Usabilità, semplicità, soddisfazione: ingredienti base per una user experience in grado di fare la differenza in mercati concorrenziali. Analizziamo lo scenario in cui si sta affermando l’Anticipatory design, disciplina in forte affermazione in grado di “predire” e gestire le scelte dell’utente.
La tecnologia che anticipa l’utente
Vi sarà capitato di utilizzare un qualunque navigatore sullo smartphone mentre eravate già in moto con la vostra auto. Magari uscite dal lavoro e dovete andare in un posto nuovo per cui non conoscete ancora le indicazioni: l’orario è il solito, più o meno. La destinazione no.
E magari vi è successo che il navigatore vi abbia proposto di tornare a casa, con un bel pulsante (che chiameremo qui Call to Action, chiamata all’azione), che vi invita in maniera semplice e chiara a schiacciarlo per avere le indicazioni per tornare verso l’agognata meta.
Perché succede? Perché il team di design assieme al team di ingegneri e sviluppatori, hanno provato a prendere una decisione per voi, proponendovela.
Se ci pensate ha senso.
Sono le 19, è un giorno feriale, siete in auto quindi non siete a casa. Solitamente date queste condizioni, andate verso casa. Perché non anticiparvi e proporvi un’azione?
Sono abbastanza sicuro però che, scritta come nel titolo, questa tematica possa risultare ostica o ostile a molti. “Perché dovreste sapere cosa vorremmo noi utenti?” è un’eco che potrei sentire rimbombare nelle stanze di chi legge. Se la caliamo nel contesto però, è possibile che vi sia già capitato. E vi sia anche corso un brivido di piacere dietro la schiena.
Cos’è l’Anticipatory design
Parliamo di quella pratica che noi progettisti/designer mettiamo in campo per cercare di capire, dato un contesto d’uso, quale scelta starà per fare una persona, suggerendogliela per prima o esclusivamente.
Perché lo facciamo?
Nel famoso The paradox of choice, introdotto da un libro nel 2004 e spiegato in questo TED Talk, Barry Schwartz ci suggerisce che – tagliato con l’accetta – dinanzi a troppa scelta non sappiamo cosa scegliere. È emersa quindi quella che in gergo tecnico si chiama Decision Fatigue, ovvero l’affaticamento nel decidere.
In altri termini: quando ci troviamo di fronte a tanta scelta, fatichiamo a prendere una decisione che sia davvero efficace e soddisfacente per quel che cercavamo. Pertanto, soprattutto in alcuni contesti in cui non c’è davvero necessità di spremerci le meningi per prendere una decisione, è una buona idea quella di non aumentare questa Decision Fatigue che quotidianamente accumuliamo.
Vi basti pensare a una porta, una semplice porta che abbia un maniglione su entrambi i lati. Quante volte vi è capitato di tirare e invece avreste dovuto spingere? Siete stati costretti a pensarci, in quel caso, mentre l’oggetto o l’artefatto avrebbe potuto “spiegarsi da sé”.
Se, come me, avete speso una certa quantità di soldi per rendere la vostra casa connessa, probabilmente vi siete informati o avrete acquistato uno di quei termostati smart. Qual è il vero benefit di questi oggetti, oltre a poterli comandare da fuori casa e farvi trovare casa calda (o evitarvi lo spreco se non ci tornate)? Molti di questi termostati imparano dalle vostre abitudini e regolano le temperature in relazione a quello che vi aspettereste di avere agendo in prima persona. In fondo è una casa più confortevole, in relazione ai vostri comportamenti passati e – magari – in relazione alle condizioni del tempo atmosferico.
Oppure siete utenti di Gmail. E se lo siete è altrettanto possibile che vi abbia proposto di attivare la funzionalità di suggerimento automatico nella scrittura. Che non è più una sola parola, ma un’espressione intera, assolutamente pertinente, il più delle volte, al contesto di scrittura (e di destinatari) in cui siete.
Ma se volete riavvolgere il nastro del tempo, potete pensare al T9 (come oramai chiamiamo correntemente qualunque sistema di tastiere predittive). Cosa faceva se non provare a indovinare la parola che stavate scrivendo, alleviandovi il dolore di farlo su una tastiera numerica 10 tasti?
Alleggerire il carico cognitivo
L’obiettivo di una pratica di progettazione come l’anticipatory design è quello di ridurre il carico cognitivo legato alla scelta che potreste voler fare. Ovvero dover far uso di risorse cerebrali importanti, come la memoria o l’esperienza pregressa, per poter prendere una decisione e compiere un’azione.
