lo scenario

Quantum computing e AI: è qui la (vera) guerra fredda USA-Cina

Dall’insediamento dell’amministrazione Trump, il nuovo corso delle relazioni USA-Cina ha assunto i caratteri di una cold war giocata sul campo della corsa allo sviluppo tecnologico, tanto in ambito militare che scientifico e civile. Al centro delle mire di Pechino, il primato su intelligenza artificiale e quantum computing

Pubblicato il 13 Feb 2020

Luisa Franchina

Presidente Associazione Italiana esperti in Infrastrutture Critiche

taiwan cina cyberwar

Se è vero che i computer quantistici sono considerabili l’equivalente digitale di una bomba nucleare, chi arriverà primo nella gara per la realizzazione delle prime macchine quantistiche efficienti potrebbe raggiungere un vantaggio geopolitico rilevante.

La Cina è decisamente in vantaggio anche sugli Usa, grazie a investimenti ingenti per la realizzazione di un mega-progetto sul quantum computing e l’istituzione di un laboratorio nazionale cinese dedicato alle scienze dell’informazione quantistica. Ma Europa e Italia non stanno a guardare.

Intanto, oltre che sul quantum computing, la guerra fredda tra Washington e Pechino si sta consumando su diversi ambiti dello scenario tecnologico, che finora hanno fatto più notizia.

La nuova cold war Usa-Cina

Dall’insediamento dell’amministrazione Trump, il nuovo corso delle relazioni USA-Cina ha fin da subito assunto i caratteri di una cold war che ricalca le caratteristiche della storica contrapposizione tra blocco occidentale e blocco sovietico, che nel secondo dopoguerra segnò l’inizio dei nuovi equilibri di potere globali. Esattamente come accadde allora tra Stati Uniti e Unione Sovietica, l’attuale confronto tra Washington e Pechino si sta giocando sul campo della corsa allo sviluppo tecnologico, tanto in ambito militare che scientifico e civile.

La prima vera “mossa bellica ufficiale” in tal senso può essere individuata nell’emanazione del Defending U.S. Government Communications Act, promosso dal parlamentare repubblicano Mike Conaway, che prende esplicitamente di mira le tecnologie cinesi nell’ambito delle telecomunicazioni, ed in particolare quelle dei colossi Huawei e ZTE (che presentano forti connessioni con il Partito Comunista Cinese), le quali, secondo Conaway, non sarebbero altro che “un mezzo con cui il governo di Pechino spia le agenzie federali degli Stati Uniti”.

Le schermaglie sul 5G

La Cina ha risposto “all’affronto” dei dazi e alle misure legislative statunitensi facendo a sua volta “muro” nei confronti dei marchi tecnologici stranieri di multinazionali come HP, Dell e Microsoft, che, secondo una direttiva emanata da Pechino all’inizio dello scorso dicembre, dovranno essere rimossi dagli uffici governativi e dalle pubbliche istituzioni entro tre anni.

Per certi aspetti, lo scontro tra Stati Uniti e Cina – che comunque qualche settimana fa hanno siglato la cosiddetta “Fase Uno” di un accordo commerciale che dovrebbe mettere fine alla guerra dei dazi, ma che lascia irrisolte molte delle questioni più scottanti – sembra assumere più i connotati di una psychological operation che di una effettiva guerra commerciale.

Si pensi all’annuncio del lancio del sistema operativo Hongmeng OS/Harmony OS, pubblicizzato dai media come il “sistema operativo cinese di Stato”, che avrebbe presto sostituito Android e sfidato Google ed Apple, ma il cui impiego non è in realtà previsto, almeno per il momento, né su smartphone, né tanto meno su tablet e computer, che continueranno ad appoggiarsi all’ecosistema Android, ma solo su dispositivi come Smart TV, Smartwatch, sistemi In-vehicle e Smart speakers, come lo stesso Presidente della Huawei Consumer Business Software ha recentemente chiarito nel corso di una presentazione a Shenzen.

