata occupazione aggiuntiva, a compensazione di quella persa con l’introduzione della RPA. L’unico elemento a cui si può essere certi è che verranno sempre più eliminati gli uninteresting jobs, compiti e attività più semplici, riducibili a regole codificate, tradotte in istruzioni algoritmiche che ammettono contenuti margini di variazione, liberando così gli umani per svolgere funzioni che richiedono “emotional intelligence, reasoning, judgment and interaction with the customer” (MGI, 2016: 1). In sostanza, non siamo ancora nell’automazione cognitiva, che attiene a una piena comprensione del linguaggio naturale, al ragionamento e alla valutazione, all’analisi del contesto e del significato in relazione ai contesti di pertinenza.
È possibile, però, che la RPA sia solo un elemento di ciò che in MGI (2017a: IV) viene chiamata Intelligent Process Automation (IPA), che comprende un insieme di nuove tecnologie derivanti dalla reingegnerizzazione dei processi, grazie alla combinazione di RPA e ML: “IPA mimics activities carried out by humans and, over time, learns to do them even better. Traditional levers of rule-based automation are augmented with decision-making capabilities thanks to advances in deep learning and cognitive technology.”In sintesi, IPA = RPA+ML+Advanced Analytics +NLG + Cognitive Agents, dove NLG significa Natural Language Generation, cioè sistemi di software capaci di gestire senza soluzione di continuità interazioni uomo-macchina, mentre Cognitive Agents sono la combinazione di NLG e ML, che consente la creazione di una forza lavoro virtuale “capable of executing tasks, communicating, learning” (ivi: V).
Comunque sia, le sequenze economico-produttive in ogni sfera sono soggette a un’intensa evoluzione e, come abbiamo affermato all’inizio, nelle operations si eserciterà un forte impatto della RPA, dal momento che con le tecnologie esistenti sono automatizzabili l’81% del lavoro fisico, il 69% del data processing e il 64% del data collection (MGI, 2019). Questo avviene anche perché la RPA si differenzia dalle tecnologie tradizionali per tre aspetti: 1) implementazione molto rapida (stimata in un mese). 2) Basse barriere all’entrata, perché essa si può sovrapporre alla infrastruttura già esistente con un addestramento molto veloce delle persone. 3) Controllo aumentato, in quanto essa contiene componenti di controllo e automonitoraggio.
Da questo breve excursus possiamo dedurre che le forme specifiche assunte oggi dal processo di automazione delle attività umane lascino indenni pochi tasks, skills, competenze. Si pone, quindi, un grande problema di cambiamento e ridefinizione dei ruoli e degli spazi cognitivi per molte professioni: avvocati, medici, bancari, lavoratori del ramo assicurativo, oltre che ovviamente nel manifatturiero radicalmente trasformato. Si tratta di cambiare skills, ridefinire conoscenze e modalità operative. Quanti saranno in grado e potranno apprendere domini di conoscenza differenti da quelli attualmente posseduti? Aggiungiamo che specialisti con esperienza diretta sul campo hanno recentemente messo in evidenza (MGI, 2020) che il 30% della forza lavoro mondiale vedrà l’automazione dei propri jobs e quasi il 75% dei jobs ha fino al 30% di task suscettibili di essere automatizzati. Ciò avviene in modo particolare con una sequenza già in parte indicata prima: inserimento dati nei database, loro aggregazione insieme a parte dell’analisi e della presentazione dei risultati.
Quale può allora essere una ulteriore macro-conseguenza dell’analisi svolta per tutte le attività, compresi retail, banche, assicurazioni, lavori di ufficio basati su computer, produzione e manutenzione in genere?
È ipotizzabile con fondamento che dato il contesto odierno, descritto all’inizio, si consolidi una divaricazione nel mondo del lavoro tra l’aumento dei lavori altamente remunerati e a forte contenuto cognitivo-decisionale da un lato, e dall’altro la diminuzione di quelli più poveri sia dal punto di vista delle prestazioni richieste che dei compensi (middle and low wage job decline) (MGI, 2021), come si evince dalla Tabella 1, riferita agli USA
Tabella 1
Fonte: MGI (2021, Exhibit E7)
L’insieme dei processi descritti e gli effetti aggregati appena esposti interessano già quasi tutti i Paesi coinvolti da una recente indagine (MGI, 2021)
Fig. 1
Fonte: MGI (2021, Exhibit E9)
Si pone dunque per tutti i sistemi sociali l’esigenza di affrontare nei prossimi anni il problema massivo di transizione lavorativa e di riqualificazione di una quota non irrilevante della popolazione, con rischi elevati di circuiti viziosi tra fattori socio-politici, che esulano da questa analisi, anche se strettamente interrelati.
