Una ricerca valuta l’efficacia dell’allenamento in realtà virtuale (VR) come strumento per migliorare le prestazioni dei giocatori nel contesto reale dello sport.
Dai risultati dell’esperimento emerge che l’allenamento con la realtà virtuale ha comportato un significativo miglioramento delle prestazioni dei partecipanti nel gioco del tennis da tavolo, rispetto al gruppo di controllo privo di allenamento.
Ma sono ancora pochi gli studi scientifici sull’efficacia dell’utilizzo della realtà virtuale (VR) nell’allenamento di atleti altamente qualificati. Ecco quale ruolo svolge la rabbia sulle prestazioni sportive in VR.
La rabbia come stato affettivo di base
Le emozioni rappresentano un elemento fondamentale dello sport che possono accrescere o ostacolare la prestazione sportiva. Lo sport può diventare quindi un luogo privilegiato dove imparare ad ascoltare e riconoscere le emozioni come gioia, tristezza, rabbia e paura.
Si pensa che l’esperienza emotiva sia organizzata da due distinti sistemi motivazionali: l’approccio e l’evitamento (Carver, 2006). È infatti noto che diversi stati motivazionali alterano le disposizioni all’azione e promuovono varie pulsioni comportamentali (Carver & Scheier, 1990; Davidson et al., 1990; Bradley, 2000).
Tradizionalmente, l’affetto positivo era associato a una pulsione correlata all’approccio, mentre l’affetto negativo era associato a una pulsione correlata all’evitamento. Diversi studi (Harmon-Jones e Allen, 1998; Harmon-Jones, 2003; Carver e Harmon-Jones, 2009) dimostrano che esistono delle eccezioni alla regola secondo cui le emozioni negative sono associate all’evitamento.
Secondo le teorie di Carver e Harmon-Jones (2009), in stati emotivi a
valenza avversa come la paura e la rabbia, si verifica una dinamica
controversa. Se la paura spinge all’evitamento, ovvero a cercare di evitare ciò che viene percepito come minaccioso (Lazarus, 2001; Lee Lang, 2009), la rabbia invece spinge l’individuo all’approccio. Ovvero a confrontare attivamente la fonte della frustrazione o della minaccia.
Ciò significa che le emozioni a valenza avversa non sono sempre associate all’evitamento. Tuttavia possono anche promuovere comportamenti attivi e di confronto.
Una stimolazione dei processi motivazionali orientati all’approccio può avere un effetto significativo sulla performance cognitiva e fisica dell’individuo. In particolare, l’attivazione della rabbia può accelerare le risposte motorie specifiche e grossolane correlate all’avvicinamento (Marsh et al., 2005; Mayan & Meiran, 2011).
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Definizione
La classificazione della rabbia come uno degli stati affettivi di base da parte di Paul Ekmann (1999) si basa sulla sua associazione con un modello di espressione facciale riconosciuto universalmente.
Le circostanze che scatenano la manifestazione della rabbia possono
riguardare situazioni che causano disagio fisico, come ad esempio un
ambiente ostile o la necessità di proteggersi dall’attacco di un predatore, come rilevato da Wilkowsky e Robinson (2010).
Funzioni
La rabbia può assumere una funzione adattiva quando si traduce in azioni dirette verso l’obiettivo, al fine di superare gli ostacoli che impediscono il raggiungimento del risultato desiderato. In tal senso, può rappresentare una risposta funzionale alle frustrazioni che si presentano nel contesto dell’ambiente circostante (Panksepp, 1998).
La rabbia disfunzionale o patologica può comportare conseguenze negative per la salute mentale e il benessere individuale e sociale. È importante intervenire terapeuticamente per gestirla. E per prevenire ulteriori danni. Infatti può diventare eccessiva, incontrollabile e causare danni a sé stessi o agli altri. Rappresenta dunque un fattore di rischio per la salute mentale e il benessere individuale e sociale (Lee & DiGiuseppe, 2018).
