La ricerca in Italia si muove in modo scoordinato e per questo poco efficace, ma questo è un dato più che risaputo.
La novità è che in questi ultimi mesi, probabilmente sull’onda mediatica suscitata dall’interesse per il #PianoAmaldi, sono emerse molte proposte da parte di scienziati e accademici italiani che ponevano l’accento sui diversi temi relativi alle problematiche della ricerca italiana.
Tutte le proposte sono chiaramente sensate e, come detto, pongono in risalto problemi reali come l’importanza della ricerca di base o di quella applicata (a seconda dei punti di vista), la mancanza di bandi competitivi nazionali sul modello dell’Erc, l’eccesso di burocrazia.
Anche molte di queste proposte, tuttavia, sono permeate da polemiche e guerre ideologiche che mirano a mettere in contrapposizione ricerca applicata con ricerca di base o diversi assetti statutari degli enti di ricerca (fondazioni di diritto privato contro enti pubblici).
Una riforma complessiva della ricerca in Italia
L’elenco delle diatribe è lungo quanto sterile. È opinione di chi scrive che tutti questi problemi vadano affrontati contemporaneamente, senza pregiudizi e con coraggio per implementare una riforma complessiva che consenta al sistema di camminare su due gambe: una pubblica più incentrata sulla ricerca di base da parte di Università ed Enti Pubblici di Ricerca e una più dedicata alla ricerca applicata e industriale in grado di generare innovazione e crescita economica.
La formulazione originale del #PianoAmaldi per la ricerca pubblica – che si prefigge il raddoppio degli investimenti a partire dal 2021 per arrivare all’1% del PIL nel 2026 mantenendo il rapporto 2:1 tra ricerca applicata e di base – incorpora tutte le proposte che sono circolate successivamente e stupisce che il mondo accademico e della ricerca non si schieri compatto a sostegno di un paradigma che beneficerebbe tutti i settori.
Le quattro linee di intervento del #PianoAmaldi
Infatti, oltre al raddoppio dei fondi (a oggi investiamo solo lo 0.5% del Pil ossia 9 miliardi di euro mentre la Francia spende lo 0.8% e Germania l’1%, ossia 30 miliardi).
le quattro linee di intervento del #PianoAmaldi sono le seguenti:
Capitale Umano
- Assunzione personale ricercatore, da effettuarsi su fondi di bilancio ordinario.
- Adeguamento salari a standard Ue che permetterebbe anche di attirare eccellenze straniere oltre che di limitare naturalmente la fuga dei cervelli.
- Sburocratizzazione procedure amministrative come reclutamento e procurement libererebbe ulteriori risorse per aumento quota personale ricercatore rispetto agli amministrativi.
Progetti
- Istituzione di una Fondazione per il finanziamento di progetti di grande rilevanza mediante bandi competitivi nazionali (di cui l’Italia è molto povera) su modello Erc.
Infrastrutture
- Potenziamento infrastrutture di ricerca esistenti e creazione di nuove infrastrutture. I grandi laboratori di ricerca producono infatti un indotto economico immediato (trasporti, immobiliare, ingegneria civile, commerci). Se si prende come esempio il CERN, circa il 50% del finanziamento pubblico torna indietro come commesse per l’industria negli stati membri. Per quanto detto, la creazione di nuovi poli di ricerca pubblica di base potrebbe essere un importante fattore di rilancio per Sud e Isole, oltretutto a basso impatto ambientale.
Trasferimento tecnologico
- Le imprese italiane investono in R&S solo lo 0.9% del Pil, contro l’1.4% della Francia e il 2% della Germania. Le imprese tedesche depositano presso l’Ufficio Europeo del Brevetto cinque volte più brevetti di quelle italiane e 10 volte più brevetti presso USPTO americano. Questo accade anche perché la Germania dispone di un network pubblico/privato dedicato alla ricerca applicata e al trasferimento tecnologico. Il Fraunhofer Institute tedesco è una rete di 72 istituti di ricerca applicata e innovazione tecnologica, con un finanziamento annuale di 2.8 miliardi di EUR e 28000 dipendenti.
I fattori che frenano ricerca industriale e reindustrializzazione in Italia
Il rilancio della stentano a decollare per alcune criticità mai risolte come l’isolamento e il nanismo aziendale (4 imprenditori su 10 confondono digital marketing con “Internet” che ritengono inutile), la scarsità distretti industriali e l’assenza di un ecosistema in grado di abbassare la soglia di accesso a R&S e innovazione per le piccole e medie imprese (Pmi).
Tuttavia, la necessità dell’innovazione comincia a essere riconosciuta dalle Pmi anche in virtù dell’implementazione di Industria 4.0 che ha portato con se la creazione dei cosiddetti Competence Center il cui scopo è quello aiutare aziende a sfruttare opportunità e metodi offerti da innovazione tecnologica. Ma i Competence Center sono molti diversi dai centri Fraunhofer tedeschi e infatti non hanno ancora raggiunto l’impatto voluto.
Le criticità dei Competence Center
Le criticità dei Competence Center riguardano innanzitutto i criteri dei bandi assegnazione che prendendo in considerazione per esempio parametri come il numero pubblicazioni favoriscono le Università rispetto a centri di ricerca privati. Dal canto suo, il sistema universitario sconta il difetto di non saper dialogare con il mondo delle imprese per mancanza di figure specializzate.
