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Competenze per l’eLeadership, un problema per il futuro dell’Italia



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Dalle analisi del rapporto europeo sul decennio digitale e dalle nuove iniziative sul fronte dell’Intelligenza Artificiale chiari segnali di attenzione verso la necessità di adeguate competenze digitali, incluse quelle di eLeadership. Con l’urgenza di un approccio organico sui settori di intervento e sul sistema di apprendimento

Pubblicato il 21 nov 2023

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione



Power-to-the-people-

Appare sempre più chiaro che l’evoluzione tecnologica, e in particolar modo dell’Intelligenza artificiale, sarà sempre più positiva per il benessere sociale quanto più sarà efficace la sua governance, e le diverse iniziative di queste settimane, in sede internazionale (Nazioni Unite), europea e nazionale, testimoniano un’attenzione senz’altro significativa.

Come ho provato ad argomentare nel recente testo “Le sfide della società onlife”, il successo delle iniziative sarà più raggiungibile quanto più sarà diffusa e adeguata la competenza per gestirla, tale da consentire di progettare e realizzare uno scenario desiderabile.

Questo è il contesto in cui la capacità di governo del futuro dipende dalla consapevolezza digitale, dalla consapevolezza delle alternative di direzione dell’evoluzione tecnologica. Da qui la necessità sempre più pressante di un’acquisizione diffusa di competenze di e-leadership nelle classi dirigenti, ai diversi livelli e contesti di espressione.

Questa consapevolezza riguarda anche il fatto che lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, con le sue grandi opportunità e i rischi correlati, rappresenta un ulteriore salto di complessità per il suo impatto trasversale nell’approccio e nella relazione che ciascuno deve costruire con le tecnologie. Con il rischio di aumento della velocità di divaricazione sociale, che in una situazione come quella italiana può essere ancora più pericolosa.

Le competenze digitali e il decennio digitale europeo

Dall’analisi del Rapporto sullo stato del decennio digitale, che ha preso il posto dell’annuale rapporto DESI, i progressi dell’Italia nel campo delle competenze digitali sono sostanzialmente misurati ancora secondo la rilevazione Eurostat 2021, il che non consente riflessioni specifiche sull’andamento nazionale. Secondo questa rilevazione, solo il 46% della popolazione possiede competenze digitali di base (di contro, quindi, circa 24 milioni di persone sono a rischio di esclusione digitale). Ciò compromette la loro capacità di beneficiare delle opportunità digitali e di esercitare la cittadinanza digitale e ha un impatto negativo sulla piena inclusione digitale della popolazione italiana.

Sebbene il divario di competenze digitali tra uomini e donne sia diminuito negli ultimi anni, è ancora significativo per le persone anziane, che hanno ricevuto un’istruzione meno formale o che vivono in una zona rurale o in una regione ultraperiferica. Permangono differenze significative anche tra gli Stati membri.

Gli altri indicatori analizzati nel Rapporto, con rilevazioni del 2021 e del 2022, confermano il generale ritardo sul tema competenze da parte dell’Italia, con un numero di imprese che offrono formazione in ICT ai propri dipendenti ancora insufficiente (19% contro una media UE del 22%), ma in progresso rispetto al 2021 .

Situazione preoccupante anche in relazione all’altro indicatore sulle competenze digitali incluso nel Decennio Digitale, il numero di specialisti in ICT (con obiettivo di circa il 10% entro il 2030 a livello europeo). Qui è l’intera pipeline che mostra sofferenza, dalla percentuali di laureati ICT (in Italia 1,5%, circa un terzo della media Ue e con quasi impercettibile progresso rispetto al 2021), al numero di specialisti ICT, ancora molto bassa (il 3,9% degli occupati), anche per una composizione che mostra gravi problemi sul fronte del divario di genere, con la percentuale di donne tra gli specialisti ICT del 16%, molto al di sotto della media UE del 18,9%. L’offerta formativa sta aumentando (sia sul fronte pubblico che privato) ma ancora il dispiegamento delle attività è iniziale e avrà bisogno di rafforzamenti.

I dati di novembre 2022 del sistema informativo Excelsior hanno evidenziato che è oltre il 50% la difficoltà di reperimento, da parte delle imprese, di profili con competenze specialistiche ICT, rispetto a una domanda mensile (tra specialisti e tecnici ICT) di circa 10 mila posizioni. Una carenza in Italia ormai già nota, come i danni che provoca nel mercato del lavoro e nel mondo delle imprese, ma anche in generale per poter avere l’ambizione di giocare un ruolo di protagonisti e non semplici consumatori di tecnologia..

