Il caso GameStop (GME) nasce come tempesta perfetta (o, invece, è un’ennesima esemplificazione di “cigno nero”?): in causa non vi è la scaturigine di un singolo elemento, per ciò solo, detonante e denotante il tutto, ma un concorso di causalità anche casuali di cui molto si è detto, ma non ancora tutto.
Vogliamo qui approfondire, pertanto, come la geek culture popolante Reddit sia stata, quota parte, (co)protagonista del “gioco” borsistico e di come, tra i tanti, non poteva che “shottare” (e non shortare) il “cinghialone” (GameStop) per poi (im)prevedibilmente inscriversi in effigie storico-finanziaria mondiale.
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Cos’è Reddit?
Reddit è una piattaforma del Web 2.0, figlia dell’Internet ex post bolla delle dot-com (1997-2000). Al che, fin da subito, potrebbe sembrare buffo come un tassello di una bolla odierna sia, suo malgrado, nato dalle consecuzioni di un’altra precedente speculazione, oltretutto catalogata come tra le più clamorose dell’umanità (equiparabile all’ormai storica (1636-1637) e leggendaria febbre dei tulipani). Eh, l’effetto farfalla.
Di quell’epoca, Reddit, si porta lo spirito fin dalle fondamenta: nata nel 2005 a opera di studenti ultraventenni e figlia del più puro spirito della East Coast, consegue un finanziamento da uno dei più brillanti venture capital su piazza e si trasferisce a San Francisco dove tutt’ora ha la sede centrale.
Il nocciolo duro del nucleo è composto da Alexis Ohanian e Steve Huffman, coloro che si sono lungamente occupati, fino ai tempi recenti, della società, quest’ultimo tutt’ora CEO; breve e tragica è stata la carriera ed esistenza dell’ultimo co-fondatore, Aaron Swartz, costretto a dimettersi dall’allora start-up (2007) per poi morire suicida nel 2013.
Dello spirito dei fondatori, Reddit n’è l’incarnazione: la medesima piattaforma ha fin dalla forma del nome (sì: «dalla forma del nome», che ufficialmente appare senza maiuscolo: «reddit»), tutto lo spirito libero di quell’epoca, la golden age dei “fricchettoni” digitali.
Anarchia, anonimia, libertarietà, estro, espressività, connettività, solidarietà, particolarità, tecnofilia, ma anche l’essenza sovversiva di un novello pionierismo digitale: come il Far West fu l’ultimo baluardo dell’epoca dei fuorilegge che avrebbe poi reso la California tale, in quella sensazione dolceamara di fine epoca e inizio di un’altra pagina pregna di contraddizioni, Reddit è l’angolo di mondo che tiene le proprie distanze dal mainstream.
Reddit, ancora adesso, è uno dei pochi siti davvero rimasti uguali a se stessi: interfaccia spoglia e priva di fronzoli, getta l’utente – il redditor – immediatamente nella “ressa” del social news.
Attenzione: si è detto «social news» e non «social network», questo fa tutta la differenza del mondo. Reddit è e rimane un forum, il più grande mai esistito. Come, appunto, quegli ambienti socio-digitalmente animati agli albori del III millennio: basta un nickname (soprannome) più o meno ispirato (o strampalato) e l’ipertesto ci collega a sottosezioni – i subreddit –, ciascuna dedicata ai tantissimi e ai più disparati argomenti che diversificano lo scibile umano, in cui leggere news o pensieri di altri user per poi commentarli, discuterli, condividerli, criticarli, confrontarli, crescere e ispirarsi.
Anche in termini dimensionali, Reddit, è una community grande ma non sconfinata: ha 430 milioni di utenti attivi mensilmente (è pertanto vitalmente più popolata di Twitter ma con oltre 2 miliardi di utenti attivi in meno di Facebook). I redditor sono per la maggior parte maschi, statunitensi, con oltre il 90% di under-50 (generazione X, Y, Z) e per circa un quarto del complesso (23%) anagraficamente racchiudibili tra i 25 e i 29 anni (millennial).
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La cultura di un conglomerato socio-digitale: perché proprio Reddit
Se i fu sfigati dagli anni Ottanta del 1900 e fin tutto lo scollinamento col nuovo secolo sono invece oggi alla ribalta della coolness generale e generazionale; se il videogiocatore è il nuovo status symbol e se la geek culture è il nuovo mainstream, se tutto ciò è oggi vero, bene, lo si deve proprio e anzi quanto più alla collettività di Reddit.
Che cosa si vuole dire? Che quella di Reddit è, in certa qual maniera, una virtual society di outsider, spesso auto-proclamatisi eletti contro il popolino medio del Web, chiamato con spregio normies. Quella di Reddit è la sola “élite” che poteva ingenerare il “fenomeno” GameStop.
No, non da Twitter, “casa” dell’intellighenzia reinventata del “vecchio” mondo; no, non da Instagram, patria dei vanesi e dei narcisisti; no, non da Facebook, sconfinato oceano di quei tanto detestati e (digitalmente) ignoranti boomer: no. Ma da Reddit, il locus amoenus dei memi (ove questi possono persino aspirare nell’addivenire arte): perché i redditor hanno proprie metriche, sintassi, linguaggi e slang, anche fatti di sole emoticon, perché ha un humus tecno-ottimista. È quella amatorialità divenuta professionismo, è liberazione e rivoluzione di quel casereccio cambiamento mondiale che fa percepire il reale del digitale.
Reddit è (o perlomeno piace raccontarsi come) l’Agorà 4.0, sono le piazze della controcultura dei Sessanta e Settanta del XX secolo, ma riviste in chiave virtuale: con ciò portandosi dietro anche gli apici burrascosi, vischiosi, devastanti e mortali di certi “estremismi”.
E, soprattutto, Reddit è Reddit perché l’anonimato è da sempre e per sempre: per i vandali è un passamontagna calato per sfondare e depredare rispettivamente vetrine ed esistenze (sulla prassi di un altro sito equamente famoso ma infame, 4chan); per altrettanta parte (ma, in veritatem, del tutto maggioritaria) è di quella riservatezza non necessariamente deleteria, ma liberatoria.
Di quel tipo di relazione per cui anche persone mai fisicamente incontratisi si capiscono con un’occhiata (digitale). Reddit è il Cocoricò virtuale dei tempi d’oro: che permette di (s)vestire il proprio puro essere, o anche soltanto apparire; Reddit scioglie le inibizioni del singolo in un angolo di universo grande abbastanza, nella “notte” dei bit, da poterlo anche plasmare a sua immagine e somiglianza.
No, Reddit non è il solo luogo internettiano dove la pseudonimia la fa da padrona, ma è il solo che ha catalizzato e costruito una effervescente, una diversa e persino una coesa società che va al di là della mera “funzionalità” dei gruppi anonimi di Telegram o di quelli chiusi di Facebook.
Se ci fosse stato un posto dove poteva partire la scalata speculativa all’elefante per liberarlo in cristalleria, quel contenitore non avrebbe potuto che essere Reddit e l’anima, i suoi redditor: se gli altri social e i media tradizionali hanno poi catalizzato ed estensionalmente propagato l’effetto bolla, l’innesto e l’innesco, quello sì: è esclusiva prerogativa di Reddit.