I Competence Center sono arrivati con due anni di ritardo: furono annunciati nel Settembre 2016 e finanziati con le risorse della manovra 2018 ma poi
implementati solo nel 2019. Inoltre sono stati pubblicati i bandi per la certificazione di Centri per il Trasferimento Tecnologico di Industria 4.0 in parallelo alla costituzione dei Competence Center. Questi centri dovrebbero essere strutture di consulenza, innovazione e formazione tipo Fraunhofer (la cui certificazione è effettuata da Unioncamere) ma non chiaro quale debba e possa essere il rapporto con i Competence Center.
A loro volta i Competence Center non hanno una propria struttura operativa vera e propria e non svolgono autonomamente progetti a servizio delle aziende clienti. Il personale è dedicato essenzialmente a brokering, analisi di mercato, project/program management, networking. Le attività progettuali per aziende sono svolte da partner esterni perché manca la figura del tecnologo che opera internamente al Center.
Il loro meccanismo di finanziamento è complicato e copre fino al 50% delle spese sostenute per il progetto.
Attualmente i Competence Center fanno capo a Università e Enti pubblici di Ricerca:
- Manufacturing 4.0, che fa capo al Politecnico di Torino,
- Made in Italy 4.0, cui ente capofila è il Politecnico di Milano,
- BI-REX, ente capofila Università di Bologna,
- Artes 40, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa,
- SMACT, Università degli studi di Padova,
- Industry 4.0, Università degli Studi di Napoli Federico II
- Start 4.0, che vede come ente capofila il CNR
- Cyber 4.0, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Il problema dei Competence Center e in generale degli approcci tentati fino a oggi per innescare il trasferimento tecnologico risiede nel fatto che si è sempre cercato di cambiare la “mission” di strutture esistenti come le Università e Enti di Ricerca come CNR e IIT che invece fanno sostanzialmente ricerca di base.
Allargare il modello Fraunhofer/InnovAction
Come si vede dal grafico (cortesia Giuseppe Iannaccone, U. di Pisa) Università ed Enti di Ricerca come CNR ma anche IIT si finanziano principalmente dallo stato e parzialmente da bandi competitivi. Al contrario il Fraunhofer tedesco segue il modello dei tre terzi, essendo finanziato dallo Stato solo per il primo terzo mentre per il resto opera grazie a bandi competitivi (molti nazionali o dei lander) ed erogando servizi alle imprese. In Italia i centri che seguono questo paradigma sono solo quelli che fanno parte della rete InnovAction che infatti si ispira al Fraunhofer.
I centri Fraunhofer, infatti, hanno sedi e infrastrutture proprie e personale tecnologico dedicato con competenze specifiche in grado di integrare competenze da mondi diverso come università, centri di ricerca, startup, altri operatori portatori di know-how
Un centro Fraunhofer implementa e valorizza i progetti proposti da startup e aziende innovative aiutandole a realizzare la loro visione di innovazione con progettazione di soluzioni integrate, sviluppo prototipale, ingegnerizzazione del prodotto/servizio vero e proprio e suo dispiegamento in produzione.
Il modello di funzionamento nei confronti delle imprese clienti è quello della società di consulenza ed inoltre i centri fanno formazione e partecipano ad attività di ricerca finanziate a livello nazionale o europeo.
In Italia, la proposta di chi scrive e di Marco Bentivogli è di allargare il modello Fraunhofer/InnovAction in modo da dare implementazione al quarto punto del #PianoAmaldi.
L’operazione #QuantumItalia
Questa operazione è stata battezzata #QuantumItalia e prevede la creazione di centri Fraunhofer a partire dalle realtà esistenti come InnovAction e distretti industriali in grado di fare massa critica. La proposta prevede di adattare in termini di dimensioni e distribuzione geografica la struttura Fraunhofer alla realtà italiana. I settori di esecuzione di #QuantumItalia sono diversificati e coprono diversi campi strategici per il Paese:
- Supercalcolatori, intelligenza artificiale
- Computer quantistici
- Informatica e matematica industriale
- Chimica, scienza e meccanica dei materiali, nanotecnologie
- Spazio e aerospazio
- Opto-Elettronica, laser e telecomunicazioni
- Microelettronica e microsistemi fotonici
- Robotica industriale e civile, sensori
- Farmaceutica, tossicologia e medicina sperimentale
- Tecnologie per la sostenibilità ambientale, agricoltura e patrimonio artistico
- Tecnologie per trasporti, infrastrutture e sicurezza idro-geologica
- Biologia molecolare, biochimica, ingegneria genetica
- Approvvigionamento e stoccaggio energetico, fisica dei plasmi
- Medicina, telemedicina, visualizzazione medica e diagnostica
- Nutrizione, cibi di sintesi, agricoltura smart
- Cyber-sicurezza, crittografia, identità digitale, e-government
Conclusioni
In conclusione, una crescita economica sostenuta, dell’ordine del 2-3% del PIL potrà essere innescata solo investendo massicciamente nel triangolo della conoscenza, ossia istruzione, ricerca, innovazione. Al fine di ottenere questo risultato #QuantumItalia propone di implementare integralmente il #PianoAmaldi quindi di aumentare l’investimento in ricerca pubblica di base e applicata (nel rapporto 2:1) e di creare un nuovo network (senza cambiare la mission di enti esistenti) che consenta alle imprese di beneficiare di un ecosistema di ricerca applicata che dalla ricerca industriale produca innovazione e competitività.