L’11 ottobre è finito il tempo concesso alle pubbliche amministrazioni per adeguarsi alla normativa e alle regole tecniche in materia di protocollo informatico.
I 18 mesi previsti sembrano però passati in gran parte inutilmente, come si ravvisa dai dati presentati da Anorc su una rilevazione campione, con oltre il 60% delle amministrazioni inadempienti sulla pubblicazione del Manuale di Gestione e dalle dichiarazioni di esponenti di AgID al recente convegno Digeat.
Si dirà che siamo alle solite, l’ennesima dimostrazione della perdurante resistenza al cambiamento che rimane normalità e continua ad avere residenza nel nostro Paese. È la “cultura dell’inadempienza” che rischia di prevalere.
È la stessa cultura che si evidenzia nella gestione degli obblighi sulla Trasparenza, dove tante amministrazioni hanno provveduto a creare tutte le sezioni previste, lasciando poi vuote le pagine. E così facendo ponendo un piccolo passo di difficoltà al monitoraggio automatico come ancora oggi effettuato della Bussola della Trasparenza. Monitoraggio che rischia di essere anch’esso un esercizio formale, e fornire risultati estetici e non di merito.
La prevalenza di questa cultura è pericolosissima, rischia di vanificare tutti gli sforzi e tutti i programmi per l’innovazione della PA. Siamo in fase di avvio del sistema di identità digitale, con un impatto su tutte le amministrazioni. E se affrontiamo questa situazione in continuità, il risultato non può essere diverso. La divaricazione tra obbligo e adempimento, tra obiettivo e risultato rischia di essere sempre più pronunciata, sempre meno colmabile, perché si diffonde come un morbo a tutti i livelli e in tutti i contesti, e contagia i comportamenti anche dei cittadini.
Cosa fare? Due possibili elementi di una risposta che deve essere organica:
- definire e realizzare una compiuta gestione del cambiamento, che permetta di creare le condizioni del successo di una iniziativa di innovazione (considerando anche i rischi e le competenze necessarie) e verificarla durante il percorso;
- prendere sul serio, iniziando dalla pubblica amministrazione, i concetti di trasparenza e accountability.
Accountability nel senso profondo di render conto delle proprie decisioni e dei risultati delle proprie azioni, come espressione del patto sociale tra amministrazione e cittadini, dove la trasparenza è una precondizione, ma non è sufficiente per stabilire la fiducia, fondamentale per la gestione del bene comune.
Le sanzioni, l’istituzione di un sistema incentivante e disincentivante per le amministrazioni, sono messaggi fondamentali per la comunicazione dei valori che si vogliono affermare, sono la base per un deciso cambio culturale. Poi ci vuole il coraggio di rendere l’accountability innestata nel sistema, con indicatori e reale controllo di gestione, e pensare che è uno dei punti fondamentali con cui costruiamo le condizioni per l’innovazione della PA e per la crescita dell’Italia.
Cambiandone, nel profondo, la cultura del bene comune.