L’hive mind di Reddit
Se i riflettori sono oggi puntati su Reddit alla luce del caso Gamestop, sarebbe erroneo ritenere questo come un evento del tutto imprevedibile e, soprattutto, irripetibile.
Poiché no, il sentimento che muove i redditor tendenzialmente non è frutto di intricate macchinazioni eterodirette degne del miglior giallo, ma di un’altra manifestazione della socialità onlife, che interrela l’offline con il quotidiano vivere della Rete.
Reddit, è un segmento-calderone ricolmo di tutto ciò che l’infosfera può offrire, non ha leader ma può crearne anche se non può essere mai imposto perché l’entropia ordinamentale è data da un’“auto-regolamentazione” anarchica: i redditor, infatti, possono definirsi leader di se stessi in virtù di un processo di uniformazione spontaneo. Quando un’idea, un concetto, una certa narrazione prende piede, la community tende ad allinearvisi celermente e a liquidare gli “oppositori” con spergiuri, costretti in qualche modo a esiliarsi in recondite zone dei subreddit meno popolati: esempio ne è la cosiddetta nicchia degli antivax, che mondialmente raccoglie mezzo miliardo di sostenitori, ma su Reddit conta a malapena undici mila utenti, peraltro oggetto di scherno da parte del resto dei redditor.
Questo meccanismo peculiare, ma non certo nuovo della realtà 4.0, può assimilarsi a un’intelligenza collettiva che buona parte della sua stessa utenza chiama, con malcelato disprezzo, la hive mind di Reddit: l’autopilota collettivo del sito, che lo regola, lo conduce e lo muove di news in news nonché da una lotta sociale all’altra.
Una smart-human-net errante e talora erronea che pure è degenerata in tragedia, come quando decise di inquisire i presunti responsabili dell’attentato alla maratona di Boston senza preoccuparsi di valutare la possibilità di essere nel torto, puntando il dito contro un innocente. Una eterogenesi dei fini partita con una casereccia investigazione da tastiera ma che si concluse nella peggiore delle disgrazie, con il suicidio del “popolanamente” accusato 4.0: nient’altro che un giovane per quanto, lo si ripeta, totale innocente.
Fuori dai casi terroristico-mediatici in grado di capitalizzare la climax ascendente-emozionale, l’hive mind si coagula e si manifesta attorno a battaglie politiche anche di intolleranza verso opinioni divergenti dalla propria: r/politics, a esempio, è la subreddit dedicata alle discussioni inerenti la res publica ed è famosa per ostracizzare (o downvotare, per usare le parole dei redditor) chiunque simpatizzi per ideologie repubblicane.
Ma c’è qualcosa che in questo spaccato d’esistenza, più di tutte, sobilla le folle: e ruota attorno alla cultura geek.
Gamergate, ovverosia l’anno zero
Se si vuole individuare un momento storico specifico in cui la collettività di Reddit ‒ e di buona parte dell’Internet ‒ ha inevitabilmente modificato le forme e le strutture logiche e forse anche quelle sociologiche del Web, è doveroso fare un salto temporale, indietro, al 2013: con «l’inizio del peggio di Internet», il GamerGate.
In breve, la sviluppatrice indipendente Zoë Quinn sale agli onori della stampa specializzata grazie al gioco da lei creato, Depression Quest. Un’opera ludica atipica atta a esprimere l’esperienza personale nel convivere con la propria malattia: la depressione, per l’appunto.
Il titolo viene accolto positivamente dalla critica e da una consistente fetta di videogiocatori, salvo alcuni che ne criticano l’assenza di un vero e proprio gameplay (comparto ludico) o altri che invece non vedono di buon occhio l’attitudine politically correct che aleggerebbe sull’opera e il “white knighting” a fronte di qualsivoglia critica: una certa parte dei videogiocatori, insomma, non riteneva che Depression Quest meritasse l’attenzione che stava ricevendo.
Le critiche, in primis quelle motivate, sono sempre legittime e accettabili ma ciò che invece ne seguì lo fu molto meno: la sviluppatrice, dall’oggi al domani, iniziò a ricevere minacce di morte e di stupro. Se questo già è di una gravità inaudita, pare nulla se paragonato a ciò che sarebbe avvenuto il 16 agosto di quell’anno: l’ex fidanzato della Quinn, Eron Gjoni, pubblica online una lunga filippica atta a screditare la giovane donna e nell’evidenziare i presunti abusi da lui subiti per mano della sua ex.
Del fiume di parole riversate in Rete emerse però un lemma che venne vivisezionato sotto la lente di ingrandimento, anche della comunità di Reddit: Gjoni infatti accusava la Quinn di tradimento nientemeno che con un recensore del sito Kotaku, una delle più celebri testate videoludiche internazionali, il che venne interpretato, pure dai redditor, come prova del motivo per cui Depression Quest fosse stato così ben accolto: non meritevolezza del lavoro svolto ma per mercimonio di presunte prestazioni sessuali.
Il vaso di Pandora, volente o nolente, venne scoperchiato (o inventato) e GamerGate diventa un fenomeno virale e anche brutale: su Reddit le discussioni sull’argomento si moltiplicarono freneticamente e con esse, tutte le spinose questioni attinenti l’industria del videogioco, quale realtà tanto cara alla cultura geek, ora nell’occhio del ciclone. Da un lato vi erano le accuse volte alla critica specializzata e i dubbi sull’attendibilità e sull’integrità di chi, per quelle testate, scrive; altri invece posero il focus sulle accuse di presunto abuso rivolte a Quinn, cercando di mettere in evidenza come il post di Gjoni fosse lo sfogo di un maschio che troppo a lungo aveva sopportato una relazione abusiva; per altri ancora, di gran lunga il drappello più rumoroso, i social divennero la piazza in cui diffondere misoginia e odio: gli insulti, le minacce e i tentativi di sabotare la Quinn e, più in generale, la questione femminile nell’industry erano onnipresenti, nonostante i tentativi dei moderatori di Reddit di limitare l’hate speech e di cancellare gli incitamenti alla violenza.
Ulteriori indiscrezioni (diffamazioni) sulla presunta condotta «immorale» tenuta dalla sviluppatrice non fecero altro che aggiungere benzina su un fuoco di un caso che era già destinato a segnare indelebilmente la storia dell’Internet.
Quello che sarebbe dovuto essere, al massimo, “cronaca videoludica”, in cui gli appassionati dell’’ambito avrebbero potuto semplicemente leggere da più fonti per discuterne civilmente (cosa che, fortunatamente, in molte subreddit avveniva), divenne l’occasione per mostrare la cloaca di una certa cultura geek: quale prima «manifestazione di una guerra culturale contro la diversificazione culturale».
Tre anni prima delle cause scatenanti il #MeToo, GamerGate era già divenuto il crocevia culturale di una certa parte dell’Internet in cui la tematica dell’abuso e della misoginia si era “evoluta” in una guerra culturale contro il “melting pot” virtuale.
