L’Autorità Garante delle Comunicazioni (AGCOM) ha aperto le consultazioni pubbliche sullo schema di regolamento “in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona, di rispetto del principio di non discriminazione e di contrasto ai discorsi d’odio”. L’hate speech, come si chiama a livello internazionale.
Un passo possibile perché il nuovo Testo Unico dei servizi di media audiovisivi (Decreto legislativo 208/2021) ha ampliato gli strumenti a disposizione dell’Autorità per la tutela dei diritti fondamentali della persona e di contrasto ai discorsi d’odio: da qui lo schema di regolamento.
Regolamento Agcom su hate speech
Il regolamento si dovrà prevedere “che i programmi di informazione e di intrattenimento non debbano: – contenere espressioni suscettibili, in maniera diretta o indiretta, di istigare a commettere reati o effettuare apologia degli stessi; – offendere la dignità umana; – diffondere, incitare, propagandare oppure di giustificare, minimizzare o in altro modo legittimare la violenza, l’odio o la discriminazione; – offendere la dignità umana nei confronti di un gruppo di persone o un membro di un gruppo sulla base di uno dei motivi di cui all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Così si legge nella nota Agcom di presentazione.
Le sanzioni previste ai media (di qualunque tipo) andranno da euro 30mila ad euro 600mila e le consultazioni saranno “aperte” per 60 giorni, a partire dalla data di pubblicazione dello schema di regolamento (ossia dal 29 luglio 2022).
Hate speech o libertà d’espressione, chi stabilisce il confine: il dilemma
Lo schema di regolamento
Il regolamento che verrà adottato in seguito alla delibera classificata 292/22/CONS è destinato a sostituire, per abrogazione espressa, il precedente Regolamento recante disposizioni in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all’hate speech approvato con delibera classificata 157/19/CONS (articolo 11, rubricato “Abrogazioni”).
Ai sensi dell’articolo 10 dello schema di regolamento, “i provvedimenti sanzionatori adottati per le violazioni delle disposizioni in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto ai discorsi d’odio sono comunicati all’Ordine professionale qualora nei fatti oggetto del provvedimento sanzionatorio siano coinvolti giornalisti”.
Il rispetto delle disposizioni del regolamento sarà effettuato a cura dell’Autorità per le comunicazioni (Agcom), che potrà avvalersi anche della Guardia di Finanza e della Polizia postale, e, ove necessario, dei Comitati regionali per le comunicazioni.
Le violazioni potranno essere perseguite d’ufficio – cioè per moto spontaneo dell’Autorità – o su segnalazione di associazioni o altre organizzazioni rappresentative degli interessi degli utenti e da associazioni ed enti statutariamente impegnate nella lotta alla discriminazione e nella tutela dei diritti fondamentali della persona.
Per inviare una segnalazione, questi soggetti dovranno indicare le violazioni “attraverso una denuncia debitamente sottoscritta dal legale rappresentante, contenente i dati necessari all’identificazione del fornitore di servizi di media audiovisivi o radiofonici responsabile della presunta violazione” (articolo 7, comma 2, dello schema di regolamento), a pena di inammissibilità.
Questo significa che i requisiti per la presentazione delle “denunce” sono tassativi e il difetto di uno di essi potrà determinare l’archiviazione immediata della segnalazione.
Cosa sarà hate speech?
Chiaramente il nodo della questione è: cosa verrà considerato hate speech e cosa sarà lecito?
L’articolo 4 dello schema di regolamento fornisce – almeno in parte – la risposta, con un articolato forse troppo complesso, che può determinare anche un effetto censura per eccesso di tutela.
