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Quali tutele contrattuali per gli influencer: norme da conoscere, squilibri da sanare

Non c’è ancora una regolamentazione standard a tutela dell’attività degli influencer, che può essere comparata alla libera professione. Dato che Il fenomeno esiste e muove fatturati sempre più importanti si dovrebbe pensare a un’associazione di categoria che tuteli un settore che dà ampio spazio ai giovani e alla creatività

Pubblicato il 27 Mag 2021

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

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A fine aprile Mafalda De Simone, di professione influencer, ha lanciato l’idea di un sindacato di categoria, sul modello statunitense. Al di là della valutazione di merito sulla proposta, uno squilibrio contrattuale tra chi opera online e i brand c’è, a meno di non essere top nella categoria: nel qual caso, i ruoli si invertono.

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Inquadramento dell’attività dell’influencer

L’influencer che esercita tale attività in modo stabile e continuativo è un imprenditore, equiparabile alla categoria dei liberi professionisti. La sua attività principale, tendenzialmente, si concretizza nell’interazione con il pubblico e nella sponsorizzazione di prodotti ed eventi.

Il legislatore non ha ancora provveduto a creare una regolamentazione standard da applicare all’ambito contrattuale degli influencer in ragione delle loro esigenze lavorative. È attualmente in uso concludere contratti atipici di influencer marketing, esercitando l’autonomia contrattuale riconosciuta dall’articolo 1322 del Codice civile. Diversamente, altri influencer e brand, a seconda delle esigenze, preferiscono inquadrare il rapporto come contratto d’opera intellettuale o, in alternativa, come appalto di servizi.

Per meglio comprendere le differenti tipologie di contratti è opportuno ricordare che, a seconda dei soggetti che diventeranno parte del contratto, il tipo di accordo utilizzato sarà differente. Per esempio, i contratti di sponsorizzazione e di web marketing possono essere stipulati sia direttamente tra brand e influencer, sia tramite l’intermediazione di un’agenzia; in quest’ultimo caso, c’è un contratto di mandato tra influencer e agenzia e l’estensione anche a quest’ultima della responsabilità contrattuale.

Altri aspetti rilevanti che possono costituire variabili nella stipulazione del contratto sono:

  • le modalità di pagamento;
  • la durata del contratto in relazione alla prestazione (se oggetto più prestazioni o se è ad esecuzione istantanea, ossia che si risolverà con il compimento di un’unica prestazione come ad es. la condivisione di un singolo post);
  • l’eventuale patto di non concorrenza;
  • i collaboratori esterni;
  • le garanzie che l’influencer deve fornire all’azienda in merito a licenze ed autorizzazioni;
  • i pagamenti di spese di viaggio per l’influencer e per i propri hairstylist, make up artist ecc.
  • la risoluzione del contratto ed eventuali clausole vessatorie a carico delle parti.

Date queste premesse, è chiaro che, più che ad un sindacato in senso stretto, si dovrebbe pensare ad un’associazione di categoria, perché non si tratta di rapporti di lavoro subordinato “camuffati” da partita iva, come nel caso dei Rider.

Norme e accordi regolatori dell’attività pubblicitaria

L’influencer deve sempre prestare attenzione al complesso di norme concernenti l’attività pubblicitaria e, soprattutto, agli obblighi di trasparenza.

Sono rilevanti il Codice del consumo (Decreto Legislativo 206/2005), le norme riguardanti la tutela dalla pubblicità scorretta e ingannevole (Decreto Legislativo 145 del 2007), l’articolo 2598 del Codice civile, in tema di concorrenza sleale, l’adesione di aziende al Codice di Autodisciplina Pubblicitaria (C.A.) creato dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP). Recentemente, sempre più brand valutano positivamente l’adesione degli influencer alle linee guida dell’IAP, ritenendola una garanzia anche nei loro confronti, a prevenzione di eventuali comportamenti che, eventualmente, potrebbero essere loro addebitati quali atti di concorrenza sleale. Sempre in via autoregolativa, l’IAP ha emanato il regolamento Digital Chart che contiene specifiche linee guida volte a garantire la trasparenza tra operatori commerciali e e-commerce, per cui, ad esempio, si richiede sempre di indicare la natura promozionale dell’attività. È necessario, dunque, inserire in modo visibile nel post o nella storia pubblicata la dicitura adv, advertising, sponsorizzato da… ecc., quando una collaborazione con un brand è avvenuta in ragione di un compenso remunerativo. Anche nel caso diverso in cui il bene o il servizio pubblicizzato sia stato regalato da un brand, dovrà essere utilizzato l’apposito disclaimer per indicarne l’origine (es. gifted). Per meglio comprendere la questione, in presenza di pubblicità ingannevole il soggetto che si ritiene danneggiato potrà agire innanzi al Tribunale per la tutela dei diritti riconosciuti ai consumatori o per contrastare un fenomeno di concorrenza sleale, oppure rivolgersi all’Autorità Garante della Concorrenza del Mercato (AGCM), oppure ancora denunciare all’IAP la violazione del soggetto che eventualmente vi aderisce, ottenendo, in quest’ultimo caso, la rimozione immediata del messaggio pubblicitario (senza irrogazione di sanzioni).

Conclusioni

Come tutte le attività di libero professionista, anche quella dell’influecer soggiace all’alea del mercato.

Per gestire gli squilibri tra soggetti solo formalmente in parità di livello contrattuale, ad esempio, è stata introdotta la legge sulla subfornitura, per impedire alle aziende più strutturate di lucrare sulla posizione dominante che deriva da un rapporto di monocommittenza con aziende di dimensioni più piccole.

Certo è che il fenomeno esiste, muove un fatturato importante ed in piena espansione, specie negli ultimi due anni.

Non solo: è un settore che lascia alla creatività del singolo molto spazio e che consente a molti giovani di realizzarsi professionalmente, con buona pace dei detrattori – spesso anziani.

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