In ultimo, GamerGate fu la prima summa dell’attuale Web: della brutalità delle correnti più estremiste internettiane; della ricaduta della Rete nel tessuto sociale reale, e non solo virtuale; dell’ipocrisia del politically correct; della strumentalizzazione propagandistica e della potenza coordinato-massivo-digitale con una veemenza e un rilievo tale da essere oggi, circa dieci anni dopo, tutt’ora assunta a esemplificazione di ogni plotone d’esecuzione virtuale (ma non meno reale).
La Las Vegas del gaming e la dissoluzione del 2077
Il GamerGate mise in moto un effetto domino da cui non si sarebbe più tornati indietro: detrattori e sostenitori della rivolta digitale compresero in eguale misura che la voce di Reddit non era una consonante muta e abbandonata nell’infinita matrice del World Wide Web bensì un urlo chiaro e distinto: la sua parola pesava. L’hive mind non poteva essere ignorato.
Negli anni a seguire, le varie community avrebbero continuato a mettere alla prova il “sistema” e a rodarsi nel tentare di influire sulle vicissitudini del mondo reale.
Beninteso, non si tratta necessariamente di rappresaglie dalle connotazioni eminentemente negative come fu GamerGate: in seno a Reddit si sono formate “manifestazioni” tra le più varie tra cui, a titolo esemplificativo, si citi quella avversa a Nestlé (a causa dello sfruttamento di lavoro minorile), o contro altre aziende (come Disney, la cui “accusa” sarebbe quella di non essersi “spesa” sulla repressione cinese delle proteste di Hong Kong).
Buone intenzioni a parte, la realtà dei fatti fu che gli impatti concreti si trasformarono in poca cosa: la popolazione di Reddit, pur grande, rappresenta infatti soltanto una parte dei consumer di queste compagnie. In altre parole, se soltanto una risibile percentuale di massa critica si lancia in lunghe filippiche virtuali anche in grandi comunità online, ignorarle, per il destinatario, è spesso la soluzione più rapida e indolore al problema. È il “fisiologico” rumore di fondo di un conglomerato sociale: il discernere come, quando e quanto ciò sia tale o non stia invece trascendendo in altro, come si vedrà a breve, è correntemente il mestiere più difficile al mondo.
D’altro canto, lo si è già detto: Reddit, pur con tutta la sua user base, rappresenta una goccia nell’oceano sia della realtà “virtuale” sia della realtà “reale”.
On the other hand, c’è un ambito in cui il suo peso specifico è sempre stato particolarmente rilevante, il settore dove Reddit è la cartina tornasole delle fibrillazioni potenziali: ed è quello dato dal conglomerato di videogiocatori rappresentante la stragrande popolazione del forum e con dirette destinatarie le stesse compagnie produttrici di videogiochi.
Limpidamente ecco allora il manifestarsi del bersaglio prediletto: un po’ strumentale, un po’ ragionevole, un po’ efficiente e forte anche di record pregressi (in base all’attivismo dei forum e dei social, l’avere fatto cambiare il finale a una delle trilogie videoludiche più importanti di sempre, Mass Effect): il gioco d’azzardo nei videogame.
Per i videogamer, infatti, nell’arco degli anni è stato causa di progressivo malessere l’avanzata di certi business model delle major trascendenti l’“accettabile”: come il vendere videogiochi su licenza, a prezzo pieno, con l’implementazione di micro-transazioni in-game e pure con ulteriori sistemi di loot box.
Hit-and-miss in ogni titolo che la impiega, la loot box è sostanzialmente una roulette mascherata: si paga una piccola cifra (necessariamente in denaro reale) e si ottiene un ticket per una ruota della fortuna digitale nella speranza di vincere oggetti più o meno rari da usare durante il videogioco, e ciò anche per generi di videogame intrinsecamente distanti dai casinò tradizionali, come una partita calcistica al celeberrimo FIFA, o un combattimento armato allo spettacolare Battlefield.
Tutti i titoli or ora menzionati appartengono a Electronic Arts (EA), tra i publisher più grandi al mondo (€4,5 miliardi nel 2020), tra l’altro multinazionale nota per il repentino e massiccio impiego di meccaniche loot box. Ciò fintantoché l’hive mind di Reddit non “decise” che la misura fosse colma: per il geek-redditor non solo questa specifica tipologia di loot box creava una situazione di disparità competitiva per cui a determinare la vittoria non erano le capacità individuali bensì la profondità del portafogli (pay-to-win), ma si sarebbe delineata persino come surrettizia incitazione al gioco d’azzardo per videogame destinati a un pubblico infantile (come un qualsiasi FIFA, con PEGI +3). E così iniziò il moto di lamentela per poi trasformarsi in movimento di protesta.
Ma tra tutti i titoli che implementano questo artifizio, uno ha appiccato gli animi della community di Reddit: la saga più nerd di sempre, Star Wars.
Ebbene, col rilascio del preannunciato campione di incassi Star Wars: Battlefront II, titolo EA con licenza Lucasfilm, Reddit reagì al calor bianco, boicottando il prodotto dinanzi alla “metastasi” delle loot box .
E questa volta gli effetti si fecero sentire in tutta la loro possanza: EA dapprima cercò di placare gli animi delle folle indispettite dei redditor rivolgendosi a loro direttamente ‒ con risultati imbarazzanti ‒ per poi trovarsi costretta a mettere un alt alle loot box.
Ma oramai il danno era fatto: le critiche mosse alla software house statunitense stavano addirittura traghettando dai server online alle aule di tribunale: un anno dopo (2018), il Belgio accusa EA (in buona compagnia di Apple e di Epic Games) di avere introdotto, a tutti gli effetti, meccaniche da gioco d’azzardo nei propri videogiochi. La representative di EA, Kerry Hopkins, difenderà le loot box descrivendole quali piacevoli e facoltativi diversivi dell’esperienza di gioco, inseriti dalla compagnia senza alcun intento malevolo. Le chiamerà «surprise mechanics» mentre il Belgio, primo in assoluto, le proibirà definitivamente: «banned mechanics». Due anni dopo nel 2020, il PEGI inserirà un apposito alert da esibire nelle custodie dei videogiochi in vendita; volens nolens EA perderà l’esclusiva sulla saga vedendola finanche affidata nientemeno che alla diretta concorrente d’oltreoceano, Ubisoft.
Non male l’essere passati dall’aver contribuito a cambiare il finale di una trilogia videoludica, a fornire un quid per la normazione di una monarchia. I geek di Reddit se ne compiacciono. L’hive mind può celebrare la vittoria.
Un happy ending che però avrebbe continuato a condividere il red carpet con altre vicissitudini stile GamerGate, tanto che, molto cinicamente, si potrebbe asserire che queste esternazioni siano quasi un tossico per quanto collaterale effetto “fisiologico”, in particolare, laddove si facesse parte dell’industria videoludica.
Ne sa qualcosa Naughty Dog, team sviluppatore di The Last of Us Parte II (TLoU2), il videogame più premiato della storia, uscito la scorsa estate.
