CULTURA DIGITALE

Professione coach in azienda, tutti i passaggi per un contratto a regola d’arte

Si afferma sempre più nel mondo del business il ricorso agli “allenatori di performance”. Ma non sempre è facile orientarsi sul modello contrattuale da adottare: vediamo i principi cardine da rispettare

Pubblicato il 12 Ott 2020

Stefano Saglimbeni

Avvocato, presso studio legale Pacchiodo & Associati in Torino

business-coaching

L’approccio allo sviluppo delle risorse umane trascende oggi il profilo meramente tecnico-amministrativo per contribuire alla formazione della “cultura organizzativa aziendale” intesa come l’insieme di valori e norme condivise che presidiano le interazioni dei membri dell’organizzazione, tra di essi e verso l’esterno. Si tratta di un aspetto altamente influenzato dalle caratteristiche umane ed individuali degli operatori che l’azienda ha interesse a sviluppare sostenendo individualmente le proprie risorse in un percorso di crescita personale.

La sola specializzazione tecnico-professionale può, difatti, risultare inefficiente se non coadiuvata dall’implementazione delle competenze personali e dalla capacità di mettere in discussione e rivedere comportamenti, abitudini e opinioni nell’ottica di affrontare in modo ottimale ed efficace i cambiamenti.

A tale fine, sempre più aziende affidano le proprie risorse al coaching avvalendosi di professionisti altamente formati che rispondono alla qualifica di coach.

Cos’è il coaching in azienda

Il coaching, in estrema sintesi, è un percorso creativo in cui il coach si impegna in una relazione che si articola in sessioni di incontri individuali – one to one – con il cliente (coachee) che ne beneficia; nell’ambito di tale attività il primo sostiene il secondo nel massimizzare il proprio potenziale, coadiuvandolo nel conseguimento di obiettivi essenzialmente propri, secondo decisioni autonome.

Ecco una serie di indicazioni significative in tema contrattuale, integrate alla luce della riflessione giuridica sulle caratteristiche intrinseche della tipologia di prestazione.

Coaching, tutti i soggetti in gioco

Nell’ambito aziendale, il cliente si distingue da un terzo soggetto, il committente, rappresentato dal datore di lavoro; l’impresa committente, quale parte interessata allo sviluppo delle proprie risorse, incarica dunque il coach talora individuando una serie di intenti.

Siamo dunque, riassumendo, in presenza di un contratto trilaterale che coinvolge il coach nel ruolo di professionista erogatore della prestazione principale, il cliente nella veste di beneficiario e soggetto attivo della stessa prestazione principale – intesa come relazione di coaching – e l’azienda quale committente interessata alla prestazione, obbligata, di regola, al versamento delle spettanze economiche del professionista.

Non si versa, ad avviso dello scrivente, nella disciplina relativa al contratto in favore del terzo di cui all’art. 1411 cc, trattandosi, al contrario, di un vero e proprio rapporto plurilaterale complesso che prevede diritti ed obblighi individuali specifici per ciascuna delle parti dando corso a rapporti separati, talvolta sovrapponibili, tra i singoli soggetti.

La prestazione in questione costituisce obbligazione di mezzi e non di risultato; d’altro canto la natura fortemente soggettiva dell’attività comporta una certa alea in ordine all’esito della relazione, risultando molteplici i fattori, di carattere oggettivo o individuale, astrattamente capaci di pregiudicare gli obiettivi inizialmente sperati. Il debitore adempie dunque correttamente dimostrando di avere impiegato la diligenza e la perizia richieste sulla base della natura dell’attività esercitata e degli standard condivisi della professione.

Attenzione al profilo degli obiettivi

Sul punto, alcuni professionisti del settore, nei modelli contrattuali adottati, sono soliti insistere sul profilo degli obiettivi indicandoli, spesso e volentieri, quale una conseguenza più o meno certa del corretto espletamento della loro attività. Una tale impostazione, senz’altro opportuna in un eventuale ambito commerciale, risulta controproducente se recepita in contratto in quanto rischia di ancorare il professionista a risultati, a priori, non certi. Al contrario, sarebbe buona norma per il coach inserire nei propri modelli delle disposizioni che sanciscano inequivocabilmente la consapevolezza del cliente e del committente in ordine al carattere necessariamente non obbligatorio – in senso giuridico – del risultato.

