La pandemia ha reso indispensabile la condivisione di dati, informazioni e conoscenza su Internet. Le misure di distanziamento sociale hanno dislocato buona parte delle relazioni umane nella dimensione binaria. Nell’ambito della scuola, dell’università, della ricerca scientifica e del patrimonio culturale la possibilità di mettere in comune la conoscenza ha tenuto in vita la speranza che il progresso possa rendere il mondo migliore dopo la fine della pandemia.
Molti si chiedono se questa speranza abbia effettiva concretezza e se si possa immaginare di giungere meglio preparati alla prossima minaccia.
Sospensione dei brevetti sui vaccini anti Covid, no a scorciatoie: i nodi tecnici e giuridici
Dipende da alcune scelte che vanno assunte adesso, rapidamente e con chiara assunzione di responsabilità. Alcune di queste scelte attengono alla proprietà intellettuale. La vicenda dei brevetti e dei segreti commerciali sui vaccini ha portato alla ribalta un dibattito prima confinato in circoli accademici.
Il dibattito sulla proprietà intellettuale
Perché il dibattito sulla proprietà intellettuale è deflagrato? Perché l’opinione pubblica percepisce che la proprietà intellettuale è uno strumento del sistema capitalistico pensato per competere e non per cooperare, per escludere e non per includere. Nella logica della proprietà intellettuale il primo che conquista il diritto di esclusiva vince tutto – the winner takes all – e impone le sue decisioni. Ad esempio, le imprese che detengono brevetti e segreti sui vaccini decidono se e a chi concedere l’uso della tecnologia.
All’opposto della logica della proprietà intellettuale si colloca l’apertura della scienza e della conoscenza. Basti ricordare che la nostra capacità di reagire alla pandemia dipende da un gesto riconducibile all’etica e alla prassi dell’Open Science: la pubblicazione su Internet in archivi ad accesso aperto della sequenza genetica del virus SARS-CoV-2.
Mentre la società civile e una cerchia sempre più allargata di intellettuali chiedono un ripensamento complessivo della proprietà intellettuale, i policy maker guardano solo ad alcuni interessi: quelli più forti e meglio organizzati. Il grottesco balletto delle potenze occidentali sulla richiesta di sospensione dei diritti di proprietà intellettuale in seno al WTO per la prevenzione, cura e trattamento del COVID-19 rappresenta plasticamente una volontà di fondo.
Non è solo necessario difendere la proprietà intellettuale, persino evitando di sospenderla temporaneamente al fine di salvare vite umane, ma è giusto rafforzarla e renderla pervasiva.
La visione strategica euro-italiana
L’Unione Europea e l’Italia sono interpreti perfetti di questo copione.
Per averne contezza basta spigolare alcuni recenti documenti di policy. Ci si riferisce in particolare a due documenti:
- l’Action Plan sui diritti di proprietà intellettuale di supporto alla strategia di ripresa e resilienza del 25 novembre 2020 della Commissione UE;
- le Linee di intervento strategiche sulla proprietà industriale per il triennio 2021-2023, documento preliminare per la consultazione pubblica del 29 aprile del Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE).
La ricetta che emerge dai due documenti è tanto semplice quanto sconcertante agli occhi di conosce anche solo superficialmente l’immensa letteratura critica sull’argomento. Si basa su un’equazione: più proprietà intellettuale è uguale a più innovazione. I meccanismi di limitazione della proprietà intellettuale in tempi di crisi sono risibili.
Un passaggio del documento europeo è, in proposito, eloquente.
“To facilitate licensing and sharing of IP, the Commission will:
- ensure the availability of critical IP in times of crisis, including via new licensing tools and a system to co-ordinate compulsory licensing (2021-22),
- improve transparency and predictability in SEP [Standard-essential patents] licensing via encouraging industry-led initiatives, in the most affected sectors, combined with possible reforms, including regulatory if and where needed, aiming to clarify and improve the SEPs framework and offer effective transparency tools (Q1 2022).