Manifestazione
In quanto emozione fondamentale, la rabbia non produce automaticamente comportamenti aggressivi. Tuttavia richiede la presenza di altri fattori, come l’attivazione, l’intensificazione e l’orientamento della rabbia, che possono essere diretti sia all’interno che all’esterno del sé.
Per esempio, si attribuisce la responsabilità per la propria frustrazione o fallimento, la rabbia che prova può essere diretta verso sé stesso, aumentando così l’intensità della sua reazione emotiva (Berkowitz, 1989; Kimble et al., 2010).
Berkowitz (1983) spiega come la presenza e la serie di emozioni negative (esperienze di frustrazione, di opposizione, di aggressività e di stimolazione) specialmente nelle situazioni di emergenza delle competizioni sportive, preparano l’individuo all’aggressività.
Sulla base di questa spiegazione, l’attivazione della rabbia originata dall’interno o dall’esterno per mezzo del predominio delle emozioni negative mette in relazione questa struttura psicologica con l’aggressività.
Quando il livello di emozioni negative supera la capacità di pensiero razionale di un individuo e interrompe processi come la concentrazione e la precisione, si verifica un aumento dell’intensità della rabbia che può portare alla perdita di controllo della sua gestione.
In base alle ricerche condotte (Buss & Warren, 2000, Maxwell & Siu, 2008) si è riscontrato come questo fenomeno può essere espresso attraverso forme di aggressività fisica, verbale e indiretta. Esse si manifestano come espressioni di rabbia. Le emozioni sono dunque una risorsa non solo per la comprensione di sé e dell’altro, ma anche per il fondamento dell’azione consapevole (Hanin, 2003).
L’effetto della rabbia sulle prestazioni nello sport
Gli atleti coinvolti negli sport di contatto fisico spesso percepiscono la loro rabbia agonistica come benefica per le prestazioni sportive (Robazza & Bortoli, 2007). La considerano infatti utile per stimolare un comportamento (Robazza et al., 2006).
Al contrario, i giocatori di ping-pong (per esempio per uno sport di contatto non fisico) considerano la collera continua e ricorrente come un fattore debilitante, poiché un surplus di energia risulta faticoso in termini di autocontrollo e può interferire con una prestazione ottimale (Martinent et al., 2012).
La rabbia può dunque risultare disfunzionale, specialmente negli sport che richiedono concentrazione, sforzo e attenzione prolungati per periodi di tempo più lunghi (Hanin, 2000). Come suggerito da Hanin e Syrja (1995), i processi emozionali possono perciò seguire, regolare e sostenere l’azione sportiva, ma anche disturbarla e persino bloccarla.
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Fra potenzialità e sfide
Uno studio (Giles et al., 2020) mirava a determinare se alcuni film e musiche scelte potessero indurre nei soggetti coinvolti uno stato di approccio (rabbia) e di evitamento (paura) potessero influenzare le prestazioni dei partecipanti alla corsa.
Sulla base dei risultati della ricerca, è risultato evidente che l’induzione della rabbia nei partecipanti più lenti alla corsa ha determinato un miglioramento della loro performance atletica. L’aumento della velocità di corsa è infatti pari a 2 miglia, rispetto alla condizione di partenza “neutra”. È stato inoltre riscontrato un miglioramento della velocità di corsa dei singoli partecipanti.
Questi risultati suggeriscono che le emozioni che suscitano stati motivazionali correlati all’approccio possono migliorare le prestazioni fisiche, in particolare nei corridori più lenti.
La letteratura scientifica suggerisce programmi di intervento cognitivo-comportamentale che possono risultare fruttuosi nell’aiutare gli atleti a comprendere e controllare la rabbia disfunzionale. I programmi di trattamento della rabbia iniziano a tre potenziali livelli di cambiamento dell’esperienza e dell’espressione della rabbia:
- modifica dell’eccitazione fisiologica;
- modifica dei processi cognitivi.