Se infatti la critica e la stragrande schiera di fan (redditor inclusi) osannano TLoU2 come uno dei più grandi capolavori di PlayStation 4 quale apice dell’“ultimo” medium e vessillo della cosiddetta decima arte qual è il videogioco, una rumorosa e infestante minoranza di cosiddetti altri fan dell’originale, non accettò né gli sviluppi della trama (“rea” di essere, ipse dixit, colma di lacune) né le sensibilità fortemente emergenti: quale presunta pornografica esibizione di propaganda liberal-progressista e pro-LGBTQI+.
Non si deve dimenticare che nell’infuocata estate 2020 si era in piena campagna elettorale con un Trump esplosivamente estremo e, contrappasso, certuni redditor gridavano di «lasciare la politica fuori dai videogiochi» ‒ dimenticando che le opere, comprese quelle videoludiche, hanno quasi sempre, in re ipsa, un precipitato di politica.
Gli effetti di quest’odio non necessariamente promanante esclusivamente e direttamente da Reddit, saranno lapalissiani: minacce di morte al direttore Neil Druckmann, all’intero team e a una delle attrici co-protagoniste, Laura Bailey nonché il review bombing poi proseguito con la “macchinazione” sovvertente l’aggiudicazione di gioco dell’anno a TLoU2 per il Player’s Voice dei The Game Awards 2020 (vinto dal “rivale interno”, Ghost of Tsushima).
Un’altra dimostrazione dell’hive mind, e della sua relatività: come la coscienza, divisa in flussi, una, questa, (nera) figlia del GamerGate e l’altra più aggraziata e “giusta”. Ma i confini non sono sempre netti e definiti. Come avviene nella vita, è la corrente violenta a miscelare le essenze ma, spesso, è la veemenza a prevalere.
E non ci vorrà poi molto prima che si trasformi in nuovo ciclone, perché allo spirare del 2020, l’hive mind avrebbe trovato un’inaspettata per quanto propizia nuova unione in sdegno generale: l’uscita del videogame più bramato di fine ottava generazione videoludica, Cyberpunk 2077.
Uno degli anni più brutti del secolo stava per giungere al termine e CD Projekt, società di «maggior successo europeo [STOXX Europe 600 Index] degli ultimi dieci anni», stava per rilasciare il Santo Graal digitale dopo otto lunghi anni dall’annuncio e per promesse ineffabili, dalle aspettative altissime. L’hive mind ne era il di suo più grande sostenitore: un previamente declamato capolavoro ma che si presentò monco all’appuntamento, risultando infatti un gioco “rotto” nientemeno che sulle console più diffuse al mondo.
Reddit, copernicano, muta il proprio sentiment ed esplode, propinando una reazione violento-coordinata a cui ormai la industry è abituata: postando commenti, segnando downvote, inviando email e inveendo sui social (certo, trovando spazio anche la critica costruttiva, ma il refrain è uno: lo sdegno vomitato). È il fuoco di fila.
Flagellata dal vortice, CD Projekt Red ammette gli errori e “dirotta” i rimborsi sugli acquisti alle piattaforme di riferimento, tra cui la leader indiscussa del gaming console, Sony. Corporation che viene a sua volta frustrata da una valanga di lamentele in virtù della propria politica di rimborsi “restrittiva”. Il crisis management della slavina dell’indignazione è infatti stato “semplicemente” shiftato dalla software house polacca sul gigante giapponese che, ingolfato dai rimborsi, per la prima volta in circa quarant’anni, rimuove, sine die, dal proprio commercio (PlayStation Store) il blockbuster più prenotato della storia. Segnando la più grande umiliazione inflitta a una software house dalla sepoltura nella discarica del deserto di Alamogordo del videogame «peggiore» mai creato, E.T. the Extra-Terrestrial di Atari.
Le azioni di CD Projekt, immediate, crollano in doppia cifra nei mercati azionari.
La socialità di Reddit diventa definitivamente consapevole di come e di quanto il risentimento di una coordinata community sia in grado di fare la storia. Di lì a poco, si cimenterà nella campagna per fare la Storia.
Serve solo l’occasione. Spoiler alert: fornita nuovamente dal gaming e alimentata dalla geek culture. Ma, prima, flashback.
GameTOP: l’inizio e l’ascesa
I primordi di GameStop risalgono al 1984 quando, l’allora società statunitense di rivendita software denominata Babbage’s, conseguì il primo anno fiscale: muovendo già milioni di euro di fatturato. Da lì è un crescendo: i primi profitti; le fusioni e le aperture in tutta la Nazione per un’espansione considerevole fino ad arrivare al 1996, in cui il trio composto da Richard Fontaine, Daniel DeMatteo e Leonard Riggio dà il via ai preliminari per il gran salto di qualità: la conquista planetaria.
Servirà ancora una manciata di anni prima che il sogno si concretizzi davvero e, con l’avvento del nuovo millennio, ecco lo sbarco mondiale di GameStop. Con questo nome, infatti, la corporation esiste progressivamente solo dal 2000: partita dall’“America profonda” è diventata la catena videoludica di franchising più rilevante di sempre. Quotata nel 2002, addivenuta public company nel 2004, si inserirà nella Fortune 500 e arriverà a contare circa 8.000 negozi gestiti in poco meno di 20 diversi Paesi per plurimi miliardi di fatturato e per centinaia di milioni di profitti garantiti ogni singolo anno.
Tutti, nell’industry videoludica, dovevano confrontarsi col suo braccio armato di retailer: persino giganti come Microsoft (Xbox), leader del settore come Sony (PlayStation) e storiche multinazionali come Nintendo lusingano in ogni maniera il big player della rivendita, pur di apparire a scaffale con scintillio.
Pertanto sì, GameStop è stata sempre una corporate solida: l’unica eccezione di inanellamento profittevole risale ed è rigorosamente limitata al 2012, annus horribilis con -222 milioni di euro. Buco nero paragonabile però più a un singolo neo di una altrimenti brillante esistenza perché, se comparato diacronicamente e sincronicamente alla situazione del mercato videoludico, quel profondo rosso coincide con una congiuntura più unica che rara, quale ultimo anno della settima generazione di console (Xbox 360, Playstation 3 e Wii), frangente tra i più mosci di sempre, e in tempesta perfetta con il più fallimentare lancio della storia Nintendo per una console casalinga qual era Wii U.
Ma se questo è lo storico del conto economico aziendale, è utile fotografare l’andamento delle azioni. Fin dalla quotazione le company share hanno seguito un andamento sinusoidale: con crescite coincidenti con l’avvento delle nuove generazioni di console (in particolare casalinghe, ogni 5-7 anni) per poi ri-calare nell’arco del ciclo di vita dei medesimi dispositivi e quindi risalire al lancio dei nuovi hardware, e via così.
Per comprendere il fenomeno è necessario contestualizzare una massima del settore gaming: è vero che non si fanno i soldi vendendo le console in quanto tali, ma questo vale solo per i produttori delle medesime (oltretutto per il limitato inizio del ciclo vitale). I margini, infatti, si fanno col software (i videogiochi) e le periferiche (è per questo che un joypad costa relativamente tanto), ma i rivenditori, come GameStop ovviamente, ne traggono profitto diretto anche dal singolo sistema venduto (seppure per la casa produttrice faccia conseguire un rosso).
