Report Ue

Digital decade, il ritardo italiano danneggia tutti noi: priorità alle competenze



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Il rapporto sullo stato del Digital decade mette in evidenza per l’Italia, nell’area delle competenze digitali, la necessità di procedere rapidamente nel rafforzare le azioni già in atto in un’ottica strutturale e complessiva

Pubblicato il 5 lug 2024

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione



europa digitale

Il rapporto 2024 sullo stato del Digital decade, appena pubblicato da parte della Commissione Ue, rispetto al tema delle competenze digitali non può che sottolineare l’importanza e l’urgenza di azioni che consentano di rendere affidabile il percorso verso il raggiungimento dei due obiettivi definiti per il 2030: almeno l’80% di popolazione con competenze digitali almeno di base, 20 milioni di specialisti ICT, entrambi con convergenza di genere.

Obiettivi che vedono l’Ue lontana dal raggiungimento e l’Italia ancora di più, con la maggioranza della popolazione senza competenze digitali di base (54%) e una quota di specialisti ICT pari alla metà di quanto atteso. I dati su cui vengono effettuate le valutazioni, per la prima volta, non sono soltanto quelli rilevati per gli indicatori da Eurostat nell’anno precedente, ma si tiene conto anche delle roadmap nazionali per il decennio digitale.

Infatti, i dati utilizzati sono quelli della rilevazione 2023, pubblicati in Italia da Istat, anche con un recente approfondimento, molto utile e interessante che raccorda le diverse rilevazioni (come quella sul digitale nelle imprese) rispetto al tema delle competenze. Dati noti, che comunque grazie alla pubblicazione Istat consentono qualche riflessione di maggior dettaglio.

Digital decade, la roadmap

La novità è rappresentata dalla considerazione delle roadmap che ciascuno Stato membro ha definito rispetto all’obiettivo 2030 europeo. E quindi con una valutazione del presente (2023) rispetto (anche) a una previsione del futuro (2030), insieme ad una considerazione sulla situazione in atto in relazione ai temi emergenti (e che quindi diventano sempre più centrali) come l’intelligenza artificiale.

In questo ambito, soprattutto per Paesi come l’Italia, può essere maggiormente considerato il potenziale delle azioni in corso, in gran parte finanziate dal PNRR, e il cui effetto potrà essere riscontrato soltanto in prossimità delle scadenze dei target, soprattutto quindi nel 2025 e nel 2026.

Può così essere utile, restringendo in questo articolo il campo di analisi all’Italia, effettuare alcune valutazioni a partire dai dati e dai report, cercando di comprendere se si sta agendo sulle condizioni necessarie per un miglioramento radicale e cosa ancora manca perché il miglioramento abbia effetti adeguati alle esigenze e strutturali. Ecco alcune brevi riflessioni su questo quadro di analisi.

Competenze digitali di base in Italia: situazione e prospettive

Grazie alla recente pubblicazione di Istat abbiamo dei dati di dettaglio su cui poggiare le valutazioni: nel 2023 nel nostro Paese solo il 45,9% degli adulti possiede competenze digitali adeguate, oltre un terzo (36,1%) ha competenze insufficienti e il 5,1%, pur essendo utente di Internet, non ha alcuna competenza. Nel panorama europeo, l’Italia è uno dei Paesi con la quota più bassa di persone con competenze digitali almeno di base, con una distanza dalla media Ue di quasi 10 punti percentuali. Nella Ue l’andamento dal 2021 non è uniforme e se ci sono Stati con andamento positivo in 10 Paesi si riscontra una mancata crescita. Tra le grandi economie si evidenzia una flessione in Francia (-2,3 punti percentuali), una stabilità in Italia e un aumento in Germania e Spagna (+3,3 e +2 punti percentuali, rispettivamente).

In Italia, come in altri Paesi europei, le competenze digitali sono associate alle caratteristiche socioculturali della popolazione, come anche ha consentito di evidenziare il recente rapporto BES. In particolare, in Italia ha competenze almeno di base nei cinque domini del DigComp (comunicazione e collaborazione, alfabetizzazione su informazioni e dati, sicurezza, risoluzione di problemi, creazione di contenuti digitali) il 59,1% dei giovani tra 16 e 24 anni, contro appena il 19,4% degli adulti tra 65 e 74 anni. La distanza intercorrente tra i più giovani e i più anziani è in linea con quella media europea, ma l’Italia presenta valori nettamente inferiori all’Ue27 in tutte le classi d’età.

