l'analisi

Apple e Cina, un divorzio necessario: i prossimi (sofferti) passi

Apple comincia a fare i conti economici e sociali del suo stretto legame con la Cina, sia a livello di produzione che di vendita. Spinta dalla complessità del contesto macroeconomico e dello scenario geopolitico, l’azienda è costretta a riesaminare molti degli aspetti principali della sua attività

Pubblicato il 29 Nov 2022

Barbara Calderini

Legal Specialist - Data Protection Officer

china covid zero

Malgrado, nella prima fase della crisi sanitaria causata dal Covid, gli affari di Apple in Cina non abbiano subito significative battute di arresto, neppure a seguito dei sabotaggi politici giocati a suon di minacce di censura e protezionismo tra Pechino e Washington, oggi la raggiunta consapevolezza che è la geopolitica a guidare i modelli di business, sta costringendo il gigante tecnologico ad una tempestiva gestione dei segnali negativi emersi, a cominciare dai costi economici e sociali della politica “Zero Covid” del presidente cinese Xi Jinping e dai rischi per la catena di fornitura finemente orchestrata di Apple.

Zero-Covid strategy in China | DW Documentary

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La situazione di Apple nel contesto della crisi delle Big Tech

D’altro canto, il malessere delle Big Tech è evidente. Il tumulto si abbatte non solo su Twitter che dopo il passaggio ad Elon Musk riduce la forza lavoro di 3.700 unità; anche Alphabet, Amazon, Meta, Microsoft Corp. e altri, negli ultimi mesi hanno tutti pubblicato rapporti piuttosto cupi sulle rispettive tendenze di crescita, evidenziando forti ridimensionamenti e facendo crollare le loro azioni.

Gli stessi risultati record riferiti da Apple per il quarto trimestre fiscale 2022, che pur dimostra di reagire meglio degli altri alla recessione economica in atto, hanno sollevato svariati interrogativi negli investitori, preoccupati che l’azienda, depositaria di un modello di business sicuramente resiliente, possa infine cadere vittima del rallentamento dell’economia nel settore tecnologico e, in particolare, del preannunciato calo della produzione dei propri smartphone in Cina dove, a livello nazionale, i casi giornalieri di infettati Covid-19 si rivelano ai massimi da sei mesi e i casi positivi raggiungono cifre di oltre 8.100 al giorno. Le stesse vendite di iPhone e servizi di Apple durante il trimestre natalizio si prevedono ben al di sotto delle proiezioni in conseguenza della politica pandemica di Xi.

Proprio Apple infatti, spinta dal particolare contesto macroeconomico difficile e volatile, da uno scenario geopolitico complesso, dalla perdurante lotta contro la pandemia che ha condotto all’isolamento globale la Cina, dal conflitto tra Russia e Ucraina, dalle rinnovate tensioni con gli USA per la questione legata al possibile coinvolgimento del produttore cinese di chip di memoria, Yangtze Memory Technology Corporation, o YMTC, nella fornitura di componenti per l’iPhone 14, è costretta a riesaminare molti degli aspetti principali della sua attività.

Almeno un paio di rapporti di Bloomberg e Insider hanno evidenziato come Apple stia rallentando il tasso di assunzioni e riducendo i budget per il 2023.

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La Cina chiusa al mondo dal 2020: le ripercussioni per l’economia globale

Il primo caso di Covid- 19 è stato identificato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) il 31 dicembre 2019 a Wuhan, in Cina. Da allora il virus si è diffuso rapidamente, causando una pandemia dichiarata l’11 marzo 2020 dall’OMS. A più di 2 anni da quando il primo focolaio di Covid-19 ha paralizzato Wuhan, la città della Cina centrale, il governo cinese rimane ancora fermamente convinto della validità della sua strategia “Zero Covid”.

Tuttavia, gli interrogativi e le preoccupazioni su come e quando la Cina uscirà dall’isolamento globale aumentano, così come crescono le riflessioni sulle gravi ripercussioni che ciò comporterà per l’economia globale.

Dato il ruolo centrale della Cina, il perdurante clima di incertezza unitamente alla politica cinese di “dinamiche Zero-Covid” stanno infatti generando una situazione straordinaria, spingendo i mercati con volatilità storicamente bassa verso fluttuazioni elevate: vale in modo particolare per il settore dei servizi, ma anche per il manifatturiero.

Malgrado nel 2020 il PIL della Cina abbia toccato quota 14,72 bilioni di dollari segnando un record positivo e raddoppiando il valore del 2010, pari a 6,087 bilioni di dollari, recentemente, il Fondo monetario internazionale (FMI) ha dichiarato di aver rivisto al ribasso le sue previsioni per la crescita economica della Cina dell’1,3% nel 2023.