Intelligenza artificiale e calcolo quantistico, le mire della Cina

Tuttavia, lo “spauracchio” tecnologico cinese c’è, ed è quello meno evidente, forse volutamente lasciato passare sottotraccia rispetto al clamore mediatico che ha interessato il confronto tra le due potenze sul piano delle relazioni commerciali. Secondo il Worldwide Threat Assessment, presentato al Senato degli Stati Uniti nel gennaio 2019, il vantaggio competitivo degli USA in ambito tecnologico e scientifico sarebbe stato eroso significativamente a causa degli sforzi condotti dalla Cina negli ultimi due anni nell’intensificare il ritmo della ricerca, soprattutto nel campo dell’intelligenza artificiale e del calcolo quantistico. Uno degli obiettivi primari della nuova strategia nazionale promossa dal presidente Xi Jinping a partire dal 2016, infatti, prevede il raggiungimento dell’autosufficienza e allo stesso tempo della leadership tecnologica globale.

Come dichiarato dal Documento del Consiglio di Stato del luglio 2017, per Pechino l’Intelligenza Artificiale è il “nuovo obiettivo primario della concorrenza internazionale”, nonché “nuovo motore dello sviluppo economico”. Ma non solo. Si pensi anche alla possibilità di gestione automatizzata dei mezzi bellici, calcolo delle risorse, decision making e proiezione di scenari di attacco-difesa in ambito militare; oltre che agli impieghi sul piano del “controllo sociale”, grazie a sistemi avanzati di riconoscimento facciale e videosorveglianza.

Il Governo cinese, come abbiamo già ricordato, ha inoltre stanziato cospicui finanziamenti, nell’ordine di svariati miliardi di dollari, per la realizzazione di un mega-progetto sul quantum computing e l’istituzione di un laboratorio nazionale cinese dedicato alle scienze dell’informazione quantistica, con l’aspettativa di realizzare importanti progressi in questo a campo entro il 2030.

A differenza dei sistemi crittografici “tradizionali”, la distribuzione a chiave quantistica (Quantum key distribution, o QKD) si basa sul principio di indeterminazione di Heisenberg, che afferma che non è possibile conoscere con precisione lo stato quantistico di una particella, in quanto ogni tentativo di misurazione farebbe “collassare” la particella dal suo stato quantistico, comportando la perdita di tutte le informazioni relative a tale stato. Ciò significa che, all’interno di una comunicazione crittografata con un sistema QKD, ogni tentativo di intercettazione del messaggio verrebbe rilevato, in quanto modificherebbe inevitabilmente lo stato del sistema, lasciando oltretutto un segno evidente del tentativo di “osservazione”.

L’impiego della crittografia a chiave quantistica (Quantum key distribution, o QKD) è già in uso in Cina: l’esempio più noto sinora è rappresentato dal lancio di Micius, un satellite quantistico, che nel 2017 ha permesso una comunicazione sicura in video conferenza tra tre stazioni terrestri cinesi poste a grande distanza tra loro.

Secondo Raffaele Mauro, Managing Director di Endeavor Italy e autore del libro “Quantum Computing”, “il vincitore della gara per costruire le prime macchine quantistiche efficienti potrebbe raggiungere un vantaggio geopolitico rilevante”. I computer quantistici sono infatti considerabili “l’equivalente digitale di una bomba nucleare”.

E l’Europa?

Anche se al momento è la Cina a detenere il primato degli investimenti relativi al quantum computing, l’importanza fondamentale di questa frontiera tecnologica non sfugge nemmeno all’Europa, che nel 2018 ha stanziato un miliardo di dollari per il programma Quantum Technologies Flagship, di cui fa parte il progetto di realizzazione del computer quantistico OpenSuperQ (Open Superconducting Quantum Computer), a cui partecipano partner accademici e privati in Germania, Spagna, Svezia, Svizzera e Finlandia.

E non sfugge neanche all’Italia, che tramite il team di ricerca guidato dall’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del CNR di Milano, in collaborazione con l’Università di Calgary, è da tempo al lavoro sulla realizzazione di un super-computer quantistico “made in Italy”, che sfrutta determinate peculiarità dei diamanti. Le applicazioni concrete sono molteplici: l’estrema velocità di calcolo consentirà la risoluzione di problemi con un alto numero di variabili, come ad esempio in ambito metereologico, fintech o biomedico.

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