Boost di guadagno che oltretutto incrementa collateralmente, da una parte, la “benzina” di quei dispositivi, ovverosia la vendita di nuovi videogiochi e dall’altra tutto il ricchissimo mercato dell’usato di cui GameStop è la regina.
GameStop: vendere l’“ultimo” medium con fare analogico
Fatto il quadro storico-generale, si giunga all’evoluzione degli ultimi anni.
L’anello davvero debole del business model di GameStop non è la vetusta compravendita tradizionale, in loco, presso il negozio fisico: bensì l’intera customer journey scientemente organizzata (artata?) da apparire sgraziata proprio ai clienti più fedeli, ossia i videogiocatori più appassionati, geek o nerd dir si voglia.
GameStop, infatti, tra gli hardcore gamer è “famigerata” nell’impiego di modus operandi divenuti “memetica”: con parodie, “voci” e rappresentazioni.
Beninteso: GameStop non ha mai compiuto nulla di illegale, semplicemente utilizza un’aggressiva modalità di vendita. Proprio quando il cliente-videogiocatore va alla cassa per la transazione, ecco partire il “bombardamento” di proposte descritte come panacee quando in verità sono per lo più marginali, facoltative, riempitive e indirettamente collegate alle primarie necessità del gamer.
In virtù di ciò il videogiocatore si percepisce non al centro della strategia aziendale bensì come occasione per essere “munto”: compri un titolo nuovo di zecca da €80,00? Ed ecco il rilancio del consulente sulla necessità di prenotare lo spin-off o il là alle ormai leggendarie assicurazioni anti-graffio del disco o, ancora, con le sempiterne fidelity card. Si vuole rivendere a GameStop un videogame relativamente recente? Fatto e servito, con un legittimo riconoscimento di pochi spiccioli ma per poi rivedersi piazzata a scaffale quella stessa copia usata, da te venduta, poche ore dopo, con un rincaro anche di dieci volte il prezzo cui l’avevano pagata. Lo si ribadisca, tutte fattispecie buone e giuste: è il capitalismo, bellezza, ma in un negozio di prossimità, si sa, le voci girano e anche nella totale compliance ordinamentale, appena si aprirono le gabbie della Rete (dalla seconda metà degli anni Zero del Duemila), l’utenza stessa riversò bile verso la compagnia (pure per “denunciare” storture, nondimeno, esasperate e recentemente reportate anche da “whistleblower” della stessa società) .
In termini di marketing, l’intera customer journey di GameStop è risultata (almeno nella percezione), effettivamente, più orientata nel “piazzare” i propri obiettivi aziendali anziché nell’”appagare” le esigenze del cliente, fidelizzandolo. Questo ha comportato nel videogamer, ed è fondamentale in questa analisi, a “sopportare” la catena fintantoché fosse stata necessaria per poi “rimpiazzarla” appena si fosse reso possibile (eCommerce e digital store).
Come hanno fatto, i manager, a non accorgersi della propria trave nell’occhio rispetto i loro clienti? Un po’ la strafottenza del leader e del «si è sempre fatto così», un po’ per la costumanza dei videogiocatori stessi: è infatti noto come e quanto gli hardcore gamer, pur amando la tecnologia, fossero adulatori del formato fisico e continuassero a rimpolpare le loro ludoteche rigorosamente coi videogame pacchettizzati, magari comprandoli di seconda mano proprio da GameStop, ma sì, dovevano materialmente avere il Blu-ray Disc.
Insomma, i nerd precursori, nonostante tutto e per tutto, non si convertirono subito all’only digital. Soltanto negli ultimi anni, massicciamente, hanno sostituito lo scatolame passando in forze al digitale: fa riflettere in tal senso che nello stesso momento in cui GameStop generava il buco più profondo della propria storia e corrispondente a mezzo miliardo di euro, PlayStation incamerava dal solo suo network online più dell’intero fatturato di Nintendo (2018): €10 miliardi.
Poi, poi c’è la Storia: perché là dove non poté la prodezza del digitale, riuscì la serrata mondiale del SARS-CoV-2.
Perché sì, ora si parli della digital revolution. Di essa se ne discetta dacché i millenial vestivano “coi pantaloncini corti”, eppure gli effetti, dirompenti, sono relativamente recenti. Infatti, è soltanto dalla seconda metà dello scorso decennio che si appalesa la reale portata, in scaturigine, dell’«apocalisse dei retail».
In particolare, per GameStop, l’oceano si ritira per ingenerare lo tsunami con il lancio degli smartphone (2007) e la prima vera generazione di console ab origine integralmente interconnessa alla Rete (2005-2013), ma le cui transazioni massivo-planetario-popolari per mezzo della ubiqua interconnessione e dell’ammendante digitalizzazione, deflagrano soltanto a fine degli anni dieci del XXI secolo (2018-2020), l’ultimo barlume della generazione successiva (2013-2020). Mix tecnologico ma soprattutto socioculturale che porterà i profitti della compagnia ad assottigliarsi fino ai tracolli degli ultimi trascorsi.
A conti fatti, GameStop non vede un centesimo di profitto dal 2017: negli ultimi due esercizi (2018 e 2019), in era pre-pandemica, arrivando a perdere quasi un miliardo di euro (per la precisione: €944 milioni, di cui €555 e €388 milioni, rispettivamente nel 2018 nel 2019); da allora, inoltre, circa 1.000 negozi hanno definitivamente chiuso.
Ma, attenzione, si tenga bene a mente che questo scenario di profondo rosso accade in un contesto in piena controtendenza, cioè a dire in anni di crescita impetuosa di tutto il comparto videoludico (con incrementi anno su anno a doppia cifra percentuale). Il 2020 è, in assoluto, l’anno più redditizio della storia del videogame (ormai commercialmente risalente a mezzo secolo fa, con Pong dell’Atari nel 1972). Per una crescita che permarrà apparentemente inarrestabile ancora a lungo e prossima a raggiungere i 170 miliardi di euro in fatturato complessivo-annuale nel 2023: comparativamente, già da ora più di quanto riesca a cubare, parimenti, la cinematografia e la discografia messe insieme e, addirittura, dal 2020 dovendo sommare alla prima l’intero comparto dello sport.
Per un Eldorado inimmaginabile persino ai tech-ottimisti di pochi lustri or sono. Il non aver cavalcato l’onda del secolo ma esservi finita travolta, per GameStop, non è colpa del baro Destino bensì di un management dal breve respiro.
GameFLOP: non una storia di fallimento tecnologico, ma di vision
Perché sì, infrastrutturalmente GameStop, non ha saputo, perché non ha voluto, metamorfizzarsi come invece accaduto per Best Buy.
Perché come brand, GameStop ha fagocitato il sentiment sulla marca al punto da essere percepita a mera commodity, ovverosia a “suocera” del videogiocatore cui, alla prima alternativa minimamente fattibile, è stata bellamente sostituita.
Sostituita da chi? Dai portali Internet per il mercato dell’usato, stile eBay; dai retailer online, à la Amazon; dagli store online dei publisher, come Steam o dai servizi streaming come Xbox Game Pass Ultimate.