- promote data access and sharing, while safeguarding legitimate interests, via clarification of certain key provisions of the Trade Secrets Directive and a review of the Database Directive (Q3 2021)”.
Alle parole della Commissione fanno eco quelle del MISE.
“Nel suo Piano di azione la Commissione UE ricorda che “L’accordo dell’OMC sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS) prevede la possibilità, alle condizioni ivi specificate, di rilasciare licenze obbligatorie, ossia stabilisce che la pubblica amministrazione ha il potere di autorizzare un soggetto a usare un’invenzione brevettata senza il consenso del titolare del brevetto. La procedura può essere accelerata in caso di emergenza nazionale. Dal combinato disposto di tali norme con la dichiarazione di Doha sull’accordo TRIPS e la salute pubblica emerge chiaramente che ogni membro dell’OMC ha non solo il diritto di concedere licenze obbligatorie, ma anche la libertà di determinare i motivi in base ai quali tali licenze sono concesse”.
Sul punto, l’Amministrazione intende verificare la possibilità di introdurre nell’ordinamento nazionale strumenti specifici in grado di far fronte tempestivamente a situazioni di crisi, come quelle sanitarie; l’obiettivo da perseguire è quello di privilegiare accordi volontari in grado di contemperare gli interessi legittimi dei detentori delle privative industriali con quelli generali della collettività, ricorrendo al rilascio di licenze obbligatorie solo in caso di fallimento di qualunque altro tentativo”.
Verrebbe da dire: tutto qui? Un sistema coordinato di licenze obbligatorie che in Italia, per carità, entrerebbe in azione solo ove siano risultati infruttuosi accordi volontari. Dopo tutto quel che è successo e sta succedendo in Europa e nel resto nel mondo? Mentre l’amministrazione italiana “intende verificare”, i grandi paesi occidentali, pur di fatto timidi o complici con Big Pharma, hanno già verificato e posto in essere a inizio pandemia, quando non ne erano già dotati, potenti strumenti di limitazione dei diritti di proprietà intellettuale.
Ma tant’è: questa è la visione “strategica” euro-italiana. D’altra parte, essa si mostra perfettamente coerente con alcune iniziative di legislazione delegata che pendono davanti al governo italiano. La mente corre, nemmeno a dirlo, all’attuazione della Direttiva 2019/790/UE sul diritto d’autore nel mercato unico digitale.
Conclusioni
Si sa che i margini per porre rimedio a uno strumento normativo nato nettamente sbilanciato a favore di interessi commerciali erano limitati. Ma la versione partorita dal Parlamento italiano li ha ulteriormente ristretti. Lo si evince facilmente da alcune opzioni in materia di eccezioni e limitazioni ai diritti di esclusiva. Per limitarsi a un solo esempio è sufficiente leggere l’art. 9, comma 1, lett. c) della legge di delegazione europea 2019-2020 che, in materia di eccezione per l’utilizzo di opere e altri materiali in attività didattiche digitali e transfrontaliere, consente al governo italiano di escludere o limitare l’applicazione della medesima eccezione ove siano facilmente reperibili sul mercato opportune licenze contrattuali. Come dire che il mercato prevale sugli interessi di scuola, università e docenti.
D’altra parte, anche i titoli raccontano qualcosa. Mentre le scelte mercatistiche nel 2001 erano ancora velate di ipocrisia, tant’è che il legislatore europeo intitolava la Direttiva 2001/29/CE al “diritto d’autore nella società dell’informazione”, oggi anche quel velo è caduto: già a partire dalla rubrica della Direttiva 2019/790/UE lo stesso decisore pubblico colloca schiettamente il diritto d’autore nella strategia del mercato unico digitale.
Bene così. Come dice qualcuno: dalla pandemia, in fondo, ci hanno salvato il mercato, il profitto e l’avidità. Guardiamo con fiducia al futuro.