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Ragazzi smartphone-dipendenti, che deve fare la Scuola

La dipendenza da smartphone è una delle forme più diffuse di new addiction, soprattutto perché i comportamenti che ne determinano lo sviluppo e la persistenza sono socialmente accettati. Come si sviluppa la dipendenza, le conseguenze e il ruolo della scuola

Pubblicato il 11 Gen 2019

Daniela Lucangeli

Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di Padova

Laura Mattera

Mind4Children spinoff dell'Università di Padova

Fenomeno amnesia digitale

La scarsa consapevolezza delle modalità adeguate di utilizzo degli strumenti digitali all’interno delle situazioni educative e scolastiche è uno dei fattori di rischio nel percorso verso l’innovazione didattica.

Ciò che manca spesso è la conoscenza degli effetti dell’utilizzo di questi strumenti sia su aspetti prettamente cognitivi (apprendimento, processi di percezione ed elaborazione delle informazioni, memoria ecc.) sia su aspetti socio – relazionali. Non a caso oggi si sente tanto parlare di dipendenza da tecnologia.

Cerchiamo allora di cosa veramente si intende con questa espressione e perché la scuola ha una grande responsabilità e una potenzialità enorme nel poter creare le condizioni favorevoli di formazione e generatrici di benessere degli insegnanti e degli alunni.

Dipendenza e “new addiction”

Il termine dipendenza viene generalmente associato a comportamenti psicopatologici relativi all’assunzione e/o abuso di sostanze. Le “new addiction”, “le nuove dipendenze”, sempre più diffuse nelle nuove generazioni, mostrano invece come aspetti relativi alla dipendenza patologica possano non essere necessariamente associati all’assunzione di sostanze. Con il termine new addiction infatti, ci si riferisce alle nuove forme di dipendenze come la selfie addiction, la dipendenza da lavoro (workaholism), la dipendenza affettiva o la dipendenza da smartphone, che non sono associate all’assunzione di sostanze.

Caratteristica principale di queste addiction è il continuo bisogno di svolgere una determinata attività o essere in contatto con un oggetto con cui si ha instaurato una relazione di dipendenza. Pertanto, mentre la “dipendenza”, rappresenta una condizione in cui l’organismo sviluppa una relazione di dipendenza fisico- chimica da una sostanza; l’”addiction” invece, si contraddistingue per il significativo bisogno psicologico di compiere uno specifico comportamento e per l’ansia da separazione e il disagio derivante dall’assenza dell’oggetto della dipendenza.

La dipendenza da smartphone, in particolare, rappresenta una delle forme più diffuse di new addiction, soprattutto perché i comportamenti che ne determinano lo sviluppo e la persistenza sono socialmente accettati.

Come si sviluppa una dipendenza

Ma come si sviluppa una dipendenza? Quali sono i meccanismi che determinano l’insorgenza di una new addiction? Queste domande sono fondamentali e in ambito educativo diremmo non solo fondamentali ma necessarie.

Come precedentemente trattato le evidenze neurobiologiche, mostrano come le condizioni di dipendenza patologica siano correlate ad una complessa interazione di sostanze chimiche del cervello, in primis la dopamina.

La dopamina è un neurotrasmettitore responsabile della motivazione e del comportamento alla ricerca di ricompensa, essenziale per il cambiamento neuroplastico, ovvero il processo che consente il formarsi di un’abitudine o di una dipendenza. Nella dipendenza da smartphone, ogni volta che il telefono si illumina per una notifica o una chiamata, si innesca il sistema neurochimico della ricompensa. I neuroni dopaminergici infatti, si attivano in presenza di stimoli che motivano l’individuo a compiere o reiterare un’azione. Ciò crea il bisogno di agire, che nella dipendenza da dispositivi tecnologici, si traduce con il continuo bisogno di essere a contatto con il proprio telefono.

Bambini e digitale: gli effetti

Ma dispositivi digitali come smartphone, tablet o pc, vengono utilizzati sempre di più a scopi didattici e educativi. Ciò che manca spesso è la consapevolezza rispetto agli effetti dell’utilizzo di questi strumenti sia su aspetti prettamente cognitivi (apprendimento, processi di percezione ed elaborazione delle informazioni, memoria ecc.) sia su aspetti socio – relazionali.

Relativamente agli aspetti cognitivi, nell’ambito del progetto “Digitale Sì, Digitale No – Una ricerca per liberarci da pregiudizi e dipendenze” (ImparaDigitale, CNIS, Università di Padova, Acer for Education) il nostro gruppo di ricerca ha valutato gli effetti del digitale sull’apprendimento in bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni. Dalla ricerca sono emersi valori più elevati nella velocità percettiva, nella memoria visuo-spaziale e nell’intelligenza fluida, nei bambini che utilizzano strumenti digitali.

La formazione degli insegnanti

Seppur dalle ricerche emergano risultati incoraggianti per muoversi sempre più verso una “scuola digitale”, non possiamo trascurare i fattori di rischio legati a tali metodologie. Tra questi vi è la scarsa consapevolezza delle modalità adeguate di utilizzo di questi strumenti all’interno delle situazioni educative e scolastiche. Vi è una lieve se non quasi del tutto assente formazione degli insegnanti verso gli aspetti qualitativi e quantitativi nell’uso di dispositivi mobili in contesti didattici. Pertanto, strumenti che di per sé potrebbero facilitare e promuovere l’apprendimento scolastico, divengono disfunzionali se non guidati adeguatamente. La scuola ha dunque una grande responsabilità e una potenzialità enorme nel poter creare le condizioni favorevoli di formazione e generatrici di benessere degli insegnanti e degli alunni.

Benessere e malessere a scuola

Chiediamoci qual è il futuro che ci aspettiamo? Come ci aspettiamo il mondo fra 25 anni? Quali tecnologie ci aspettiamo? Che cosa dobbiamo chiedere ai sistemi che studiano come migliorarle? Come ci aspettiamo le nostre scuole e i nostri studenti?

In Italia, una commissione ministeriale che si occupa del benessere e del malessere a scuola, ha raccolto dei dati sugli studenti preadolescenti.

La combinazione è la seguente: alle medie abbiamo il 73% degli allievi, un campione nazionale rappresentativo, che ha un indice di malessere che è superiore al malessere quotidiano ma entra nell’indicatore di soglia, ovvero di criticità. Il 73% significa che 7 su 10, a tredici anni, vivono male a scuola.

I rapporti Ocse dimostrano che i nostri studenti dichiarano di essere in ansia per le verifiche anche se preparati e che si preoccupano di non prendere buoni voti.

I fattori esaminati nel questionario Ocse sono: la competitività dell’ambiente scolastico, e il comportamento degli insegnanti. A livello generale, un rapporto improntato al dialogo tra studenti e docenti sembra essere centrale rispetto al livello di ansia.

Questo dovuto anche all’ingozzamento cognitivo e alla perdita progressiva di comportamenti emotivi significativi nella relazione allievo – docente.

Proprio tali comportamenti emotivi (sguardo, incoraggiamento, alleanza) stanno alla base di una autoregolazione psicologica spesso oggi sostituita proprio dalle relazioni mediate da tecnologia. Quando la tecnologia sostituisce l’uomo anche nell’educazione del profondo davvero il rischio è troppo grande.

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