A complicare e rendere ancora più problematico lo scenario c’è però una considerazione analoga a quella riservata per i fenomeni trattati. Intendiamo riferirci agli effetti della interconnessione tra processi di automazione di attività a maggior contenuto cognitivo rispetto a quelli tradizionali e il diffondersi dell’impiego di piattaforme.
Una serie di studi a livello europeo ed episodi di recente accaduti in vari Paesi offrono spunti interessanti di riflessione.
Come rispondere ai cambiamenti profondi della “natura del lavoro”
Dall’analisi svolta risulta chiaramente che le opportunità nel prossimo futuro richiederanno il possesso di “digital and cognitive skills”. I lavori più vulnerabili sono quelli con bassi livelli formativi, tali da non implicare complesse relazioni sociali e prevalentemente basati su Componenti esecutive di tipo routinario.
Saranno create nuove opportunità di impiego, in primo luogo, per lo sviluppo e il potenziamento continuo degli strumenti di IA e delle piattaforme.
È ovviamente difficile prevedere per l’EU-28 dove aumenterà l’occupazione e –aggiungiamo noi- se gli aumenti ipotizzabili saranno tali da compensare le perdite. È fondato ritenere, però, che alle persone saranno richieste –in Europa come negli Usa- particolari caratteristiche:
- più alti e differenziati livelli formativi rispetto a quelli standard odierni.
- Possesso di abilità interpretative e di interazione, evidentemente connesse ai primi.
- Attitudine ad apprendere nuove conoscenze e a svolgere nuovi task, quindi apertura mentale per orientarsi in attività esplorative dal punto di vista cognitivo.
- Capacità di integrare conoscenze a diversi livelli ed in molteplici ambiti di elaborazione.
- Dotazioni psicologiche e cognitive tali da favorire il lavoro in team ed eventualmente assumere posizioni di coordinamento-leadership.
Si evince chiaramente che per attuare una trasformazione tecnico-culturale e professionale di tale portata sarà necessario un grande sforzo individuale e collettivo, nel re-immaginare e conseguentemente riprogettare i processi formativi, finalizzati a favorire nelle persone adattatività, capacità di apprendere, autonomia di analisi e propensione alla ricerca di nuovi fattori di orientamento in un orizzonte sociotecnico fortemente dinamico. La rapidità con cui oggi avanza la frontiera tecnico-scientifica e produttiva, che costituisce un po’ il filo conduttore del presente contributo, è un meccanismo propulsore che tende ad amplificare la platform economy, allo stesso modo in cui la computerizzazione del knowledge work crea step per un’escalation dell’automazione verso attività a sempre maggiore contenuto cognitivo. In tale scenario i lavoratori della conoscenza dovranno acquisire capacità di anticipare i cambiamenti, sulla base di nuove conoscenze, orientate –per tipologia e ampiezza ad incrementare la resilienza individuale e collettiva rispetto alle crisi sistemiche e a quelle specifiche ad esse correlate, ovvero l’erosione e scomparsa di posizioni e contenuti lavorativi consolidati.
L’aumento dei platform worker
Nello scenario delineato, l’espansione delle piattaforme è cruciale ed è quindi da ritenere molto probabile un aumento dei platform worker (d’ora in poi PW), così caratterizzati da una definizione molto ampia: “who have ever gained income from providing services via online platforms, where the match between provider and client is made digitally, payment is conducted digitally via the platform, and work is performed either (location-independent) web-based or on-location” (JRC-EU, 2020a: 14).
I PW sono aumentati nel 2017-2018 dal 9,5& all’11% del totale della forza lavoro, percentuale più bassa di quella rilevata negli USA (tra il 25% e il 30%)[6] e contiene al proprio interno significative differenziazioni tra vari Paesi dell’EU. È peraltro da ritenere che dal 2018 in poi, specie a seguito della crisi pandemica, la percentuale di PW sia aumentata in tutta Europa. In ogni caso, ciò che più colpisce è il trattamento giuridico-normativo ed economico a cui essi sono sottoposti. Il 40% di essi è retribuito sia per task che in base al tempo (JRC-EU, 2020b: 38) Il tempo impiegato in media è 30 minuti per task e nel caso di rappresentazione in termini orari è di 7 ore (in media), mentre nel caso della descrizione in giorni il valore medio è 11 (JRC-EU, 2020b). Non è pero chiaro, dalle survey analizzate nello studio in questione, se si tratta di singoli oppure set di task.
Comunque sia, la natura del platform work è “sporadic, marginal and often even hidden” (ivi: 39) e generalmente si tratta di occupazioni non protette da regole. Il quadro è ulteriormente complicato di fatto che i KW lavorano per più piattaforme e in differenti tipi di lavori. Ne deriva logicamente che è molto difficile identificare il loro status economico, che rimane notevolmente “elusivo”.
