Con la pubblicazione del Programma strategico sull’intelligenza artificiale 2022-2024 giunge finalmente a compimento un percorso iniziato nell’ormai lontano 2018 con l’annuncio da parte dell’allora ministro dello sviluppo economico (MISE) e poi passato agli Esteri, Luigi Di Maio, di voler redigere una strategia nazionale per l’intelligenza artificiale, che avrebbe dovuto essere pronta per il giugno del 2019.
Miragliotta, intelligenza artificiale: “La strategia italiana può essere la svolta: ecco come”
Strategia italiana sull’AI, meglio tardi che mai
Avvicendamento di vari governi e disattenzione politica hanno rallentato moltissimo il processo, facendo dell’Italia un caso a livello europeo (almeno tra i grandi Paesi, visto che Francia e Germania si sono dotate di una strategia già nel 2018). Inoltre, altro elemento da rimarcare positivamente, questa strategia supera il vizio di origine con il quale tutto era iniziato, sotto l’egida di un solo ministero, sia pure con competenze importanti come il MISE.
Non è infatti la strategia sull’intelligenza artificiale redatta da un solo ministero, prima di essere approvata dal Consiglio dei ministri, ma è il frutto del lavoro congiunto dei tre ministeri con le maggiori competenze in materia (oltre al MISE, il ministero dell’innovazione tecnologica e della transizione digitale e quello dell’università e della ricerca). Anche se, forse, si sarebbe potuto includere anche il ministero dell’istruzione, perché dai banchi di scuola verranno le generazioni che dovranno sviluppare, in alcuni casi, e adottare le applicazioni di intelligenza artificiale. Al momento, nonostante gli sforzi degli ultimi anni, il sistema scolastico appare ancora lontano dal traguardo, a cominciare dall’inadeguatezza delle competenze e dai metodi di insegnamento.
Le azioni previste dal programma strategico italiano sull’intelligenza artificiale
Riprendendo ma anche sviluppando nuove idee rispetto alle precedenti stesure, il documento è, almeno sulla carta, molto forte e completo, soprattutto nello sviluppo delle tecnologie (ricerca e produzione di AI). Le 24 policy previste sono sostanzialmente tutte condivisibili (semmai occorrerà capire meglio quando e come potranno essere attuate). Si va dalle 5 che riguardano i talenti e le competenze alle 8 della ricerca e alle ben 11 delle applicazioni. Segnale, quest’ultimo, di una quanto mai necessaria concretezza. Ma, più complessivamente, di un’attenzione verso l’intero ciclo dell’AI, dalla ricerca pura alle applicazioni nelle imprese e nella pubblica amministrazione.
Sul piano dello sviluppo di un AI made in Italy, si è di fatto rinunciato a un centro nazionale di ricerca di base a applicata, sul modello dell’Alan Turing Institute britannico, presente nelle prime versioni della strategia. Al suo posto, una cooperazione rafforzata tra i diversi dipartimenti universitari e centri di ricerca e, si spera, un finanziamento maggiore. Occorrerà capire se questo basterà per raggiungere quella massa critica che lo stesso documento assume come variabile fondamentale per raggiungere un ruolo di leadership nella ricerca (e che va naturalmente integrata con il livello europeo).
Il limite
Ma è nell’adozione delle tecnologie AI che il programma strategico, pur prevedendo alcune misure, presenta i limiti maggiori, in particolare trascurando del tutto due tasselli fondamentali: la formazione delle imprese e l’informazione dei cittadini.
Si parla infatti solo di campagne di comunicazione rivolte alle imprese, ma ricordando i precedenti (i pur encomiabili road show del Piano Industria 4.0) si pensa tutt’al più a iniziative una tantum o comunque non sufficienti a colmare il gap di competenze delle PMI, a cominciare dal top management. Naturalmente con l’obiettivo non di farne dei top scientist ma di renderli in grado di capire le opportunità offerte dall’AI e di implementarla all’interno delle aziende con l’aiuto di expertise specializzata (interna ma soprattutto esterna). Manca invece del tutto la dimensione dell’informazione e del coinvolgimento attivo dei cittadini, componente molto presente nelle precedenti versioni (e anche nella prospettiva europea). Con rischi di tech backlash (o più banalmente di difficoltà di comprensione delle nuove tecnologie) ben evidenti sullo sfondo.
Attuazione del piano
L’orizzonte triennale (2022-2024) aiuta certamente ai fini dell’attuazione, dandole carattere di maggiore urgenza, ma rischia di togliere valore a una visione strategica, che deve necessariamente essere di lungo periodo. Possiamo ricordare che l’orizzonte standard di molti piano strategici è il 2030 ed alcuni vanno più in là (specie in campo ambientale ed energetico ma non solo).
Il PNRR ha come noto un orizzonte al 2026. Una soluzione alternativa sarebbe stata quella di prevedere una visione di più lungo termine, con delle linee di indirizzo sulle quali innestare un piano di più breve termine, di durata triennale.
Naturalmente, l’attuazione passa attraverso le maglie delle somme effettivamente stanziabili. Nella strategia, si citano risorse molto importanti (facendo opportunamente riferimento per ogni singola azione alle corrispondenti “possibili fonti di investimento”), in gran parte già ricomprese nel PNRR, ma senza alcun impegno certo che riguardi i singoli progetti AI.
Quasi sempre si tratta infatti di importi già impostati per una missione più ampia e dunque occorrerà capire concretamente quanto potrà essere allocato alle misure previste nella strategia. Forse sarebbe stato più utile immaginare una cifra, magari più bassa, ma impegnabile con certezza sulle misure previste. Il rischio, infatti, è che, alla ricerca di tanti possibili finanziamenti oggi solo teorici, si finisca per perdere il quadro complessivo e ci si accontenti di quello che si riesce a trovare, facendo venir meno il legame tra i diversi tasselli della strategia.