Certo non contribuì alla nomea l’essere finita nella classifica delle 10 peggiori compagnie cui lavorare in USA; il cambiare mezza decina di CEO in un triennio o l’auto-classificazione di negozio essenziale in pieno lockdown, ma il coltello alla gola non lo mise la trasformazione tecnologica o la Covid-19, bensì lo affondò quella stessa base di clienti nerd che l’azienda non seppe, perché non volle, ascoltare (e neanche limitare con un efficace crisis management per il dilagante dileggio in Rete che da satira arrivò ai limiti della diffamazione aziendale).
È questa sublimazione di brand loyalty il vero e più intimo motivo che ha devastato qualsiasi prospettiva futura di sostenibilità economico-finanziaria di GameStop. Perché non si deve dimenticare che lo stesso “popolo” di Reddit che, triggherato da qualcuno di “esterno” alla propria “cerchia”, si è congiunto per “salvarla” (o perlomeno servirsene) è il medesimo (hive mind) che fino a un minuto prima inveiva contro il retailer videoludico, auspicandone il dissolvimento.
Circostanze che, comunque, hanno cambiato per sempre lo storytelling della triste per quanto telefonata parabola di una fu big del settore inequivocabilmente destinata al Chapter 11.
Con queste prerogative, è ora comunque comprensibile cogliere il perché alcuni fondi speculativi potessero legittimamente scommettere “contro” il gigante dai piedi d’argilla denominato GameStop. Come? Con l’ormai famigerata vendita allo scoperto (short selling). Le reti sono tirate, inizi la tonnara: e l’acqua ribolle. Perché magari finirà egualmente come Blockbuster o come Kodak ma, prima, c’è da fare la Storia.
Reddit e GameStop: “C’è del buono in questo…titolo”
Le radici di quanto accadde a gennaio 2021 si rinvengono nell’estate del 2019, quando la compagnia registra il valore tra i più bassi della sua esistenza: neanche €3,00 per azione. Già allora è suo azionista, tra gli altri, il fondo Scion Asset Management capitanato dal medico-investitore Michael Burry, leggenda degli hedge fund nonché celeberrimo per avere scommesso sulla crisi dei subprime per poi fare “jackpot”. In particolare, in tal senso, dal 2015 è impresso iconicamente nell’immaginario collettivo di “genio ribelle” per via della rappresentazione che ne ha fatto il lungometraggio La Grande Scommessa con il magistrale ruolo interpretato da Christian Bale.
Bene, nell’estate di 2 anni or sono, Scion Asset Management suggerisce strategicamente a GameStop di riacquistare quante più azioni possibili, consiglio seguito dalla compagnia che avvia un buy-back tale da diminuire consistentemente il numero di azioni liberamente commerciabili nel mercato finanziario (flottante): il ridotto numero di share circolante nel secondary market sarà una delle concause della deflagrazione speculativa di inizio anno (perché relativamente pochi soldi possono far muovere tantissimo).
In quella torrida estate, appena si diffonde la notizia, un allora sconosciuto utente di Reddit (uno dei tanti, tra i tanti) e dall’improbabile soprannome DeepFuckingValue posta su una sezione di Reddit, r/WallStreetBets, l’acquisto di svariate azioni di GameStop.
Il proclama del suddetto è oggetto di pubblico ludibrio; il perché, ormai, è lapalissiano: GME è “odiata” proprio dalla stessa comunità Reddit e finanziariamente, inoltre e a ragione, ha una fama che la precede: è un colabrodo prossimo al default.
Lo scherno, mano a mano, però, vuoi per piccoli ma significativi fatti inerenti la società e un po’ per retorica auto-alimentante della comunità di piccoli trader su Reddit, fa mutare la percezione culturale del subreddit.
Dopo la nomina di un «veterano» del retail a CEO della compagnia (tra l’altro, nomen omen con il patriottico tank). Dopo l’entrata nel consiglio di amministrazione dello scorso inverno di Reggie Fils-Aimé (in clamoroso come back nell’industry dopo tre lustri in Nintendo America). Dopo il massiccio investimento della cool icon imprenditoriale qual è Ryan Cohen (per una share del 10% che lo ha reso il più grande detentore, persona fisica, di azioni di GME: già co-fondatore di Chewy quale rivenditore di cibi per animali, ma online, che aveva palingeneticamente rinnovato un mercato eguale a se stesso attraverso l’innovazione internettiano-tecnologica e portando la startup a una exit plurimiliardaria), presentante un piano di ristrutturazione coerente con la trasformazione disruptive che lo aveva già reso celebre e col fine di erigere una Amazon dei videogiochi (facendo emergere che dalla condizione di partenza di Blockbuster c’erano due vie per uscirne: o l’arcinota bancarotta dell’omonima corporate o la reinvenzione stile Netflix che, nata nell’ “analogico” 1997, era sostanzialmente una Blockbuster postale e soltanto poi diventando prisma della rivoluzione streaming). Nonché dopo la comunicazione di una partnership strategico-pluriennale GameStop-Microsoft per l’infrastruttura tecnologica Azure e per un peculiare accordo commerciale con il settore gaming della compagnia di Redmond (capitanata dall’influente e amato Phil Spencer), tale per cui GameStop incasserà sine die una quota percentuale di ciascuna e di tutte le transazioni digitali che gli utenti di console Xbox Series X|S acquisteranno da uno qualsiasi dei suoi negozi, bene, dopo tutto questo: cambia l’umore. E l’humor.
Perché sono tutti indizi coincidenti in una prova di cambiamento, che però può essere ambivalentemente interpretato: o come la sintomatologia di un disperato e morente colpo di frusta, come parrebbe intendersi per certuni hedge fund, o come il barlume della redenzione, disperata e possibile, come la comunità di Reddit starebbe inziando a credere (e, con essa, anche parte di importanti fondi di investimento, tra cui BlackRock, il più gargantuesco gestore patrimoniale del mondo).
Ma cosa ha portato i redditor nel cambiare di 180° e così ardentemente il proprio giudizio su GameStop? Sì, esattamente: l’ormai noto hive mind.
Shiba vs. Wolf (of Wall Street): canis canem edit
Reddit esiste da oltre un quindicennio, quindi perché proprio e “solo” ora?
Perché GameStop non è l’Eldorado ma neanche, come visto, pura fuffa e da questa constatazione partì il primo barlume di scommessa nel lungo termine. Perché i trader di r/WallStreetBets non avranno gli uffici a Times Square ma dispongono di dati e informazioni di pubblico dominio in tempo reale e che possono intersecare con tool anche gratuiti, creando statistiche, comparazioni e deduzioni anche complesse o comunque condividerle tra gli appassionati derivandone intelligenza collettiva, attivismo e logiche di branco. Perché sì, i redditor sono finanziariamente e singolarmente “piccoli”, ma neppure troppo: perché sono tanti, milioni (10 a oggi e con impatti molto maggiori se consideriamo i lurker) a fronte di un flottante della compagnia in questione, ridotto (paragonabile a quello di Volkswagen nel 2008); perché punteranno mediamente anche solo qualche migliaio di euro cadauno, ma coordinato è almeno bastevole da innescare un’azione umana per una reazione automatico-algoritmica a catena; perché comunque gli shortisti avevano peccato di presunzione scommettendo (a ribasso) il 140% dell’esistente (e i redditor se ne accorsero) e, soprattutto, si erano messi (permessi?) di fare la “paternale” a questi squattrinati.