Genere, età e istruzione: i fattori discriminanti

Come evidenzia il rapporto di approfondimento Istat il principale fattore discriminante insieme al genere (come vediamo nella sezione specifica) e all’età è il grado di istruzione: in Italia, tra le persone con titolo di studio di livello universitario il 74,1% ha competenze digitali almeno di base e per questo segmento di popolazione il divario con la media Ue27 si riduce a -5,7 punti percentuali, mentre tra le persone con un titolo di studio basso, almeno la licenza media (il 22,6%) la distanza con la media Ue27 è di 11 punti percentuali.

E questo implica anche la difficoltà della maggioranza a esercitare in pieno i diritti sanciti dalla carta dei principi e dei diritti digitali, come la Commissione Ue tiene a sottolineare considerando i principi come parte inscindibile della valutazione della maturità digitale dei Paesi Ue.

Il nodo dell’accesso al mercato del lavoro

La situazione si mostra molto critica anche perché il possesso di competenze digitali è oggi un elemento essenziale per l’accesso al lavoro e per la riqualificazione delle persone in cerca di lavoro, oltre che per la partecipazione alla vita sociale e democratica. In Italia nel 2023 i disoccupati in possesso di competenze digitali almeno di base in tutti e cinque i domini sono il 38,7% rispetto al 47,7% della media Ue27, con un valore distante dalla Spagna e dalla Francia di oltre 18 punti percentuali.

La diffusione delle competenze digitali è significativamente più elevata tra gli occupati: in Italia, il 56,9% raggiunge un livello almeno di base nei cinque domini. Anche in questo caso, tuttavia, si osserva un divario ampio con la media dell’Ue27 (il 64,7%) e, tra le maggiori economie, con la Francia (67,5%) e la Spagna (75,4 %), mentre la Germania mostra valori poco superiori a quelli italiani.

Questo dato, rivolgendo l’attenzione specifica ai settori economici, registra il livello più basso in Agricoltura, silvicoltura e pesca (32,5%) con un’evidente correlazione con il basso livello di utilizzo della tecnologia in quei settori.

Se si analizza l’andamento della formazione Ict nella Pubblica Amministrazione, e in particolare quella locale, si registrano progressi interessanti, anche se ancora non sufficienti: nel 2022 l’hanno effettuata il 23,9% delle PA locali (+7 punti percentuali rispetto al 2018), il 17,3% dei Comuni fino a 5mila abitanti, il 57,6% dei Comuni con oltre 60mila abitanti, il 66,0% delle Amministrazioni Provinciali e l’81,8% delle Regioni e province autonome.

Lo scenario futuro

Le azioni che in Italia sono state introdotte per fronteggiare la situazione di ritardo, riassunte già nel Piano operativo di attuazione della strategia nazionale per le competenze digitali, investono tutte le aree di intervento identificate nella strategia e quindi concorrono sinergicamente al produrre l’impatto auspicato.

Di queste azioni, in gran parte finanziate dal PNRR e quindi ancora con effetti non rilevabili dalle indagini Eurostat e Istat, risaltano quelle, nel mondo del lavoro, rivolte alla formazione di dipendenti pubblici e privati sulla base rispettivamente del Syllabus per le competenze digitali della PA o del DigComp, o nel mondo della scuola orientate all’utilizzo del DigCompEdu, mentre per la popolazione le azioni previste nel capitolo Competenze digitali di base, ad esempio con la previsione dell’attivazione di tremila punti di facilitazione digitale entro il 2024 omogeneamente su tutto il territorio italiano, fanno sì che, in sinergia con i diversi progetti in atto da parte dei privati e del terzo settore, in gran parte aderenti in ambito Repubblica Digitale alla Coalizione nazionale per le competenze digitali, l’obiettivo intermedio di raggiungere un valore prossimo al 70% di popolazione con competenze digitali almeno di base entro il 2026 sia certamente ambizioso ma raggiungibile.