L’accelerazione di cui abbiamo più volte parlato, sta quindi rafforzando il trend verso la digitalizzazione del mercato del lavoro, investito da un processo di platformization , che amplifica “longstanding trends towards contingent or “non-standard” work, such as temp-agency workers, direct-hire temps, day labourers, contract workers, and independent contractors” (JRC-EU, 2020b: 46”).
È chiaro che vi sono al momento rilevanti difficoltà di elaborazione dei dati a causa dell’elevata frammentazione delle attività e delle prestazioni, trasversali a molte sequenze economico-produttive, interessate da quella che abbiamo precedentemente racchiuso nell’espressione “mutamenti nella struttura delle operations”. Poiché l’estrema parcellizzazione delle prestazioni individuali, a cui si tende, porta all’individualizzazione dei rapporti di lavoro, è chiaro che grandi sfide dei prossimi anni compete alle istituzioni e alle forze sociali:
- come attuare processi di formazione digitale, che consentano alla popolazione di acquisire le caratteristiche prima enunciate, necessarie per affrontare il processo di transizione lavorativa.
- Quali meccanismi protettivi e di supporto dinamico mettere in moto per sostenere i processi di trasformazione individuali e collettivi rispetto alle transizioni, che investiranno un numero rilevante di persone.
- In quale modo contenere le spinte sociopolitiche regressive inevitabili quando in epoche di profonde trasformazioni, come quella odierna, si creano forti asimmetrie economiche, sociali e di potere, che sono alla lunga insostenibili.
- In definitiva occorre riflettere su come “Ripensare il capitalismo” (Mazzucato e Jacobs, 2017, Laterza), oppure Reimagining capitalism.. (Forbes, 2019, Henderson, 2020; MGI 2017b, Business Roundtable (2019, WEF In un orizzonte così ampio assumono grande importanza sia il documento congiunto (Parlamento, Consiglio e Commissione Europea) “The European Pillar of Social Rights”, che contiene principi fondamentali di orientamento nello scenario descritto, sia lo “Ease – Effective Active Support to Employment following the Covid-19 crisis”, che arricchisce operativamente il primo[7].
Esisto poi delle questioni di fondo, sollevate da Acemoglu e Restrepo (2019) in merito alle direttrici di lungo periodo dell’ondata innovativa odierna e al contesto di mercato in cui si esplica. Nel contributo in questione i due autori sottolineano con forza che l’odierna traiettoria tecno-economica, incentrata su particolari direzioni dell’IA, genera disuguaglianze, disfunzionalità contrarie all’aumento della produttività, inefficienze dei mercati. Occorre riorientare “lo sviluppo dell’IA verso la creazione di nuove mansioni volte a migliorare la produttività per le persone”, in modo da “raggiungere ancora una volta una prosperità condivisa” e non una prosperità a beneficio di pochi.
Il punto di arrivo delle riflessioni finora sviluppate è che le tendenze indicate non sono univoche, ma esiste una gamma di traiettorie possibili, che richiedono azioni strategiche innovative, con radicali cambiamenti di prospettiva strategica. La consapevolezza di questa necessità è maturata anche in ambiti finora insensibili, perché dominati dal paradigma indiscusso dello shareholder capitalism, a cui ora si intende sostituire lo stakeholder capitalism, più attento a finalità sociali e ambientali, oltre a quelle di esclusivo profitto.
Occorre dunque riflettere seriamente sui processi in atto, se si vuole realizzare strategie nuove e realmente mirate su questioni essenziali di lungo periodo per il futuro dell’umanità e del Sistema-terra.
Bibliografia
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- L’espressione Techno-Giants intende sintetizzare la natura composita dei grandi della Rete: grandi entità tecnico-scientifiche, che svolgono funzioni economico-sociali decisive, come argomentato i precedenti contributi su Agenda Digitale ↑
- “We define internal (company or product) platforms as a set of assets organized in a common structure from which a company can efficiently develop and produce a stream of derivative products…… We define external (industry) platforms as products, services, or technologies that are similar in some ways to the former but provide the foundation upon which outside firms (organized as a “business ecosystem”) can develop their own complementary products, technologies, or services”. ↑
- Talvolta in modo disordinato, date le carenze nella preparazione di base. ↑
- È da ritenere che nei cinque anni intercorsi dal 2016, anno di quello studio, e il 2021 le percentuali siano ancora più marcate. ↑
- Negli ultimi due vi sono analisi molto dettagliate per attività e skills. ↑
- I dati variano a seconda delle ricerche svolte da vari centri di ricerca. ↑
- Entrambi sono stati trattati su Agenda Digitale nel contributo di Federica Meta. ↑