Può poi anche essere utile per suggerirci contenuti che sono adatti al nostro modo di usare una tal piattaforma. Pensate alle playlist fatte per noi di Spotify, i contenuti video di Netflix che ci suggerisce di vedere (perché abbiamo visto già un certo numero di altri), o infine eventi di Facebook o Meetup che sono attorno a noi e che i nostri contatti trovano interessanti. Della serie: se avete fatto una cosa in passato che pensiamo sia compatibile con voi, oppure le persone di cui ti circondi trovano interessante un contenuto, è possibile che la troverete interessante anche voi.
In buona sostanza, dal momento che siamo bombardati di stimoli e informazioni continuamente, l’idea alla base di questo approccio è quindi quello di permettervi di avere qualcuno che agisce per voi suggerendo azioni, contenuti o addirittura prendendo decisioni al posto vostro sulla base delle vostre abitudini senza richiedere interventi, se non necessari.
È il lato luminoso della profilazione, se volete. Quella per cui Google Assistant sa quali schede farvi vedere sul tuo telefono Android, semplicemente perché ha avuto accesso a dati che vi riguardano e a comportamenti che vi qualificano ai suoi occhi.
Empatia e Anticipatory design
Dal momento che ho parlato di profilazione, è chiaro che un sistema ha bisogno di aver accesso e poter costruire un ritratto digitale del comportamento di una persona. Una specie di avatar che raccoglie comportamenti, gusti, necessità e pattern d’uso sul dominio che stiamo considerando.
Ma dal momento che si tratta di comprendere quale comportamento vorrà intraprendere, il solo prendere nota di quello che è stato il comportamento passato di un certo utente non renderà personale e soddisfacente la proposta della prossima azione.
Emozioni, chiave di volta
Dovremo cominciare a chiederci “in che stato d’animo era Carlo, quando ha deciso che la temperatura di casa era troppo bassa?” oppure “quando e perché ha deciso di ordinare della pizza a domicilio usando Amazon Alexa?”.
Perché è oramai cristallino per molti che il nostro stato d’animo è uno degli attori più convincenti per la natura delle nostre decisioni. Pertanto il modo corretto di poter interpretare le nostre decisioni future al punto di poter agire al posto nostro, offrendoci alternative da adottare, passa per conoscerci come esseri umani, empatizzare con noi, appunto.
Tornate solo per un secondo al sistema di suggerimento della prossima frase da scrivere in una e-mail tramite Gmail. Sapendo quale tono di voce o modalità di relazione avete con il vostro mittente, vi offrirà delle alternative credibili e compatibili con le vostre modalità di relazione con lui. Ma se conoscerà il vostro stato d’animo, potrà tenerne conto, assecondandolo o disinnescandolo: se siete infuriati come bisce per ragioni esogene alla e-mail che state scrivendo è possibile che vi possa suggerire della terminologia più morbida e quindi evitarvi un patatrac… Oppure no.
Non è tutto oro quello che luccica
La pratica dell’anticipatory design, soprattutto nell’ambito del suggerimento di prodotti o contenuti, non è sempre completamente centrata sulle aspettative di scoperta delle persone. Prendiamo per un secondo l’esempio di Amazon. Spesso propone l’acquisto dello stesso oggetto che è stato appena acquistato e che non prevederebbe un uso o acquisto successivo. Questo crea un effetto estraniante nella persona con relativa, modesta in verità, perdita di credibilità rispetto al suggerimento stesso.
La credibilità e l’autorevolezza di queste azioni e suggerimenti sono invece il vero carburante dell’anticipatory design perché in loro assenza le persone non riporranno fiducia in strumenti e meccanismi che dovranno prendere decisioni o suggerire contenuti adatti a loro, rallentandone l’adozione e la diffusione.
Va aggiunto, però, che credibilità e autorevolezza sempre di più passano per una gestione molto delicata del dato legato all’avatar che ho citato prima. Perché chiaramente più è preciso il profilo che condividiamo con le nostre piattaforme, più sarà adatto il suggerimento o la decisione presa per facilitarci, o addirittura per nostro conto.
Allo stesso tempo però più dev’essere preciso il profilo, maggiori saranno le nostre informazioni che saranno gestite da terze parti per scopi legati al nostro beneficio e allo stesso tempo al raggiungimento di propri, legittimi, obiettivi di business. Per questo diventa cruciale una gestione dei dati delle persone oculata, attenta e il più sicura possibile.
Come in molti aspetti legati alla progettazione quindi, esistono grandi opportunità per le persone per le quali progettiamo e cerchiamo di indovinare scelte e decisioni. Possiamo facilitar loro la vita in maniera determinante anche solo con una decisione ben più informata delle conseguenze. Allo stesso modo esistono interrogativi progettuali e etici che dovrebbero essere tenuti in conto in generale e caso per caso.