L’obiettivo a livello UE per il 2030 è molto ambizioso e si propone di raddoppiare gli specialisti Ict in otto anni (il dato Ue è del 4,6%, con un incremento complessivo dello 0,7% negli ultimi tre anni), con un aumento della velocità di crescita notevole e che richiede azioni su più livelli, dal settore dell’istruzione a quello dell’università e del mercato del lavoro.

Per questo l’Italia nel 2020 ha adottato una strategia nazionale per le competenze digitali, con un piano operativo di attuazione che viene aggiornato sulla base di un ciclo annuale di monitoraggio e che consiste di azioni in gran parte sostenute dal Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa, ancora però non arrivato ad uno stato di pieno dispiegamento tale da consentire di registrare già risultati significativi.

La questione competenze

Credo che l’accelerazione imposta dall’IA nella quarta rivoluzione industriale, centrata sul valore dei dati, ci ponga davanti a una situazione in cui alcuni fenomeni negativi già osservabili possono vedere aumentata la propria dimensione e il proprio impatto mettendo a rischio in modo grave la sostenibilità sociale delle nostre società. In particolare i principali sembrano essere:

  • la divaricazione sociale e l’esclusione digitale, che sempre più associa quest’ultima alle condizioni culturali, sociali ed economiche, come si rileva dai dati Istat prima citati;
  • l’accentramento economico, dove la stretta correlazione tra capacità di investimento, brevetti in IA, marginalità dei profitti non legati ai brevetti, sta rendendo sempre più rapido l’accentramento di capitali e la capacità di dettare le strategie di evoluzione nelle mani di poche aziende Big Tech;
  • l’impatto delle tecnologie nelle organizzazioni e conseguentemente sulle condizioni dei diritti (etica dell’IA, osservatorio permanente sul lavoro, nuovi modelli, protezione dati,…);
  • l’estensione della distrazione di massa, dell’analfabetismo (anche di ritorno), legati a un uso non adeguato del digitale e dei dispositivi (in particolare smartphone), ma anche alla carente conoscenza e consapevolezza del funzionamento della tecnologia, in particolare di IA, e degli algoritmi.

Sono fenomeni, questi, che possono essere contrastati da nuove regole (e si può vedere così con favore la costituzione di comitati nazionali e internazionali con questo scopo), da una spinta di politica industriale per una nuova proattività imprenditoriale sul settore ICT (iniziano ad esserci iniziative di spinta per startup nel settore IA, come ad esempio il nuovo bando del Fondo per la Repubblica Digitale), da una richiesta di salvaguardia sulla disinformazione, di protezione dei dati dall’invadenza sempre più pronunciata da parte degli operatori, da politiche pubbliche di indirizzo verso il paradigma di un’amministrazione centrata sui cittadini (in fieri, ma ancora da realizzare) . Tutto è però dipendente dalla presenza di adeguate competenze digitali e consapevolezza ai diversi livelli, dai cittadini ai decisori politici, dai manager ai lavoratori del settore pubblico, del privato, del terzo settore. E diventa chiave, così, l’acquisizione della necessità della centralità delle competenze in un contesto di approccio organico e di un sistema educativo e di apprendimento permanente, dal ciclo di istruzione all’età anziana. Dove i termini “organico”, “permanente” e “per tutta la vita” diventano la configurazione indispensabile, fattore critico di successo.

Alcuni spunti di riflessione rispetto all’e-leadership

La dimensione delle competenze di e-leadership ancora stenta ad imporsi, con una parte significativa di manager, soprattutto pubblici, che ha difficoltà a percepire la propria responsabilità nel direzionamento dell’innovazione, inclusa l’affermazione dell’importanza delle competenze nel sistema di obiettivi e incentivazione. In questo contesto di difficoltà è certamente significativo l’impatto generato dall’evoluzione sempre più rapida delle tecnologie di intelligenza artificiale, indicata anche come la “nuova elettricità”, pervasiva, abilitante, indispensabile, con declinazioni specifiche anche in ambito di Pubblica Amministrazione:

  • pervasiva, perché la personalizzazione dei servizi digitali, sempre più necessaria, richiede l’adattamento del comportamento del servizio allo specifico contesto dell’utente, che non si esprime solo in termini astratti di casistica, ma anche di storia di interazioni e di dati;
  • abilitante, perché disporre di capacità di analisi di quantità enormi di dati consente di avviare percorsi di programmazione, di predizione e di progettazione fino a pochi anni fa impensabili;
  • indispensabile, perché la richiesta sulla personalizzazione dei servizi, sulla risposta immediata alle richieste dei cittadini e dei “city user” pone le amministrazioni di fronte alla necessità di essere in grado di utilizzare le tecnologie di intelligenza artificiale, con una popolazione sempre più abituata a servirsi dei tanti assistenti virtuali disponibili, raggiungendo la maturità adeguata nel più breve tempo possibile.