Il negozio in oggetto è chiaramente atipico; sussistono, tuttavia, una serie di requisiti e caratteristiche contrattuali imposte o consigliate dalle singole federazioni o associazioni di categoria; tali enti, invero, impongono ai coach loro tesserati l’adozione di un codice di condotta all’interno del quale sono previste indicazioni relative alla fase precontrattuale e al contenuto del contratto stesso.

Nell’ordinamento giuridico italiano, la professione di coach non prevede l’istituzione di albi o ordini professionali; si tratta dunque di una professione non organizzata “in ordini o collegi” disciplinata dalla Legge n. 4 del 14.02.2013; detta normativa prevede per i professionisti appartenenti al medesimo ambito la facoltà di costituire associazioni a carattere personale di tipo privatistico (Art. 2) le quali adottano, giustappunto, i codici di condotta suddetti.

Nondimeno, gli stessi enti professionali propongono, presso i propri portali web ufficiali, modelli contrattuali ai quali gli iscritti possono ispirarsi per la predisposizione delle proprie schede contrattuali individuali; è sempre comunque indicato avvalersi dell’ausilio di un professionista di fiducia.

I modelli standard proposti

Le direttive impartite dagli enti di categoria sono essenzialmente mirate a garantire standard di comportamento finalizzati a promuovere la qualità della prestazione di coaching, soprattutto nell’interesse del cliente.

Nel difficile tentativo di effettuare una sintesi tra i principali e diffusi codici di condotta e i modelli di accordo proposti dalle principali associazioni, tralasciando i profili meramente deontologici legati alla “colleganza” o relativi a direttive pacifiche e scontate, si tenterà in seguito di fornire una panoramica su alcune indicazioni significative in tema contrattuale, sviluppandole ed integrandole alla luce della riflessione giuridica sulle caratteristiche intrinseche della tipologia di prestazione.

Trasparenza e buona fede

La prima tematica concerne i profili della trasparenza e della buona fede nella comunicazione con il cliente in merito all’oggetto della prestazione.

Il coach deve, in particolare, sin dalla fase precontrattuale, illustrare a fondo le prerogative, le modalità di svolgimento e le caratteristiche della relazione di coaching, preoccupandosi di ottenere dalle altre parti del contratto, in particolare dal cliente beneficiario, una comprensione accettabile. A tale fine, è utile ed indicato chiarire che il coaching non è assimilabile né sostituisce trattamenti per la cura mentale, siano essi di carattere psicologico, psichiatrico o affine. Allo stesso modo, è consigliato precisare che il coaching si distingue dalle attività di consulenza in generale, dalle discipline olistiche e si differenzia in modo sensibile dal mentoring.

Un onere ricorrente e particolarmente importante a carico del professionista consiste nel comunicare ed illustrare alle altre parti il contenuto del codice di condotta adottato, sincerandosi del fatto che questo venga letto ed opportunamente compreso.

Sotto il profilo contrattuale, si tratta allora di inserire all’interno del regolamento alcune clausole dichiarative nelle quali le parti diano atto di conoscere e avere consapevolezza delle suddette caratteristiche della prestazione, anche in chiave negativa, nonché di avere esaminato e compreso i documenti di riferimento (ad esempio il codice di condotta) da inserire opportunamente quali allegati dell’accordo.

Ancora, è raccomandata al coach assoluta chiarezza sotto il profilo della propria offerta commerciale (corrispettivi, termini, ecc… ), adempimento da evadere senz’altro sin dalla fase precontrattuale ma da recepire in modo chiaro ed incontestabile nel testo dell’accordo.

Rispetto di standard professionali

Il secondo profilo riguarda la buona fede nell’esecuzione del contratto finalizzata all’erogazione di una prestazione conforme agli standard professionali nel pieno interesse del cliente; vengono dunque in gioco categorie comuni quali l’integrità, l’onestà (anche intesa come trasparenza sulle proprie qualifiche), l’imparzialità, il “rispetto” (in senso non discriminatorio). L’osservanza di tali principi è doverosa alla luce del carattere strettamente personale della prestazione, fondata su un’interazione di impatto prevalentemente umano ed empatico che può abbracciare e trattare tematiche della vita professionale, privata, ricreativa ed emotiva del cliente. Non è, infatti, improbabile che un rapporto professionale con così alta attitudine “umana” possa incorrere in situazioni anomale tali da mettere a rischio la continuità dei suddetti principi.