Raccomandazioni per il designer
Se siete designer e siete arrivati fino qui (o avete saltato fino a qui) siete al punto in cui parliamo di come approcciare questo meccanismo. Per cominciare provo a darvi una piccola checklist mutuata da un articolo antesignano del tema, uscito alcuni anni fa su Smashing Magazine, per applicare nella vostra vita di tutti i giorni pratiche legate all’Anticipatory Design:
- Esiste un modo per rendere un task più semplice per le persone?
- Stiamo dando troppe informazioni che per persone possono risultare confusionarie?
- Esiste un modo per evitare di chiedere informazioni alle persone che possano essere evitate con dati che avevamo già? Per esempio nelle iscrizioni.
- Possiamo suggerire una serie di azioni basate sulle preferenze precedenti?
- Possiamo far risparmiare tempo alle persone utilizzando template che sono stati pensati prima?
- È possibile aggiungere qualche valore aggiuntivo per l’azione della persona in questo passo?
- Come possiamo prevenire o evitare un errore in un tale passaggio, o fornire un’opzione alternativa prima che un errore possa essere commesso?
- Qual è il mezzo più adatto per condividere istruzioni relative a un certo compito? Dovrebbero essere istruzioni scritte, guide audio o video?
Molti di questi punti sembrano ovvi, quasi deterministici. “Più semplice”, “meno confusionario”… Questa è la parte più difficile in realtà. Chi pratica design centrato sulle persone sa perfettamente che questi concetti non sono così ovvi.
Identificare il target
La prima cosa saggia da chiedersi quando vi si chiede qualcosa di “più semplice” o “meno confusionario” è “per chi?”, ovvero: quali sono i tipi di persone che si trovano davanti questa difficoltà perché la trovano difficile, ostica o respingente? Dove si annida la confusione nel loro utilizzo? Come faccio a evitare la prossima volta che si verifichi questa condizione?
È per questo che in un processo di esecuzione che voglia applicare Anticipatory Design (e idealmente qualunque altro tipo di approccio esecutivo) bisogna avere delle solide basi di ricerca o di comprensione dei tipi di persone per le quali stiamo progettando. Perché tutti questi concetti che abbiamo elencato in una semplice checklist sono relativi al tipo di target che stiamo prendendo in considerazione ma anche al contesto in cui quelle persone si trovano a operare.
Un tecnico specializzato di laboratorio di analisi cellulare che utilizza brillantemente un’interfaccia in cui si possa aver pensato di applicare Anticipatory Design, si potrà senz’altro sentire stupido o inadeguato nell’utilizzo di qualunque altro servizio apparentemente più semplice.
Infatti risulta davvero drammaticamente diverso applicare l’Anticipatory Design nella creazione di un’interfaccia come un termostato intelligente rispetto a un prodotto destinato a professionisti di un settore specialistico: per linguaggi, aspettative o contenuti, ma anche per capacità di attenzione e contesto in cui sono pensati per l’utilizzo.
Non bisogna affatto confondere il concetto di semplice (o più semplice) con semplicistico. Si tratta di ridurre la complessità di una scelta, non di azzerarla. E soprattutto dobbiamo ricordarci che, come Designer, abbiamo delle responsabilità forti dinanzi a questo tipo di scelte.
Solo per “ninja” del design?
Nì, come al solito. Non sempre bisogna essere Designer per poter perseguire queste possibili soluzioni, gli approcci di queste pratiche possono essere interessanti anche per altri. Ad esempio è necessario non relativizzare troppo. Esistono alcuni casi in cui i pattern d’uso sono indipendenti dal background culturale o dall’attenzione delle persone.
Pensate per esempio all’atto di inserire un numero di una carte di credito dentro un form di pagamento: sarà composto da 16 cifre, come da standard, separato in 4 blocchi. Evitiamo l’errore delle persone se glielo offriamo così come lo leggono sulla carta stessa. Oppure, sempre nel mondo dei form di input, se stiamo chiedendo un numero telefonico a una persona da smartphone, offriamogli una tastiera esclusivamente numerica. In alcuni casi, quindi possono bastare alcune piccole accortezze per prevenire errori da parte delle persone anche senza essere designer. D’altronde, diceva Krug, meglio un test di usabilità che nessun test di usabilità.
Che cos’è l’usabilità mi dite? È l’efficacia, l’efficienza e la soddisfazione delle persone nel concludere il proprio compito. Definizione persa dall’ISO e che non cita direttamente né tecnologia né digitale, necessariamente. Provate a ricordarvi una porta di Norman: se non è usabile non saprete aprirla senza pensarci. E vi sentirete un po’ stupidi. Se succede, è colpa di un Designer.