Modifica dell’eccitazione fisiologica
La strategia terapeutica prevede l’impiego di una tecnica di desensibilizzazione sistematica, volta a ridurre l’attivazione fisiologica associata alla risposta di rabbia, associato ad un trattamento di rilassamento con l’obiettivo di prevenire la comparsa di emozioni spiacevoli e comportamenti sfavorevoli. (Dahlen & Deffenbacher, 2001).
Modifica dei processi cognitivi
Si basa su trattamenti cognitivi volti a modificare processi di pensiero come valutazioni e attribuzioni ostili e credenze irrazionali (Ellis & Dryden, 2007). Vengono sviluppate e provate cognizioni alternative e più funzionali. L’esperienza della rabbia sarà quindi ridotta in modo che la sua intensità rimanga a un livello tale da consentire un comportamento adattivo.
Realtà virtuale e sport: come migliorare le prestazioni degli atleti
Nell’ambito delle discipline sportive, l’utilizzo della realtà virtuale può portare notevoli benefici poiché consente di potersi allenare in situazioni di allenamento non realizzabili nel mondo reale (Zaal e Bootsma, 2011 ; Wang, 2012; Craig, 2013) con con un notevole risparmio economico e senza alcun rischio di infortunio da parte dell’atleta (Zaal & Bootsma, 2011; Miles et al., 2012; Pan et al., 2012).
Nello studio condotto da Michalski e colleghi (2019), è stata valutata l’efficacia dell’allenamento in ambiente di realtà virtuale (VR) per l’acquisizione di abilità nel gioco del tennis da tavolo, nonché la possibilità di trasferire tali abilità dal contesto virtuale a quello reale. Gli autori hanno esaminato l’applicazione delle abilità acquisite tramite l’allenamento in VR nella performance dei partecipanti durante le partite reali di tennis da tavolo.
L’obiettivo della loro ricerca era quello di valutare l’efficacia dell’allenamento in VR come strumento per migliorare le prestazioni dei giocatori nel contesto reale. Quindi l’indagine delle prestazioni dei partecipanti nel gioco del tennis da tavolo nel mondo reale ha utilizzato un modello misto di analisi della varianza (ANOVA).
Lo studio
L’analisi comprendeva un fattore tra i soggetti (gruppo di allenamento VR vs gruppo di controllo) e un fattore all’interno dei soggetti (pre e post allenamento). Cinquantasette partecipanti (23 femmine) sono stati assegnati a un gruppo di formazione VR (n = 29) o a un gruppo di controllo senza formazione (n = 28). Durante l’allenamento in VR, i partecipanti sono stati immersi in partite competitive contro un avversario dotato di intelligenza artificiale.
In un esperimento a singolo cieco, un allenatore esperto della disciplina sportiva ha effettuato valutazioni quantitative e qualitative sul rovescio, il dritto e il servizio dei partecipanti sia prima e dopo la fase di allenamento, senza conoscere il gruppo di appartenenza di ciascuno di essi.
Le valutazioni quantitative
Hanno considerato il numero di palleggi eseguiti senza errori, mentre quelle qualitative hanno preso in esame la tecnica e la consistenza dell’esecuzione delle azioni. I risultati dell’esperimento hanno dimostrato che l’allenamento con la realtà virtuale ha comportato un significativo miglioramento delle prestazioni dei partecipanti nel gioco del tennis da tavolo, rispetto al gruppo di controllo privo di allenamento.
Tale miglioramento è stato evidenziato sia a livello quantitativo (p < .001, d di Cohen = 1,08), basato sul numero di palleggi eseguiti senza errori, che a livello qualitativo (p < .001, d di Cohen = 1,10), valutando la tecnica e la consistenza dell’esecuzione delle azioni. Va tuttavia precisato che i risultati di questo studio sono stati ottenuti principalmente su atleti di livello inferiore, come riportato da studi precedenti condotti da Lammfromm e Gopher (2011), Rauter et al. (2013), Covaci et al. (2015) e Tirp et al. (2015).