La diffusione capillare e trasversale dell’IA, fa sì che gran parte della popolazione vi sia entrata in contatto, spesso senza avere le competenze adeguate per interagire efficacemente e consapevolmente, e che quindi pretenda che la stessa modalità possa essere utilizzata nell’interazione con tutti i servizi, anche quelli pubblici. Così, a prescindere dalla capacità e dal livello di utilizzo del digitale, che ancora in Italia, sulla base dei dati 2022, è insufficiente, la richiesta di interazioni personalizzate e intelligenti diventa sempre più elevata e così anche il livello necessario per la sua soddisfazione.

Il punto chiave è che fornire un servizio (digitale) efficace, comodo e semplice da utilizzare non è che uno dei risultati più evidenti della trasformazione digitale delle organizzazioni. Dietro questo, è necessario che siano costruite le condizioni per la sua progettazione, realizzazione, gestione, diffusione, evoluzione. E quindi, si tratta di compiere un cambiamento che affondi profondamente le radici sulle competenze delle persone, i processi e le modalità di lavoro, le relazioni. A maggior ragione, sulle competenze di chi questo cambiamento deve definire e governare, pensando all’organizzazione come organizzazione sociale. Competenze di e-leadership, appunto.

Ed è questa visione organica che, in una dimensione di e-leadership, bisogna possedere.

eLeadership e cambiamento nei servizi

Nei servizi digitali, in particolare, si riscontra una messa in campo sempre maggiore di applicazioni conversazionali intelligenti, capaci di rispondere anche a domande non predefinite, di conversare e costruire contenuti su richiesta. Questo è possibile grazie alla capacità di apprendimento dell’assistente virtuale che, grazie alla conoscenza di dati storici, dell’esperienza maturata e di nuovi dati acquisiti migliora le proprie capacità di rispondere alle domande.

L’acquisizione delle competenze di e-leadership per l’utilizzo positivo (nel senso della coerenza con le finalità del benessere sociale) ed efficace dell’IA si colloca su due livelli di consapevolezza:

  • della demitizzazione dell’IA, come tecnologia di supporto grazie all’enorme capacità di elaborazione di dati, ma non sostitutiva dell’attività creativa e decisionale umana, e che permette ai sistemi di apprendere e migliorare i propri risultati durante l’attività e sulla base dei dati via via prodotti;
  • dell’importanza fondamentale del feedback degli utenti, chiamati non soltanto a fruire in modo consapevole dei servizi abilitati dall’IA, ma anche a fornire un riscontro sull’adeguatezza delle loro prestazioni, in termini innanzitutto di accuratezza e semplicità d’uso. Quindi con un’attenzione elevata nello stimolare e assicurare la partecipazione dei cittadini-beneficiari nelle fasi di progettazione, realizzazione e monitoraggio dei servizi, oltre che, in generale dell’azione pubblica. Nel solco delle politiche di governo aperto.

L’enfasi sulla partecipazione richiama l’area di competenza “Competenze per un’amministrazione guidata dai cittadini” del framework delle competenze di e-leadership per l’ambito pubblico, e quindi in particolare la capacità di andare in controtendenza rispetto a quello che Sadin chiama “particolarismo autoritario”, fenomeno crescente e disgregante del tessuto vitale della società digitale, ponendosi, da attore pubblico, nella riaffermazione del bene comune, della sua valorizzazione e centralità. Della produzione di valore pubblico.

