In poco più di cinque giorni, sono emersi due orientamenti contrastanti sulla tutela copyright dell’opera (d’arte) creata con l’ausilio degli strumenti di intelligenza artificiale: da un lato, il Copyright Office americano ha negato la tutela delle immagini generate con Midjourney, mentre la nostra Corte di Cassazione ha aperto la via ad una forma di tutela, purché, però, si verifichi caso per caso l’apporto creativo dell’autore stesso.
Copyright day 2023: tutti i nodi del diritto d’autore nell’era dell’AI
Il caso americano
La scrittrice Kristina Kashtanova ha depositato presso l’U.S. Copyright Office un libro da lei interamente creato, Zarya of the Dawn. Mentre, però, il racconto è stato effettivamente scritto dall’autrice, le immagini a corredo sono state realizzate con l’uso di Midjourney, un software di intelligenza artificiale in grado di generare illustrazioni sulla scorta delle descrizioni che sono impostate dall’utente.
Il 26 febbraio scorso, il Copyright Office americano, esaminata l’istanza di deposito, ha, da un lato, accordato la tutela prevista dalla locale normativa sul diritto d’autore al testo e all’impaginazione del libro, ma, dall’altro, ha negato la tutelabilità delle immagini generate con il tool. Infatti, secondo l’Autorità, le illustrazioni create con un software di intelligenza artificiale generano un risultato inaspettato e non prevedibile per chi lo usa. In altre parole, l’uso di Midjourney non può essere paragonato, ad esempio, a quello di Illustrator, dato che il primo genera un’illustrazione che non può essere prevista dal suo autore, a differenza del secondo che, invece, è un mero strumento di disegno, una sorta di tela e di pennelli digitali, che, quindi, rendono sullo schermo ciò che il loro autore ha effettivamente si sta effettivamente prospettando nella sua mente.
Gli avvocati della Kashtanova hanno già annunciato che proveranno a impugnare la decisione dell’USCPO, dato che, a loro dire, le immagini generate da Midjourney non siano nient’altro che una espressione diretta della creatività dell’autrice e, quindi, soggette al copyright.
Il caso italiano
La pronuncia della Corte di Cassazione, invece, apre in un certo qual modo alla assoggettabilità al diritto d’autore delle opere create con i software basati sull’intelligenza artificiale.
Nel caso di specie, la RAI era stata accusata di essersi impossessata dell’immagine di un fiore realizzata con l’IA da un architetto per utilizzarla per la campagna pubblicitaria e di comunicazione del festival di Sanremo 2016. L’emittente, dopo essere stata condannata dalla Corte territoriale di Genova, ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che l’immagine in questione non poteva essere qualificata quale opera dell’ingegno, proprio perché generata dall’IA e non riconducibile all’idea del suo creatore. In altri termini, la RAI ha adottato una linea difensiva che è similare all’interpretazione data dall’Ufficio Copyright statunitense nel caso sopra esaminato.
La Suprema Corte, seppur in via incidentale e sicuramente non in modo risolutivo, ha avuto modo di affrontare il problema, ritenendo, con l’ordinanza n. 1107 del 16 gennaio 2023, che le opere generate con un software di intelligenza artificiale possono essere astrattamente tutelabili dalla normativa sul diritto d’autore.
Invero, a norma dell’art. 1 della l. 633/41 (c.d. Legge sul Diritto d’Autore o, in breve, l.d.a.), sono protette «le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione»: dunque, uno dei requisiti affinché un’opera dell’ingegno possa essere ritenuta meritevole di protezione è proprio quello della creatività, che, secondo la Corte, «non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, ma si riferisce, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 della legge citata, di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore».
In parole semplici, l’ordinanza in esame non esclude che possa sussistere il requisito della creatività per il solo fatto che l’opera consista in una idea o in una nozione semplice o perché l’autore abbia utilizzato un software IA, ma la sua esistenza deve verificata caso per caso, accertando, quindi, non l’idea alla base dell’opera, ma «la sua soggettività, presupponendo che l’opera rifletta la personalità del suo autore, manifestando le sue scelte libere e creative».
Dunque, nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’immagine non fosse una semplice riproduzione di un fiore, ma ne comportasse una vera e propria rielaborazione, tanto che la stessa RAI ne aveva riconosciuto implicitamente il carattere creativo dell’immagine con il suo utilizzo «valorizzandola come simbolo della manifestazione».
Conclusioni
A parere di chi scrive, non v’è dubbio che l’approccio della Corte di Cassazione sia più aperto, moderno e, soprattutto, condivisibile rispetto alla rigidità mostrata dall’U.S. Copyright Office. Innanzitutto, l’utilizzo di un software per la realizzazione di una illustrazione non può essere l’unico metro di valutazione per l’accertamento del requisito della creatività dell’opera, altrimenti dovrebbero essere ritenute opere semplici tutte quelle realizzate anche con programmi meramente strumentali.
Nel caso dell’uso di Midjourney o Dall-E, ciò che però deve assurgere a strumento fondamentale per l’accertamento della creatività dell’opera dovrebbe essere il raffronto fra l’effettiva visione personale della realtà propria dell’autore dell’opera e ciò che l’IA ha generato: se, infatti, l’illustrazione generata dal software non dovesse essere il frutto dell’ingegno dell’autore, ma solo del “freddo” algoritmo, l’opera non potrà che essere ritenuta che una semplice riproduzione della realtà.
Viene da chiedersi se le istruzioni, o, per meglio dire, i prompt dati ai software di IA possano essere un valido mezzo di prova per dimostrare che l’autore ha effettivamente utilizzato lo strumento di informatico producendo ciò che si era prefigurato e, in tal caso, quale debba essere il loro grado di complessità e, di “creatività connessa”: tanto, forse, sarebbe sufficiente per evitare che chiunque generi un’immagine di un “elefante rosa che legge un libro di favole”, soggetto sicuramente fantasioso, ma poco creativo, possa essere accomunato a chi, invece, generi delle vere e proprie opere d’arte digitali.
Sarà, quindi, interessante vedere come si evolverà la giurisprudenza negli anni a venire, dato che, a parte le mode passeggere, l’IA si appresta a diventare uno strumento di lavoro utile ed indispensabile anche per i creativi e i prestatori d’opera intellettuale.