“In Cina, ulteriori blocchi e l’aggravarsi della crisi immobiliare hanno portato la crescita a essere rivista al ribasso di 1,1 punti percentuali, con importanti ricadute globali”, ha affermato il FMI nel suo rapporto aggiornato sul World Economic Outlook.

Si prevede anche un rallentamento della crescita mondiale, dal 6,1% dello scorso anno al 3,2% nel 2022, 0,4 punti percentuali in meno rispetto al World Economic Outlook di aprile 2022, fino al 2,9%, 0,7 punti percentuali in meno nel 2023.

Stessa sorte per il fronte dell’inflazione dove sempre il FMI ha rivisto al rialzo le sue previsioni portando il tasso di inflazione globale al 6,6% nelle economie avanzate del mondo e al 9,5% nei mercati emergenti. Tendenza inversa per la Cina dove la vera minaccia è rappresentata piuttosto dalla deflazione e dunque dall’ aumento di costo dei prestiti sia per i consumatori che per le imprese.

La Cina è la seconda economia più grande del mondo con un’economia dieci volte più grande di quella russa e le conseguenze negative causate dai blocchi pandemici per l’economia globale non possono essere certamente ignorate e sottovalutate.

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Il “triangolo di interdipendenza” che lega Apple alla Cina

A settembre di ogni anno, puntualmente Apple presenta i suoi ultimi telefoni nel suo futuristico campus della Silicon Valley, ma quest’anno i clienti desiderosi di accaparrarsi i suoi ambiti prodotti rischiano di rimanere molto delusi dopo l’ultimo avvertimento reso dall’azienda che ha informato dei disagi conseguenti alle restrizioni per il Covid-19 in Cina e dell’ impatto temporaneo sul principale impianto di assemblaggio di iPhone 14 Pro e iPhone 14 Pro Max situato a Zhengzhou.

Quanto tempo passerà prima che Xi Jinping annunci l’allentamento delle limitazioni per contenere la diffusione del virus Covid-19?

Il Fondo monetario internazionale ritiene che perseverare con la strategia “Zero Covid” sia economicamente dannoso per la Cina e il resto del mondo.

I blocchi rigorosi a cui sono sottoposte intere città stanno mettendo a dura prova la fiducia degli investitori esteri e locali nell’economia cinese, la stessa resilienza del popolo cinese e delle sue industrie manifatturiere che vedono le importazioni di beni dall’estero sottoposte ad una sorta di “congelamento” traballa sotto il peso delle ferree restrizioni emergenziali.

Folle di residenti nella metropoli industriale di Guangzhou, nel sud della Cina fuggono dai blocchi obbligatori; stessa evasione di massa dei lavoratori del complesso Foxconn si registra nella città centrale di Zhengzhou sottoposta a misure di lockdown. L’intera regione dello Xinjiang sarebbe vittima delle serrate “Zero Covid”.

Secondo gli esperti la riduzione delle restrizioni in Cina potrebbe verificarsi non prima della sessione parlamentare annuale cinese, prevista a marzo del 2023, mentre la fine della strategia “Zero Covid” dovrà attendere almeno fino al secondo trimestre dell’anno prossimo, aprile-giugno 2023.

Al blocco di Tianjin dall’8 al 31 gennaio 2022 è seguito, a marzo quello della città più grande della Cina, Shanghai, colpita da una forte ondata di contagi, con centinaia di migliaia di casi registrati; da allora il contesto è strutturalmente cambiato: i focolai si sono estesi anche a Shenzhen, Guangzhou, Pechino, Xi’an comportando un inevitabile inasprimento della politica “Zero Covid”. Intere città ed aree metropolitane sono state sottoposte, di volta in volta, a rigide misure lockdown: le famiglie sono state separate, i viaggi tra i distretti vietati, i residenti costretti ad uscire di casa solo una volta ogni pochi giorni, a seconda del livello di rischio del quartiere, coloro che risultavano positivi venivano trasportati in centri di quarantena o ospedali, i movimenti dei possibili contatti sono stati fortemente limitati, la produzione manifatturiera rallentata, molte autostrade rese inutilizzabili, i porti temporaneamente chiusi o comunque resi inefficienti, le importazioni di beni dall’estero “congelate”.

I disagi portati dai venti contrari derivanti dal tenore di queste e altre rigorose misure di contenimento pandemico sono destinati a continuare, almeno per i prossimi sei mesi.