In ragione di ciò, il coach deve sempre operare nell’interesse del cliente attivandosi e sforzandosi di fare emergere da subito, preferibilmente in fase precontrattuale, tutte le problematicità e criticità che potrebbero interferire e pregiudicare il corretto svolgimento ed i risultati stessi della relazione.

Al riguardo, la buona prassi imporrebbe di affrontare dette criticità nella fase precontrattuale, prevedendo un colloquio individuale preventivo all’esito del quale il professionista valuterà la sussistenza delle condizioni ottimali necessarie per la corretta erogazione della prestazione.

In ogni caso, la sussistenza o la sopravvenienza di elementi ostativi in tale senso impone una risoluzione delle problematicità secondo buona fede nell’impossibilità della quale il coach, non potendo garantire il perfetto adempimento, dovrebbe opportunamente astenersi dal proseguire il rapporto.

Alcune indicazioni vanno addirittura oltre, richiedendo al professionista l’abbandono dell’incarico ogni qual volta, sulla base di una propria valutazione, ritenga più indicato per il compito specifico un altro collega coach che avrà peraltro l’onere di indicare.

Conflitto di interesse

Sempre sotto questo profilo, la prevalenza dei codici di condotta vieta, ad esempio, interazioni di tipo sentimentale-amoroso o sessuale tra le parti, altra circostanza che, laddove sopravvenuta, dovrebbe portare il professionista a rinunciare al proprio incarico.

Un’ipotesi specifica di causa ostativa è costituita dal conflitto di interessi che si verifica quando gli interessi personali o professionali del coach risultino in contrasto con quelli del cliente o del committente e dunque con l’imparzialità richiesta dal ruolo. I casi concreti applicabili sono svariati e spaziano dal mero contrasto tra le parti della relazione a contesti di particolare “vicinanza” tra il coach ed il committente tali da inficiare l’indipendenza della funzione. Anche in questi casi è richiesto al coach di astenersi dal proseguire nel rapporto.

Dal punto di vista della tecnica contrattuale, tali indicazioni possono essere recepite attraverso specifiche clausole contrattuali di condotta a carico del professionista. Quanto all’eventuale necessità del coach di astenersi dal proseguire la relazione per motivi di “buona fede”, è opportuno che il professionista si tuteli prevedendo un collegato diritto di recesso esercitato il quale mantenga intatto il diritto di ricevere il proprio compenso per quanto concerne la prestazione erogata, da intendersi come numero di sessioni individuali completate.

Privacy al centro del rapporto di lavoro

Tema cruciale del rapporto è quello della riservatezza. Come premesso, la relazione di coaching coinvolge direttamente il cliente portandolo, nella maggior parte dei casi, ad aprirsi introducendo tematiche inerenti la propria vita privata e talora aventi per oggetto informazioni e dati personali appartenenti a categorie particolari (un tempo denominati dati sensibili). In ragione di ciò, i contenuti emersi nell’ambito della relazione di coaching debbono rimanere riservati.

Al riguardo, alcuni codici di condotta parlano espressamente di “segreto professionale”; senza, dunque, entrare nel merito dell’applicabilità in tema di coaching della relativa disciplina legale, può senz’altro ritenersi esigibile da parte del coach la massima riservatezza in ordine a contenuti, fatti e dati personali trattati nell’ambito della relazione.

Detta riservatezza è valida non solo esternamente ma si applica altresì nei confronti del datore di lavoro committente il quale, secondo alcuni modelli proposti dalle associazioni, dovrebbe essere contrattualmente obbligato ad astenersi dal sollecitare il coach a violare l’oggetto di tale tutela. A tale fine, può essere prevista una clausola che autorizzi il coach a svincolarsi dal contratto nell’ipotesi in cui le richieste in tale senso da parte dell’azienda divengano insistenti.

I limiti della confidenzialità e riservatezza, ai fini di una chiara comunicazione tra le parti del contratto, possono essere delimitati attraverso specifiche disposizioni contrattuali preordinate a recepire le classiche ipotesi normalmente previste. A titolo esemplificativo, a parte il consenso dell’avente diritto e l’obbligo di legge, la riservatezza non si applica alle informazioni in possesso del coach antecedentemente all’inizio del rapporto, a quelle di dominio pubblico o costituenti fatto notorio, alle informazioni ottenute da terze parti estranee al contratto nel rispetto e conformemente alle normative vigenti, ecc…

Allo stesso modo, il coach è normalmente tenuto alla riservatezza per quanto concerne il proprio rapporto con il committente, non solo in ordine al contratto di coaching ma anche per quanto concerne eventuali informazioni inerenti l’aspetto industriale o commerciale dell’impresa.