Se c’è stato un caso GameStop, è perché ha riguardato proprio GameStop. Lo si ripeta: se c’è stato un caso GameStop, è perché ha riguardato proprio GameStop.
E non poteva essere altrimenti.
Ma quali nativi digitali: i millennial trader, soprattutto statunitensi, per quanto non lo vogliano ammettere, sono anche la “generazione GameStop”: di un mondo nato analogico in cui il negozio di prossimità e il superstore sono l’infanzia di ciascheduno. Oltre il 60% degli store GameStop presenti nel mondo si trovano negli USA (del cui quale, il 10% nel solo Texas): l’unico Paese al mondo dove la bolla GameStop sarebbe stata materialmente possibile.
Perché, e qui ci si ricongiunge in medias res al sentiment della geek culture di Reddit, GameStop è (stata) parte della felice infanzia di quel agglomerato ora giovane-adulto e, soprattutto, perché GameStop seppur “brutta”, “sfigata” e “cattiva”, è un tassello della medesima cultura di appartenenza dei redditor, e qui si torna alle logiche di appartenenza: un membro di una “classe” (geek) può denigrare e inveire contro un altro membro del proprio gruppo (GameStop) ma nessuno (hedge fund), nessuno al di fuori di quella stessa cerchia che pure lo insulta, può permettersi di fare altrettanto (in r/WallStreetBets, i redditor, sovente si danno dei «ritardati» vicendevolmente, meme-trollando se stessi: «retard» quale anagramma di «trader»).
E su GameStop, l’insulto irridente fuori dalla cerchia di “eletti” redditor, è provenuto da certuni colletti bianchi di Wall Street, magari anche «boomer», che hanno shortato all’inverosimile la società e poi hanno tacciato i redditor come un branco di bamboccioni, inoccupati, ignoranti e chiusi in nerd-quarantena nella cameretta della casa di mamma, magari foraggiati coi soldi dei sussidi federali e “gamer” in borsa in quanto avevano ultimato il backlog di Steam. Peraltro tutte cose perlomeno verosimili.
Ma, così facendo, avevano comunicativamente premuto il tasto sbagliato. Il missile era partito. Destinazione? «To the Moon».
Un altro vaso comunicante dell’hive mind è stato lo storytelling, storicamente accurato, “vittime” e “carnefici” della crisi finanziaria dei Lehman Brothers, tredici anni or sono: per cui i poveri bambini di quell’epoca (millenial) che si sono visti le famiglie “saltare” e che sono divenuti ora adulti ma non ancora ripresisi il proprio riscatto di carriera, potevano, se non pareggiare, perlomeno infliggere una pervicace “tortura” proprio ai responsabili morali indicati negli hedge fund, traendone magari pure profitto personale. Parlando di game: è la rivincita.
Oltre tutto questo, il boost azionario di GameStop non sarebbe mai stato possibile senza le applicazioni di trading online: quelle della gamification della finanza.
Fin dal nome (omen) quasi poetico, RobinHood, è quella che ha spopolato anche perché plagiante una certa retorica del togliere ai ricchi per dare ai poveri. Quale migliore strumento da impiegare dal collettivo di piccoli per sconquassare i tori di Wall Street?
Robinhood, assieme ai summenzionati elementi nonché alla pompante liquidità nel e del sistema mondiale, è un main character di questa vicenda, in quanto fa sembrare la finanza così altrimenti cervellotica ed elitaria esattamente alla portata di… Tap: attraverso l’uso di una applicazione gratuita e dall’interfaccia cool, easy, ingaggiante, palpitante di stimoli, suoni e gratifiche che parla lo stesso alfabeto degli user che la impiegano, in quanto scimmiottando il videogame (gamification). Piattaforma in cui è possibile allocare anche importi risibili, pur di non soffrire di FOMO e gettarsi nella mischia di Wall Street.
Robinhood è una tecnologia che nel 2020, coadiuvata dal lockdown, è esplosa nei download d’Oltreoceano e ha rappresentato un collaterale frutto dell’Eden per i suoi fruitori. Perché? In quanto ha rappresentato un succoso assaggio dell’ebbrezza borsistica senza il battesimo di fuoco: niente studi specifico-necessari; zero burocrazia; assenza di attese, di bolli, di garanzie, di scartoffie e di interlocuzioni con persone impomatate. Solo qualche tap sullo schermo dello smartphone, un log-in, un’associazione al conto e benvenuto nel gioco grande della finanza.
Robinhood è un capolavoro di marketing del prodotto. Prodotto (recte: servizio) non solo egregiamente congegnato, tendenzialmente senza costi (il cui business model ha creato gravi problemi ed è tutt’ora sotto indagine), presente in un momento propizio e, soprattutto, dopo un decennio in cui lo stesso target di riferimento (in media senza previa esperienza borsistica, giovani e maschi: esattamente l’archetipo del redditor) si era abituato a spendere per acquisti in-game (meramente decorativo-digitali) o addirittura, volenti o nolenti, in loot box quale prassi videoludico-culturale della geek culture. Quindi nessun salto logico e nessuno sforzo non solo nello spendere moneta sonante per partecipare all’arena borsistica e, tanto meno (e persino anzi con gaudio), dovendo impiegare parte del portafoglio per tentare di fare soldi. Stando a casa. Quasi videogiocando. Come in un clan. Magari condito con lo stereotipato concetto di farne tanti, subito e maledettissimi.
Ed è quello che successo.
Perché nel multiverso di questa storia, dalla tonnara di GameStop si è arrivati alla fattoria delle tante “bestie”. E, si sa, «tutti gli animali sono uguali». Ma, più che tori, sembra un brulichio di grugniti. Ed è allora che all’hedge fund parte la carica del branco. Perché «alcuni sono più uguali degli altri» e, si sa, del “maiale” non si butta via niente.
In venti giorni, GameStop, crescerà del 1.600% innescando lo short squeeze della decade: alcuni trader otterranno un bel gruzzoletto; alcuni fondi speculativi perderanno miliardi (altri ne “faranno” altrettanti) e, soprattutto, la storia finanziaria annovererà un ulteriore turning point: è la prima volta in assoluto che (anche) un movimento bottom-up ha ingenerato una siffatta scossa tellurico-finanziaria.
Ma, invero e ben approfondendo, al netto di retorica dei Davide contro Golia (che pure in parte è vera), essa, è la dimostrazione che in quest’occasione, redditor-scommettitori e fondi speculativi pari sono: dei canidi. Canidi desiderosi del sangue pur di spuntare l’affare.
Crolla il “mito” latino del canis canem non est (cane non mangia cane): il cane-meme shiba ha sbranato dei Wolf of Wall Street. È la rivincita della (video)game culture: Canis Canem Edit. Sì: cane mangia cane.
Hedge found? La bolla e gli ultimi dei Mohicani
«Power to the players», è lo storico slogan di GameStop che, alla luce di tutto questo, dovrebbe essere necessariamente ridenominato in un nuovo payoff: «Power to the players that trade».