D’altra parte la possibilità di sviluppare una crescita che porti l’Italia a valori prossimi all’obiettivo 2030 europeo dipende probabilmente in gran parte dalla capacità di rendere strutturali e anche rafforzare le iniziative introdotte allo stesso tempo nel ciclo d’istruzione, nell’ambito lavorativo e nei servizi di accompagnamento e formazione alla popolazione.

La sfida che si pone all’Italia (e a molti Stati Membri dell’Ue) nel corso del 2025 (perché si possano porre le condizioni necessarie già nel 2026) sembra essere di questo tipo, anche in termini di investimenti e a livello normativo e organizzativo.

Specialisti IT e AI

Nell’area delle competenze il secondo obiettivo del programma strategico europeo del “decennio digitale” è raggiungere la quantità di 20 milioni di specialisti ICT (con una presenza femminile paritaria a quella maschile), pari a una quota di circa il 10% degli occupati, con una situazione di partenza poco oltre la metà dell’obiettivo.

Come rileva l’approfondimento di Istat, per l’Italia l’obiettivo si pone come raddoppio dell’attuale quantità, partendo, nel 2023, da 970mila persone impiegate in occupazioni che rientrano nell’aggregato degli specialisti ICT, mentre l’obiettivo Ue porta a una dimensione auspicata di 1,7 milioni entro il 2030.

Come rileva l’approfondimento Istat in Italia rispetto al 2022 gli specialisti ICT sono cresciuti dell’8,0%, contro il 2,1% dell’occupazione complessiva grazie a un incremento di 155mila unità, +19% rispetto al 2019, che rimane però inferiore rispetto all’insieme dell’Ue27 (+24,1%) e alla maggioranza degli Stati membri. Per questa ragione in termini relativi la situazione è peggiorata, per cui l’Italia ha perso sette posizioni negli ultimi quattro anni scendendo alla 24esima posizione nell’Unione per incidenza di specialisti ICT sul totale degli occupati, nonostante questa sia aumentata dal 3,5 al 4,1% (in ogni caso meno della metà dell’obiettivo Ue).

Se poi ci focalizziamo sul settore ICT, la differenza di presenza di occupati con competenze digitali si associa con fenomeni come la maggiore dipendenza delle imprese italiane rispetto a quelle europee verso fornitori esterni di servizi e conoscenze specialistiche come, ad esempio, la sicurezza informatica e le vendite via web. Nel 2023 circa sei imprese italiane su 10 tra quelle che vendono via web ricorrono a piattaforme o app di intermediari del commercio online rispetto a una media Ue27 del 42,9%. In Francia vi ricorrono solo tre imprese su 10, in Spagna quattro e in Germania circa cinque.

La formazione

L’impegno delle imprese italiane nella formazione in quest’ambito è in linea con quello delle imprese di Francia e Spagna, sia con riferimento allo sviluppo delle competenze dei propri specialisti ICT (9,1%), sia alla formazione destinata al miglioramento delle competenze digitali degli altri addetti non specialisti (15,9%).

A livello settoriale le imprese italiane con almeno 10 addetti del comparto ICT, il più attivo nella formazione, si collocano però oltre 10 punti percentuali sotto la media dell’Ue27 (54,7% contro 65,3%).

Le origini dello skill mismatch

Naturalmente la dimensione degli specialisti Ict, che incide anche sulla significatività del mismatch di competenze ricercate e presenti sul mercato del lavoro, è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno complesso che parte dal ciclo dell’istruzione e dalla formazione superiore fino alla maturità digitale delle imprese. L’approfondimento Istat li sintetizza con molta accuratezza, e in linea con le raccomandazioni all’Italia della Commissione UE:

  • l’innesco di un circolo vizioso per cui la bassa diffusione degli specialisti Ict si associa a una crescente esternalizzazione delle funzioni ICT nel sistema produttivo, mentre nell’insieme dell’Ue27 si verifica una tendenza opposta;
  • la quota ridotta di specialisti con titolo universitario, aspetto per cui l’Italia è ultima nell’Ue, e nettamente staccata dagli altri Paesi, nonostante l’andamento sia positivo (nel 2023, questi erano il 42,1% contro un livello medio del 66,7%);
  • la quota ridotta di specialisti ICT di età inferiore ai 35 anni, il 29,3% contro il 37,3% della media Ue27, che pone l’Italia in coda ai Paesi Ue27, con un andamento positivo dal 2019, con un incremento di 4 punti percentuali legato a nuove assunzioni, ma ancora non sufficiente;
  • la ridotta presenza femminile, di cui tratteremo nella prossima sezione.

