Il digitale nell’Italia post Covid diverrà la vera sfida del decennio in cui siamo entrati, e sarà uno dei banchi di prova su cui misureremo il grado di maturità della nostra classe dirigente.
Per non perdere un’occasione unica di sviluppo del nostro Paese, di aumento della produttività, di riduzione delle diseguaglianze, è necessario che le potenzialità espresse dal Next Generation EU in termini di risorse siano completamente convogliate in un piano ambizioso, misurabile e preciso, indirizzato esplicitamente a progetti innovativi e di lungo termine.
I dati del nostro digital divide
Purtroppo, sappiamo che partiamo da un digital divide spaventoso.
Il Digital Economy and Society Index (DESI) segnala che l’Italia è tra i paesi meno digitalizzati d’Europa, al 17° posto sulla connettività. Sull’integrazione tecnologica siamo al 22° posto su 28 Stati.
Inoltre, anche i dati Eurostat sui nostri giovani parlano chiaro: siamo un Paese con oltre due milioni e mezzo di giovani tra i 15 e i 29 anni che né lavorano né studiano. Nel 2019 sono emigrati 129mila italiani di cui 30mila laureati.
Siamo uno dei paesi europei con il maggior tasso di abbandono degli studi e abbiamo una percentuale bassa di persone che raggiungono la laurea.
Sottolineo questi dati sui giovani perché la correlazione tra diffusione del digitale e lavoro giovanile è importantissima.
Nel Recovery Plan inizialmente proposto Governo, al di là delle belle parole e di cifre di spesa importanti, non si trovava una strategia, una definizione precisa di dove investire e far investire affinché si possa far fare al Paese quel salto in avanti che risorse così ingenti investite tutte insieme, come mai più accadrà, richiederebbero.
Abbiamo letto tanti interventi che spesso appaiono slegati tra di loro e senza una visione d’insieme.
La “vision” di Italia Viva: i giovani al centro
Grazie all’intervento di Italia Viva abbiamo visto aprirsi un dibattito sulla priorità dei giovani nelle scelte di investimento, e sulle voci di spesa più definite in ambito di movimentazione di investimenti privati.
Su specifico indirizzo della Commissione Europea, digitalizzazione e innovazione, sostenibilità ambientale e inclusione sociale sono le priorità strategiche di Next Generation EU, e si devono caratterizzare per il ruolo e l’importanza che le nuove generazioni assumono come attori e beneficiari dei progetti e delle politiche che verranno messi in campo.
Tra l’altro è ormai evidente l’innovazione digitale e la transizione ecologica vanno incontro a sensibilità e bisogni, aspirazioni e competenze delle nuove generazioni, italiane ed europee.
Per far sì che l’impatto della digitalizzazione sia moltiplicatore di opportunità di crescita sarà fondamentale mettere in atto politiche di investimento nelle catene del valore e nelle filiere industriali strategiche più avanzate dal punto di vista dell’innovazione tecnologica e della sostenibilità ambientale, favorendone inoltre la crescita dimensionale e l’internazionalizzazione delle imprese attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari a leva.
Il ruolo dei privati è fondamentale nel saper massimizzare l’utilizzo delle risorse del Piano, e lo Stato dovrà svolgere al meglio il proprio ruolo di indirizzo, definizione delle politiche e controllo, togliendosi il più possibile da velleità imprenditoriali.
Il digitale per la PA, la cultura e il turismo post-covid
Il digitale avrà un ruolo centrale anche nella crescita e nello sviluppo di due dei settori più colpiti dalla crisi causata dal Covid, centrali nella nostra economia, cultura e turismo.
Dobbiamo immaginare incentivi affinché le imprese e gli enti di questi settori possano investire per modernizzarsi, raccontarsi meglio al mondo, diventare sempre più attrattivi, per poter intercettare al meglio l’enorme richiesta di Italia che tornerà ad esserci nel mondo non appena si tornerà a una normalità.
Se parliamo di digitalizzazione non possiamo inoltre non parlare di Pubblica Amministrazione, perché sappiamo di avere una delle PA più farraginose d’Europa e sappiamo quanto il suo ammodernamento in ottica digitale possa avere un impatto sulla crescita della cultura digitale nella popolazione, ma parlare di snellimento di questo mastodonte e della sua burocrazia, senza cavalcare sin da subito l’opportunità offerta dalle nuove infrastrutture, banda larga e 5G, è un errore.
Ingenti risorse del Next Generation EU italiano verranno pertanto allocate sul progetto banda larga, con particolare attenzione alle aree bianche e a quelle grigie.
Non può più esistere un’Italia a diverse velocità, soprattutto considerando le potenzialità che il digitale permette di esprimere.
Nel mondo privato invece il 5G permetterà alle imprese di innovare i loro sistemi produttivi, automatizzarli ulteriormente e permettere all’Intelligenza Artificiale di aiutare lo svolgimento migliore dei processi. Il 5G potenzialmente porterà a ridisegnare la mappatura delle infrastrutture viarie e su binari e il sistema di trasporto verrà rivoluzionato.
Ma per far sì che questo accada, la politica deve intervenire il più possibile per ridurre il digital divide. Una rivoluzione di tutti gli enti pubblici, ad ogni livello, presuppone professionalità e capacità di gestione dei big data.
L’interconnessione tra i vari enti, lo scambio di informazioni e la velocizzazione delle pratiche per il miglioramento di tutti i servizi richiesti dai cittadini, si basa sulla condivisione totale di tutti i dati che tutti gli enti della pubblica amministrazione conservano.