Ne è ben consapevole Apple, costretta a ridurre, nel suo stabilimento a Zhengzhou, la produzione di iPhone14 per fronteggiare le restrizioni dell’ultimo lockdown e la fuga dei tanti lavoratori che stanno lasciando il più grande stabilimento di iPhone in Cina, cercando di sfuggire alle misure Covid-19, mettendo in tal modo a rischio la disponibilità dei tanto attesi modelli di ultima generazione in vista delle prossime festività.

Lo stallo pandemico degli stabilimenti che operano per l’azienda di Cupertino, quello a Zhengzhou (nell’impianto di Zhengzhou lavorano oltre 200 mila persone ora sottoposte a rigidi controlli tra cui l’isolamento in strutture apposite) di Foxconn, quelli di Petragon, Salcomp e Tata, il primo dei quali attualmente operativo con tassi di utilizzo che oscillano tra il 50% e il 70%, sta, infatti, determinando un calo della produzione di oltre il 30%, tempi di consegna più lunghi e, dunque, un potenziale significativo calo delle relative vendite: tutto nel trimestre più importante dell’anno.

In condizioni ottimali, la fabbrica Foxconn poteva produrre almeno 500.000 iPhone al giorno. Ed è questo un duro pugno allo stomaco per Apple, specie dopo i risultati record registrati nel quarto trimestre dell’anno. Non è una novità il fatto che Apple sia diventata una delle aziende più ricche e potenti al mondo.

E non lo è neppure il fatto che ciò è dipeso in parte dal successo di vendite riscontrato in Cina, dove Apple produce buona parte dei propri prodotti – tanto che la stessa idea di possibili cambiamenti nella catena di approvvigionamento (Vietnam, India) per limitare l’esposizione dell’azienda in Cina è già apparsa in altre occasioni scarsamente perseguibile se non addirittura impossibile.

Rappresenta, dunque, una magra consolazione il tentativo attuato dalla società americana di spostare la produzione di una piccola percentuale dei suoi nuovi iPhone in India e in Vietnam, dove fabbriche con solo decine di migliaia di lavoratori dovrebbero rivelarsi in grado di compensare le carenze dei partner di produzione cinese che impiegano circa 3 milioni di lavoratori.

In Cina, Apple genera circa un quinto dei propri ricavi: l’iPhone 12, distribuito in ben quattro versioni venne accolto molto bene dai consumatori cinesi, assicurando ad Apple un aumento delle vendite locali di almeno il 57%.

E d’altra parte la relazione di Apple con la Cina è iniziata almeno 20 anni fa, quando la società Foxconn, ormai storico partner asiatico per la produzione degli iPhone, ha cominciato ad assemblare l’iPod nel 2001 e l’iPhone nel 2007 all’interno di efficienti fabbriche di dimensioni urbane sorte intorno a Shenzhen.

Enormi stabilimenti, probabilmente non replicabili in nessuna altra parte del mondo per quantità e velocità di produzione, dotati di un esercito ben nutrito di centinaia di migliaia di lavoratori qualificati e formati dalla stessa Apple, che nel tempo hanno dato luogo a ciò che il Wall Street Journal ha descritto come un “triangolo di interdipendenza”.

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Conclusioni

Rapporti commerciali che nel tempo sono addirittura cresciuti e maturati, forti delle intuizioni imprenditoriali e del temperamento pacato e diplomatico dell’erede di Steve Jobs, Tim Cook, il quale non pare abbia mai avuto particolari problemi ad allentare la presa verso le priorità del Partito e a gestire, in modo soddisfacente “per i suoi profitti e per i piani di Xi Jinping”, le richieste di supervisione di Pechino e a piegarsi alle regole del gioco.

Non è un caso che proprio in questi giorni, probabilmente per adeguarsi alle misure di censura online del paese (AirDrop è stato utilizzato durante le proteste di Hong Kong e per diffondere messaggi contro il governo di Xi Jinping), sia stata diffusa una nuova versione del sistema operativo iPhone ai soli utenti della Cina continentale che limita le funzionalità di AirDrop consentendo un limite di soli dieci minuti alla ricezione di trasferimenti di file da estranei.

“Questo modello di business si adatta e funziona davvero solo in Cina”, sostiene, riferendosi alla filiera produttiva cinese, Doug Guthrie, decano uscente della business school della George Washington University, incaricato nel 2014 da Apple di analizzare la fattibilità del modello produttivo della società in Cina. “Ma poi finisce che sei sposato con la Cina”, aggiunge.

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