La quota ridotta di laureati tra gli specialisti ICT e la stessa insufficiente quantità di specialisti è legata naturalmente alla quota ridotta (anche se in aumento) di laureati in generale e in discipline Ict. Negli ultimi anni, in particolare, a fronte di un aumento dei laureati si registra una riduzione relativa dei laureati in discipline STEM e una crescita molto modesta della quota dei laureati nelle discipline ICT, dall’1,3% del 2019 all’1,5% del 2022, mentre a livello europeo è passata dal 3,9% al 4,5%, all’interno di una classificazione che però non considera alcune discipline ingegneristiche.

Le possibili soluzioni

Come si riscontra dal Piano operativo di attuazione della strategia nazionale per le competenze digitali, il quadro delle azioni pubbliche e private, pur con alcuni impatti già visibili, non è ancora sufficiente per una crescita adeguata e strutturale rispetto alla presenza di competenze digitali avanzate e di professionalità IT rispondente alle esigenze delle organizzazioni e di un’economia alle prese con una sempre più veloce evoluzione tecnologica connotata anche dall’Intelligenza Artificiale.

Da questo punto di vista occorre certamente rafforzare sia il quadro di azioni a breve termine per invertire fenomeni di consolidamento (es. esternalizzazioni) della situazione di mismatch, valorizzando le iniziative in corso da parte delle associazioni di imprese, sia agire con percorsi di azioni con impatto di medio-lungo termine agendo dai cicli di istruzione con una revisione dei programmi e un approccio sempre più esplorativo e proattivo al contesto attuale della rivoluzione e della cultura digitale. Ma agendo anche oltre, sugli ITS, come consiglia l’approfondimento Istat, con programmi tecnici di ciclo breve (biennale), e con una maggiore valorizzazione dei percorsi in discipline scientifiche e ICT in particolare (nella sua completa accezione). Naturalmente l’accelerazione della crescita, in modo che l’Italia possa fornire un contributo più significativo anche alla crescita Ue, non può prescindere da una scelta di priorità e di centralità di questi temi e dalla valorizzazione delle esperienze in corso e anche dagli altri Paesi Ue.

I dati sulle disparità di genere nel digitale

Il superamento del divario digitale di genere è una questione trasversale e fondamentale rispetto alla presenza delle condizioni per uno sviluppo adeguato e coerente della società digitale. Dal rapporto Istat viene evidenziato come sul possesso di competenze digitali almeno di base sia presente una disparità di genere a favore degli uomini in quasi tutti i Paesi europei (in Italia, pari a 3,1 punti percentuali). Lo svantaggio femminile, tuttavia, è presente solamente a partire dai 45 anni, mentre fino ai 44 anni le donne risultano possedere maggiori competenze digitali rispetto agli uomini.

Se consideriamo l’altro indicatore chiave per il decennio digitale, la presenza di specialisti Ict, si riscontra una presenza femminile persistentemente modesta, in un contesto occupazionale comunque caratterizzato da una prevalenza maschile: nel 2023, le donne erano il 15,7%, contro il 19,4% della media Ue27. In questo caso, il progresso rispetto al 2019 è stato di 0,6 punti in Italia e di 1,6 punti nell’Ue27, allargando il divario. Queste evidenze si collocano però in un quadro di disparità di genere più ampia, anche a livello internazionale.

Secondo la nuova classifica del Global Gender Gap Report, nel 2024 l’Italia ha registrato un Global Gender Gap Index score pari a 0,703, in leggero calo rispetto al 2023 (-0,002). Questo lieve calo ha causato però all’Italia una perdita di otto posizioni in classifica, finendo all’ottantasettesimo posto su 146 Paesi monitorati. Anche nel 2023 l’Italia era scesa in graduatoria, perdendo 16 posizioni e piazzandosi al posto numero 79, ultima su 27 nel dato dell’occupazione femminile, con solo una donna su due che lavora. E con una quota di posizioni di vertice non elevata.