La questione della riservatezza introduce il tema della privacy, aspetto senz’altro primario alla luce del carattere estremamente confidenziale proprio della tipologia di prestazione. Sul punto, può essere opportuno inserire all’interno della scheda contrattuale alcune disposizioni di presa visione delle informative privacy ai sensi dell’art. 13 Reg. Ue 679 del 2016 (GDPR) rilasciate dal professionista; si tratta di una maggiore tutela che tuttavia non esonera dall’obbligo informativo, vista peraltro la necessità per il coach, nella sua veste di titolare del trattamento, di ottenere consensi specifici da parte dei propri interessati.

Rispetto del GDPR

In particolare, per quanto concerne la relazione tra coach e cliente è altamente probabile che emergano informazioni della vita del beneficiario anche riferibili alle cosiddette categorie particolari, con cui si intendono quei dati che rivelano “l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”. Il trattamento di tale tipologia di dati impone uno specifico obbligo informativo a carico del titolare; l’informativa destinata al cliente dovrà dunque contemplare il possibile trattamento, descrivendolo e riferendolo alla finalità della relazione di coaching.

Inoltre, come previsto dall’art. 9, n. 2 lettera A del GDPR, in ordine al trattamento di dati appartenenti a categorie particolari il titolare è tenuto a procurarsi il consenso specifico ed espresso dell’interessato. Pertanto, al fondo dell’informativa, nel corpo della quale il trattamento deve essere ampiamente e preventivamente descritto, il coach sarà tenuto ad inserire la formula del consenso che l’interessato andrà a compilare.

L’informativa pensata per il cliente beneficiario, va da sé, non si adatta al rapporto giuridico intercorrente tra coach e committente; laddove pertanto previsto ed applicabile al committente andrà sottoposta una diversa ed autonoma informativa privacy.

Ancora, sempre in tema di protezione dei dati personali, alcune associazioni di categoria richiedono ai propri iscritti, per finalità di verifica (audit) sulla pratica e sulla formazione professionale, di provare l’attività svolta indicando all’ente dati quali il nominativo del cliente, del committente, l’email e la data di inizio e fine della relazione. La finalità in questione deve essere indicata e descritta nell’informativa e può essere utilmente ribadita nel contratto.

E’ il caso ancora di menzionare un paio di profili senz’altro utili alla luce delle peculiarità specifiche della prestazione in oggetto.

Responsabilità del cliente

Abbiamo visto che il coaching coinvolge il cliente beneficiario quale parte attiva della relazione, soprattutto sotto il profilo delle scelte e delle decisioni da adottare. A tale fine, è dunque opportuno che il cliente medesimo si impegni a cooperare diligentemente per la riuscita della prestazione, ad esempio, condividendo informazioni rilevanti e veritiere, coadiuvando il coach nell’individuazione di eventuali situazioni ostative o di pregiudizio per l’attività, assumendosi la responsabilità dei propri obiettivi e delle proprie scelte, partecipando attivamente alle sedute, impegnandosi a mantenere un buono stato fisico e psicologico.

Ancora, va sempre prevista in favore del cliente la facoltà di rinunciare al contratto, caratteristica, a dire il vero, comune a tutte le prestazioni personali intuitu personae, basate sul rapporto di fiducia.

Restano, va da sé, sempre contemplabili le normali clausole che comunemente vengono inserite all’interno dei contratti; al riguardo, si consiglia di recepire talune previsioni quali, ad esempio, quelle relative alla durata ed allo svolgimento della prestazione in modo possibilmente flessibile, magari prevedendo meccanismi contrattuali che ne semplifichino la procedura per la modifica così da consentire alle parti, a titolo esemplificativo: di aumentare o ridurre in modo semplice il numero di sessioni concordate e modificare di conseguenza i corrispettivi, di concordare in modo snello le sessioni e l’eventuale cancellazione, di prorogare la scadenza dell’accordo, ecc …

Sempre indicata, vista l’alta probabilità di intrattenere il rapporto tra soggetti appartenenti o collocati in diverse nazioni, l’indicazione del foro e della legge applicabile.

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