A discapito della precedente ricerca, esistono tuttavia ancora pochi studi scientifici sull’efficacia dell’utilizzo della realtà virtuale (VR) nell’allenamento di atleti altamente qualificati (Burns et al., 2011; Gray, 2017; Petri et al., 2018a; Petri et al., 2019a; Petri et al., 2019b).
L’esperimento del 2019
Nell’esperimento condotto da Petri e colleghi (2019), è stata analizzata la componente del kumite nel karate, che consiste nell’allenamento con un avversario ed è una delle tre componenti fondamentali dell’allenamento assieme a kata e kihon.
L’obiettivo di questo studio era verificare l’ipotesi secondo cui la combinazione di allenamento convenzionale e allenamento VR potrebbe portare a un miglioramento simile o maggiore nel comportamento di risposta degli atleti rispetto all’allenamento convenzionale da solo. Inoltre, grazie alla presenza di un gruppo di controllo aggiuntivo, si voleva esaminare la possibilità di un trasferimento delle abilità acquisite con l’ausilio dell’addestramento virtuale nel contesto reale.
A tale scopo, i parametri “tempo di risposta” e “qualità di risposta” sono stati scelti come indicatori di confronto tra i partecipanti.
Nell’ambito dell’esperimento sono state analizzate due tecniche di attacco del karate, ovvero il Gyaku-Zuki Jodan (GZj) e il Kizami-Zuki (KZ), le quali differiscono sia nella tecnica che nel tempo di esecuzione. Durante l’allenamento in ambiente virtuale (VR), gli atleti sono stati sottoposti a esercizi specifici finalizzati ad addestrare la loro capacità di reagire a questi attacchi. La difficoltà degli esercizi è stata incrementata progressivamente nel corso delle sessioni di addestramento.
Nel corso della pratica svolta in VR, non sono stati forniti feedback diretti agli atleti, tuttavia questi ultimi sono stati in grado di stimare se sarebbero stati colpiti attraverso l’utilizzo dell’Head Mounted Display (HMD [1]).
In dieci sessioni di training svolte nell’arco di 6 settimane, un gruppo di allenamento convenzionale (CG [2] , n= 12) ha svolto un addestramento classico insieme al maestro di karate (90 min). Al contrario, il gruppo che si allenava nella simulazione (VRG [3] , n = 15) ha combinato 80 min dello stesso allenamento di karate convenzionale con 10 min di allenamento di karate in VR.
La misurazione delle prestazioni degli atleti
Lo studio ha previsto la misurazione delle prestazioni degli atleti in tre momenti distinti: un pre-test, un test intermedio (che è stato condotto dopo 5 sessioni di allenamento) e un post-test. Il disegno dello studio includeva un pre-test, un test intermedio (dopo 5 sessioni di allenamento) e un post-test.
Per il parametro “tempo di risposta” sono stati rilevati miglioramenti solo per il VRG in VR relativamente al Gyaku-Zuki Jodane e al Kizami-Zuki.
Per quanto riguarda il parametro “qualità della risposta“, non sono stati riscontrati miglioramenti significativi in entrambi i gruppi di studio.
Tuttavia, l’integrazione di un addestramento VR di 10 minuti nell’allenamento convenzionale ha portato a un significativo miglioramento del valore del parametro “tempo di risposta“. I dati raccolti indicano dunque una riduzione del tempo di risposta, evidenziando un’efficace implementazione dell’allenamento VR nella pratica del karate.
Nonostante i risultati incoraggianti, il presente studio presenta alcune limitazioni di cui tenere conto. In primo luogo, il tempo di addestramento VR è stato relativamente breve rispetto all’addestramento convenzionale. In secondo luogo, gli atleti non hanno ricevuto alcun feedback tattile dall’avversario virtuale. Infine lo stesso personaggio utilizzato durante l’allenamento VR risultava essere passivo e non era in grado di reagire alle azioni dell’atleta.
Viste tali limitazioni, non è possibile affermare con assoluta certezza che gli effetti di un allenamento in VR possano essere trasferiti nella realtà in chiunque pratichi una disciplina sportiva.
Note
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