Il quadro internazionale è di disparità anche se in presenza di segnali di settori con andamento positivo. La rappresentanza delle donne nell’ingegneria dell’intelligenza artificiale è raddoppiata dal 2016, ma dal rapporto emerge che rimane una significativa sotto-rappresentanza nei campi delle materie STEM e nell’intelligenza artificiale. Come rileva il Rapporto Wef, la quota di donne con competenze in ingegneria dell’intelligenza artificiale è aumentato complessivamente dal 2016, e le differenze sono più pronunciate nei settori dell’istruzione e della tecnologia, dell’informazione e dei media e i settori con gli incrementi più significativi della concentrazione femminile nel tempo sono Tecnologia, Informazione e Media, seguiti da Servizi Professionali e Servizi Finanziari.

Rispetto alle competenze STEM, la quota di donne con competenze STEM è aumentata dal 2019, riducendo il divario di genere nelle competenze STEM in 62 economie su 73. Al contrario, le disparità stanno diventando più pronunciate nell’ambito delle competenze online nell’intelligenza artificiale e nelle competenze digitali, che stanno sempre più modellando le competenze complessive e il panorama lavorativo. Nonostante un notevole aumento delle iscrizioni a questi corsi per tutti i sessi tra il 2015 e il 2023 si è riscontrato ritardo nel raggiungimento della parità di genere. Questi risultati sottolineano la necessità di interventi mirati per colmare questo divario e garantire un accesso equo alle competenze tecnologiche emergenti.

Le azioni necessarie

Anche in Italia la situazione richiede un quadro di azioni organico e con impatti a breve. Alcuni segnali, ancora non sufficienti, vanno in questa direzione. Oltre a evidenziare dei progetti molto interessanti tesi a favorire l’incremento di iscrizioni femminili ai percorsi ICT universitari (da citare ad esempio, oltre alle altre diverse iniziative aderenti alla Coalizione Nazionale di Repubblica Digitale, l’edizione 2024 di Ragazze Digitali, il progetto promosso da Regione Emilia Romagna insieme alle Università della Regione), è da mettere in primo piano una delle principali azioni della strategia per la parità di genere definita dal Dipartimento per le pari opportunità.

Si tratta della Certificazione di parità di genere, basata sulla Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 recante “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator – Indicatori chiave di prestazione) inerenti alle Politiche di parità di genere nelle organizzazioni”. Con il DPCM 29 aprile 2022 infatti è stato stabilito che i parametri minimi per il conseguimento della certificazione di parità di genere da parte delle aziende, sono quelli definiti nella Prassi. Si delinea così un percorso strutturato su cui è possibile raccordare anche i piani di miglioramento su questo fronte e la definizione di policy per ciascuna organizzazione che si pongano come obiettivo, capillarmente quindi, di contribuire alla convergenza di genere.

Conclusione

Le valutazioni e le raccomandazioni della Commissione Ue vanno nella direzione di chiedere agli Stati membri un rafforzamento delle azioni sulle diverse aree delle competenze digitali e sull’attuazione diffusa dei principi e dei diritti digitali. Con un focus e una necessità di accelerazione di cui la stessa Ue si fa portatrice con i diversi programmi strategici.

Per l’Italia si tratta di agire con la consapevolezza del contesto in cui si colloca il ritardo che viene rilevato, in modo da realizzare delle azioni strutturali che tengano conto dei diversi fattori evidenziati dal Rapporto Bes (ad esempio, bassi livelli di istruzione, bassa presenza di disponibilità di pc nelle famiglie, bassa partecipazione alle attività culturali), oltre che degli interventi necessari sul sistema educativo e di apprendimento permanente, con un approccio olistico e associate organicamente ad azioni che possano avere effetti significativi anche a breve termine, come raccomanda Il secondo rapporto sullo stato del Decennio digitale della Commissione UE.

Con l’obiettivo che l’ambizione di crescita della traiettoria nazionale sulle competenze digitale si traduca sempre più in un percorso effettivo dagli effetti visibili già da subito. E davvero diffuso.

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