Nello specifico, il comma 2 dell’articolo 4 prevede che: “I fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici, al fine di prevenire le violazioni dei divieti di cui al comma 1, devono indirizzare la programmazione, attenendosi ai seguenti criteri vincolanti:
- a) i programmi di informazione e di intrattenimento non devono contenere espressioni verbali o para-verbali, immagini o elementi grafici suscettibili, in maniera diretta o indiretta, di istigare a commettere reati o effettuare apologia degli stessi nonché di offendere la dignità umana diffondere, incitare, propagandare oppure di giustificare, minimizzare o in altro modo legittimare la violenza, l’odio o la discriminazione e offendere la dignità umana nei confronti di un gruppo di persone o un membro di un gruppo sulla base di uno dei motivi di cui all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in un’ottica di bilanciamento di valori di pari rango, quali la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela dei diritti della persona;
- b) I programmi di informazione e di intrattenimento non devono contenere elementi suscettibili di determinare, in maniera diretta o indiretta, la deresponsabilizzazione dell’autore o la corresponsabilizzazione della vittima di violenza, di odio, di discriminazione o di lesione della dignità umana; nonché suscettibili di determinare in maniera diretta o indiretta qualsiasi altra forma di vittimizzazione secondaria o effetto di romanticizzazione, estetizzazione o eroticizzazione di dette condotte;
- c) in considerazione del contesto della trattazione, la diffusione di notizie e la trattazione di temi che possono riguardare soggetti a rischio di discriminazione devono conformarsi a criteri di verità, essenzialità e continenza della notizia evitando il riferimento a dati relativi alla sfera privata delle persone quali l’origine etnica o sociale, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura non rilevanti o pertinenti ai fini della cronaca;
- d) deve essere assicurato da parte dei direttori dei programmi e conduttori il tempestivo discostamento e riparazione rispetto alle dichiarazioni lesive della dignità della persona, dai discorsi d’odio o dalle forme comunicative inneggianti a violenza o alla commissione di reati, non prevedibili e inevitabili, o avvenuti in un contesto non sottoponibile a preventivo controllo del fornitore di servizi media”.
La lettera a) estende l’hate speech ad ogni espressione, anche indiretta, in qualunque modo formulata, che porti ad istigare, fare apologia, giustificare o minimizzare la commissione di reati o di discriminazioni variamente descritte.
Il concetto di istigazione è, già di per sé stesso, vago: quello di minimizzare, tuttavia, pare collocarsi davvero oltre la soglia del giuridicamente rilevabile.
La lettera b) porta a ritenere che solo una colpevolizzazione estrema del soggetto definito “autore” sia lecita.
La locuzione “elementi che possono determinare, in maniera diretta o indiretta, la deresponsabilizzazione dell’autore o la corresponsabilizzazione della vittima di violenza, di odio, di discriminazione o di lesione della dignità umana; nonché suscettibili di determinare in maniera diretta o indiretta qualsiasi altra forma di vittimizzazione secondaria o effetto di romanticizzazione, estetizzazione o eroticizzazione di dette condotte” significa, letteralmente, che nessuna solidarietà di sorta può essere nemmeno ipotizzata a favore del presunto carnefice.
“Deresponsabilizzazione” è termine polisenso: non se ne potrà nemmeno sostenere l’innocenza?
Conclusioni
Nel cercare ci dare tutela a tutto, si finisce per sanzionare condotte perfettamente lecite.
Nel diritto penale, questo principio è definito di “frammentarietà”: le condotte devono essere ben definite e deve essere chiarissimo cosa è illecito, di modo che tutto il resto sia chiaramente consentito.
A regolamento in vigore, un giornalista potrà intervistare un avvocato difensore che intenda sostenere l’innocenza del suo cliente accusato hate speech o discriminazione? Potrà questo avvocato sostenere che una data condotta, magari ripugnante, non deve essere sanzionata nei massimi, ma per circostanze specifiche, sarebbe più congrua una pena non esemplare? O tutto questo ricadrà nell’ambito della de-responsabilizzazione/minimizzazione e quindi sanzionabile?
Il rischio di censura è elevatissimo, così come è elevatissimo il rischio che i media, per evitare sanzioni, siano portati ad orientare l’opinione pubblica in modo sempre più binario, esponendo il mostro alla gogna, in modo acritico.
C’è una parte del giornalismo italiano che si comporta già in questo modo, per fattore culturale: l’Agcom potrebbe, con questo regolamento, in qualche modo, legittimarne giuridicamente l’azione che andrebbe, invece, limitata, sul piano culturale.