L’e-leadership con le tecnologie emergenti, per una nuova cultura della governance

La competenza sulla sicurezza non è soltanto quella che risulta maggiormente carente nelle rilevazione sulle competenze digitali della popolazione italiana, ma anche una delle maggiori carenze nei livelli decisionali. La consapevolezza dei temi della cybersecurity per l’e-leadership è invece sempre più cruciale e ne connota anche le condizioni di base per un approccio sistemico sull’organizzazione. Il fenomeno dei crimini informatici, per gravità, ha le dimensioni che i casi dell’ultimo periodo hanno iniziato ad evidenziare: organizzazioni che vedono bloccati i propri servizi, amministrazioni che non riescono a erogare i servizi essenziali ai cittadini, servizi trasversali utilizzati, in ottica cloud, da più organizzazioni, non fruibili e il cui blocco pertanto le danneggia tutte contemporaneamente.

Se l’amplificazione anche mediatica di alcuni di questi casi ha portato i riflettori sulla necessità di associare a piani globali e integrati di cybersecurity anche solidi piani di continuità operativa, ecco che questo tema è (finalmente) salito al livello della governance dell’intero sistema. Nell’ambito italiano, il Clusit riporta che i danni globali causati dai crimini informatici ammontano a due volte il Pil italiano. Per la sola Italia si ipotizza che nel 2024 potrebbero esserci perdite dell’ordine di grandezza di 20-25 miliardi di euro.

La consapevolezza che consente di porre la trasformazione digitale come necessità di business (pubblico e privato) deve anche configurare il tema della cyber security in modo sistemico come tema prioritario che preserva l’agibilità delle attività dell’organizzazione, e quindi allo stesso livello di importanza.

L’altro fenomeno rilevante nel contesto della governance di sistema e delle richieste per l’e-leadership è legato alla modalità ibrida di lavoro, vista come necessità organizzativa.

Come puntualizzato da diversi osservatori e studi, mentre l’evoluzione preferita dai lavoratori è quella di una modalità di lavoro ibrida (in Italia “lavoro agile”) per cui «la maggior parte (78%) preferisce un modello di lavoro ibrido che unisca telelavoro e lavoro in sede», le organizzazioni nei diversi continenti si stanno focalizzando su questioni come la corretta percentuale di giornate settimanali in cui i dipendenti possono lavorare da remoto e quali regole adottare per i compensi (possono valere meno le giornate in lavoro da remoto? possono essere diversamente retribuite a seconda del territorio in cui si lavora? ).

Il problema è che la mancata consapevolezza del “nuovo” contesto, rende difficile adottare la logica di un modello ibrido, che vede la presenza fisica come uno degli elementi di articolazione del lavoro, in cui il luogo di lavoro è definito sulla base dell’obiettivo e dei requisiti della specifica attività

Siamo entrati in una fase in cui hanno dimora stabile l’incertezza e i repentini cambi di contesto. Anche in questo senso l’implementazione di un modello ibrido è fondamentale per massimizzare la capacità di resilienza, perché consente la maggiore adattabilità ai cambi di contesto. Resilienza organizzativa e sociale in termini anche di flessibilità e sfruttamento delle opportunità oltre che di minimizzazione dei danni relativi ai cambiamenti esterni, sempre nel contesto della trasformazione digitale,

La necessaria gradualità di attuazione del modello ibrido nelle organizzazioni attiene pertanto, in gran parte, alla costruzione delle condizioni culturali, organizzative e tecnologiche che consentono di passare da una logica di controllo della presenza (fisica, non effettiva e di attenzione) ad una di monitoraggio degli obiettivi. E quindi con un percorso determinato, e concreto, che tenga conto delle esigenze di efficacia ed efficienza delle singole attività, sapendo che, come evidenziato da più ricerche, con il modello ibrido il potenziale di produttività individuale e collettiva aumenta in modo significativo.

In questo senso, la presenza delle condizioni per il lavoro ibrido è la misura della maturità digitale di un’organizzazione nel percorso della sua “trasformazione digitale”.

Conclusioni

Credo che sia, questo, il momento di decidere che futuro vogliamo costruire e, rapidamente, iniziare a realizzarne le condizioni. Non c’è molto tempo a disposizione, l’accelerazione dovuta all’IA di cui si è fatto cenno è sempre maggiore e probabilmente la direzione che sarà intrapresa nei prossimi anni avrà effetti difficilmente reversibili, in termini di affermazione del tipo di evoluzione tecnologica ma anche di cultura e competenze. A partire dalle competenze di e-leadership, diffondendo una cultura digitale di governo della trasformazione digitale e puntando sulla cultura dell’openness e della collaborazione, ma anche dell’innovazione e della sperimentazione.

Il successo delle iniziative di trasformazione digitale e transizione ecologica è strettamente legato all’affermarsi di questa consapevolezza.

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