Da cellulare l’utente dovrà essere in grado di accedere a tutti i servizi, eseguire tutte le operazioni, avere la certificazione indispensabile per qualsiasi sua esigenza, amministrativa, sanitaria, giuridica, lavorativa.
La scarsa propensione dei dipendenti pubblici all’utilizzo delle nuove tecnologie non aiuta. Come non aiutano i programmi scolastici statici e delle strutture dove la connessione spesso è ad intermittenza e i ragazzi non hanno la possibilità di interfacciarsi con altre realtà.
Il digital divide è una delle battaglie culturali da combattere e con il Recovery Plan dovremo investire in cultura digitale.
Le proposte per ripartire
Nel corso degli anni ci siamo persi dietro le spese improduttive come il reddito di cittadinanza, quando la vera scommessa sarà riconvertire le migliaia di lavoratori che verranno lasciati ai margini del mondo del lavoro dalla corsa impetuosa dell’IA e rischiano di non farcela a riconvertire le proprie competenze a favore di un mondo del lavoro in continua crescita e cambiamento.
Non possiamo, ripeto, immaginare un’Italia che viaggia a doppia o tripla velocità, con avanguardie di settori e imprese inseriti nel mercato globale, delle eccellenze riconosciute e una serie di problemi irrisolti e nascosti sotto il tappeto delle mancette elettorali e dei bonus a scadenza fissa, allargando sempre di più il divario tra il Nord e il Sud del Paese.
E allora cominciamo a strutturare una serie di proposte, a partire dal Recovery Plan che prediliga gli investimenti pubblici e gli incentivi a leva agli investimenti privati alle spese correnti.
Fissiamo dei punti concreti e progettiamo un piano che:
- Rinforzi e allarghi la possibilità di intervento di Impresa 4.0;
- Presenti uno specifico progetto per la creazione di imprese innovative, con particolare riguardo all’attrazione di investimenti privati di business angel, fondi di venture capital, fondi di fondi di venture capital;
- promuova la formazione e l’occupazione dei giovani e faccia rientrare nel mondo del lavoro i NEET;
- introduca il “Credito Giovani” per facilitare l’emancipazione giovanile;
- agevoli la transizione scuola/università/lavoro;
- rivaluti il programma Garanzia Giovani per renderlo più efficace;
- realizzi una riforma sull’apprendistato professionale, semplificando le procedure;
- regolarizzi i tirocini curriculari ed extra-curriculari, valutando la necessità di introdurre delle agevolazioni per le imprese per la retribuzione dei giovani tirocinanti;
- rilanci l’istruzione tecnica superiore, per permettere agli studenti di avere una formazione tecnologicamente all’avanguardia e metterli nelle condizioni di entrare più velocemente nel mercato del lavoro;
- agevoli l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e potenzi sempre più il Fondo di Garanzia per le PMI femminili.
La risposta principale ai bisogni del Paese, e purtroppo sembra non lo capiscano mai abbastanza tutti, sta proprio nell’investimento dei privati. Non abbiamo creato negli ultimi 20 anni le condizioni per movimentare gli investimenti degli investitori privati a finanziare le nostre start up.
Siamo la terza economia europea, il secondo paese esportatore, ma solo la decima nazione in quanto ad investimenti in nuove aziende in Europa.
In un periodo storico in cui il valore d’impresa totale delle società tecnologiche europee quotate è quintuplicato se guardiamo i numeri del 2016, in Italia abbiamo avuto una flessione degli investimenti rinvenienti da venture capital, segnando un -22% rispetto al 2019.
Il fronte della sicurezza digitale
Infine, inutile negarcelo, siamo ad un bivio della storia per quanto riguarda la nostra sicurezza legata al mondo digitale. Un momento cruciale in cui la mera disquisizione sull’utilizzo dei finanziamenti si intreccia indissolubilmente con gli interessi nazionali.
Giochiamo in un mondo in cui le regole d’ingaggio sono cambiate e le guerre si combattono in rete e senza esclusioni di colpi.
E i big data delle nostre aziende, le informazioni sensibili delle nostre istituzioni e semplicemente la nostra vita sui social divengono obiettivi militari. Negli ultimi 10 mesi di quest’anno le istituzioni europee hanno subito ben 800 attacchi informatici, l’ultimo ai danni dell’Ema.
Nel 2019 sono stati 1181 gli attacchi hacker ai sistemi informatici di aziende ed enti che rappresentano interessi strategici nazionali italiani. L’Europa sta già ragionando su come regolamentare militarmente e diplomaticamente la gestione delle crisi.
E le start-up, i centri industriali, gli enti pubblici, gli atenei, i centri di ricerca saranno il cuore pulsante della strategia europea.
Consolidare la leadership europea sul cyberspazio non solo garantirà sicurezza e stabilità, ma aiuterà le democrazie a sostenere il principio del rispetto dei diritti umani con forza e da una posizione preminente.
Essere pronti tecnologicamente consentirà di rinvigorire il Mercato Unico Digitale e renderlo affidabile agli occhi di investitori e consumatori. E in un contesto europeo in continuo movimento, le querelle italiane appaiono piccole e prive di significato. L’idea che ha qualche esponente di governo sulla cybersecurity è pericolosa.
Conclusioni
Tutelare le nostre realtà economiche e istituzionali e la libera scelta dei nostri cittadini, significa salvaguardare la democrazia. Guidare i processi di automazione delle imprese, rendendole competitive evidenzia il grado di progresso di una nazione.
Quando smetteremo di parlarci addosso e cominceremo a discutere su queste tematiche, fondamentali per la crescita e il rilancio del Paese, entrando nel merito, avremo fatto un passo avanti.