Censura “fai da te”

Profili “scomodi” via dai social senza passare da un giudice: cosa rischia la democrazia

Facebook ha chiuso (per poi riaprire) la pagina del quotidiano Primato Nazionale legato a Casapound, YouTube ha eliminato il profilo ByoBlu, accusato di diffondere fake news. Decisioni giuste? Condivisibili? Prima di applaudire, fermiamoci a pensare alle conseguenze di una censura “fai da te”, in mano ai giganti del web

Pubblicato il 07 Apr 2021

Andrea Lisi

Coordinatore Studio Legale Lisi e Presidente ANORC Professioni, direttore della rivista Digeat

Photo by Michael Dziedzic on Unsplash

Ci risiamo. Come successo in passato (e in diversi contesti social) in Italia a Casapound, Forza Nuova, o anche alle Sardine, e a livello internazionale a Trump e a Robert Kennedy Jr., così è accaduto in questi giorni di vedere in un battibaleno cancellati i profili social di Byoblu (da Youtube) o di Primato Nazionale (da Facebook).

E tutti, chi più chi meno, hanno applaudito tali azioni perché i contenuti eliminati erano spesso odiosi o comunque riferibili alle cosiddette e famigerate fake news. Come per Byoblu, testata giornalistica di Claudio Messora regolarmente registrata ed eliminata nel silenzio quasi generale. Stessa sorte pochi giorni dopo è capitata a Primato Nazionale, quotidiano di Casapound, in seguito a reiterate violazioni delle policy della piattaforma di Mark Zuckerberg in materia di diffusione di contenuti che incitano alla violenza e all’odio razziale o a messaggi riconducibili a fascismo o nazismo.

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Giustizia “fai da te”: i rischi per la democrazia

E naturalmente seguiranno azioni giudiziali che non sempre porteranno a far chiarezza in materia, perché la poca giurisprudenza presente su questi temi così delicati si è caratterizzata in passato per decisioni altalenanti e contraddittorie.

Di certo i moti censori portati avanti da questa ritrovata ventata di democrazia da parte dei grandi social player potrebbero farci sorridere amaramente, se non ci fosse da esserne seriamente preoccupati. Perché, laddove la giurisprudenza è confusa e ondivaga, si insinuano inevitabilmente gli sceriffi del web. E questa giustizia “fai da te” non può farci piacere, pur se istintivamente di certi contenuti vorremmo liberarci by default. E, pur senza voler scomodare Evelyn Beatrice Hall con la sua storica frase «non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo», non si può non riflettere sulle conseguenze di tali azioni e sui rischi che possono conseguirne per la nostra stessa democrazia.

Prima di tutto sciogliamo un dubbio. È ovvio che non ci si può riferire propriamente alla “censura” in caso di cancellazione di contenuti e profili da parte di player privati, ma è palese anche che – in una situazione dove gli OTT ormai detengono un potere immenso e gestiscono identità digitali estremamente profilate – tali servizi non possono più non essere considerati essenziali per la nostra esistenza digitale, perché sviluppano sistematicamente azioni che impattano pesantemente su nostri diritti e libertà fondamentali. Del resto, oggi, chi viene eliminato da Google, YouTube o Facebook smette di esistere digitalmente. E questo è incontestabile.

Verso la dittatura digitale, ma col sorriso

Del resto, ci si dovrebbe ricordare che in Star Wars la libertà si perdeva sotto scroscianti applausi. Ovvio anche che da certi contenuti espressi e portati avanti da Casapound o Forza Nuova non possono non ritenersi gravemente biasimevoli. Ma tali contenuti andrebbero arginati attraverso la logica e il ragionamento o – in caso di contenuti illeciti manifestati pubblicamente – chiederne la cancellazione, ma affidando tale decisione a un’autorità giudiziale e, quindi, indipendente e autonoma. Se invece si decide semplicisticamente di affidare questo controllo agli OTT ci si ritroverà presto in una dittatura digitale, sorridenti e senza neppure accorgercene. Già il loro potere sugli utenti è immenso, se si affida a loro anche il compito di decidere cosa sia giusto o sbagliato, quali contenuti diffondere o rimuovere, allora la resa al loro arbitrio sarà inesorabile e totale.

La separazione dei poteri, il controllo dello Stato, l’indipendenza della magistratura andrebbero sempre ricordati, preservati e difesi con forza. Anche laddove stanno funzionando male. Piuttosto chiediamoci come far evolvere la normativa in materia di fake news e odio on line e come correre ai ripari affidandone la giusta interpretazione e applicazione a organismi indipendenti e competenti. Altrimenti ritorniamo alla legge del taglione in un Far Web fuori controllo.

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Conclusioni

Siamo già in digicrazia, in realtà. Perché questa democrazia pelosa, affidata oggi e sempre di più a imperi economici digitali, urlata e tutelata a uso e consumo di intellettuali benpensanti, rassicurati così nella loro “libertà di pensiero” (fin quando non verrà toccata), non può lasciarci tranquilli o, peggio, indifferenti.

Perché, lo si ripete, le degenerazioni di un “sovranismo” becero e populista espresso in certi contesti fuori controllo, vanno combattute riflettendo, ragionando, e non applaudendo di pancia l’arbitraria eliminazione di contenuti e dibattiti, pur scomodi e qualunquisti, grazie a colpi di clave digitali affidate a sceriffi del web.

I “ministri della verità” o gli “sceriffi del web” devono farci più paura oggi delle stesse fake news che vogliamo giustamente combattere. Perché, dando sfogo ai nostri pruriti e delegandone così la soluzione direttamente ai social player, di fatto stiamo affidando il problema direttamente ai suoi più grandi artefici, legittimandoli ancora una volta. E forse è il momento invece di mettere a freno questa incredibile deriva digitale che ci riguarda tutti.

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