In un proto-linguaggio militaresco, su WallStreetBets, è tutto un «hold the line», mantenere la posizione, restare disciplinarmente allineati nella cortina di ferro del non vendere le azioni in proprio possesso nonostante stiano schizzando «to the Moon», al fine di poter dilapidare e sconfiggere le Shadow of the Colossus ribassiste (attraverso lo short squeeze) .
Perché in pieno spirito di un game divenuto più grande del gioco stesso, ora, dopo un investimento più o meno tecnicamente sensato nel lungo periodo; dopo lo scherno dei boomer alla geek culture; dopo il tentato spolpamento di un’icona “fisica” di un’infanzia ormai passata; dopo l’irrisione dei colletti bianchi ai giovani scansafatiche; dopo le caserecce ma anche sofisticate analisi dalla proprio cameretta; dopo un movimento lievitato a suon di meme e spirito cameratesco; dopo che Reddit si è imposto nel mainstream planetario; dopo che un nickname improbabile si è plasmato con un volto su tutti i TG del mondo, dopo tutto questo, quel game iniziato divenne l’“ultima sfida”: lo scontro con il “Big Boss” di fine livello.
Si principia così il redde rationem stile MMORPG à la World of Warcraft avverso all’hedge fund: “sconfiggendolo” (il fondo Citron Research, dopo aver perso miliardi di euro, infatti, fa pubblica “ammenda” e annuncia l’ufficiale ritiro definitivo dalla vendita allo scoperto; Melvin Capital sublimerà 5 miliardi di euro).
Ma, per citare in tempi non sospetti, mutatis mutandis, il già ministro dell’economia e delle finanze italiano, Giulio Tremonti: «è come vivere in un videogame, compare un mostro, lo combatti, lo vinci, ti rilassi e subito spunta un altro mostro più forte del primo». Eppure, eppure ancora prima di passare al livello successivo il gioco si rompe. È buggato (per qualcun altro, invece, è proprio truccato): la “spada” Robinhood dei millennial trader usata nella lotta contro i “colossi” di Wall Street smette di funzionare. In quel frangente è possibile esclusivamente vendere le “calde” partecipazioni di GameStop, il titolo crolla (poi riprendendo in rally): attualmente vi sono plurime inchieste su quanto accaduto, la versione ufficiale della compagnia è che si fosse trattato di una interruzione di servizio (“bug”) dovuta a un improrogabile rafforzamento regolamentare da adempiere.
Passando dal paragone post-contemporaneo a quello mitologico: i redditor avevano solo tagliato una delle teste dell’Idra.
A oggi lo stock di Gamestop ha la stessa stabilità della nitroglicerina: dall’“assalto” speculativo di fine gennaio portante un’azione a €400,00, la medesima è crollata sino a valere €30,00, cifra pari comunque al decuplo del minimo assoluto. Nondimeno questo collasso ha dato via a un movimento di redditor irriducibili, i cosiddetti ultimi dei Mohicani o, più prosaicamente, i loss porn: “reddiTrader” che per puro masochismo o per convinzione di investimento di lungo periodo, anziché disfarsi del titolo in picchiata, se lo cuciono addosso esibendo pubblicamente sul forum le rovinose perdite subite. Ciò anche al fine di coagulare quell’hive mind di affilata lancia iniziale, in solidaria corazza da tempi di magra, tra e di tutta la comunità di Reddit. Un «hold the line» rimembrante però, questa volta, una Linea Maginot.
Perché quella di GameStop più che essere una semplice battaglia di posizione, sembra essere una vera e propria guerra di movimento.
Clamoroso (oltreché essere una best practice per il marketing comunicativo), è stato l’acquisto di 5 secondi di spot pubblicitario al Super Bowl 2021, da parte della compagnia Reddit in cui galvanizza la propria community nell’aver compiuto, con la “scalata” GME, un’impresa memorabile.
Intrapresa che, comunque, non sarebbe stata possibile senza la co-op di un “eroe” (non) mascherato: quella dell’«Iron Man» vivente.
#Gamestonk e la co-op di Elon Musk: il meme vivente
Chi è l’«Iron Man» vivente? Il self-made man sudafricano a capo di società aerospaziali, di automobili elettriche, perforanti superfici metropolitane ed elaboranti il transumano: per l’appunto autoproclamatosi alieno con l’obiettivo di colonizzare Marte, Elon Musk.
Non avrebbe bisogno di ulteriori presentazioni ma è comunque doverosa farla, per quanto nei limiti di Twitter, social che adora: Elon Musk è il più istrionico, influente, avvenirista, geniale e folle esperto generalista del XXI secolo.
Nel bene e nel male è tra l’altro capace di condizionare repentinamente e massicciamente gli andamenti della borsa, anche con un singolo tweet: un Re Mida che neanche deve toccare bensì semplicemente “cinguettare”. Dimostrandosi cotanto prolifico da incorrere nelle ire della Securities and Exchange Commission (SEC, l’ente federale americano adibito alla vigilanza della borsa valori), al punto da essere “demansionato” e di risultare l’unico CEO al mondo a dover chiedere il permesso prima di twittare, per certi argomenti, della sua stessa compagnia che amministra.
Con siffatto pedigree è allora comprensibile del perché il genio di Pretoria non sia considerato, neppure dai redditor, come l’ennesimo multimiliardario one-percenter della lista Bloomberg: Musk è uno di loro. Di più, Musk è il “compagno” in co-op delle scorribande della geek culture.
Non solo perché entro gli otto anni di vita ha letto l’intera enciclopedia britannica; non solo perché a dodici anni sviluppa il suo primo videogame, Blaster, per poi venderlo e farci i primi soldini; non solo perché nell’adolescenza subisce e sopravvive a brutali aggressioni “bullesche”; non solo perché legge di fantascienza e pratica la scienza a essa più vicina; non solo perché parla competentemente di videogame e sviluppa chip cerebrali per farli giocare a scimpanzé; non solo perché è uno dei più grandi detentori di criptomoneta; non solo perché fuma marijuana come un giovanotto scavezzacollo durante le interviste e trolla i mercati con simbolismo richiamanti il cannabinoide ma, ma anche perché la sua Tesla è stata la società più shortata al mondo. L’esserne sopravvissuto, anche grazie il supporto dei suoi clienti (recte: fan ai limiti di adepti) lo ha reso un medium.
Tutto ciò pur nell’incommensurabile distanza che separa la sua agiatezza rispetto il redditor medio, perché non importa. Perché le logiche di inclusione socio-digitali vengono prima delle discriminazioni di ricchezza e persino delle straordinarie capacità del singolo: promana da Reddit il sangue blu dell’accettazione di medesima stirpe nell’appartenenza alla geek culture. Vale più un meme che un milione di euro. E l’interpretazione dell’ego è il medesimo tra quello di un redditor e quello di Musk: non appare quindi strano che a lui è dedicato un subreddit; che abbia preso parte a più Ask Me Anything e interloquisca quotidianamente (e ai limiti del compulsivamente), con la qualsiasi, su Twitter.
Ma è il come lo faccia che lo differenzia: Elon Musk capisce e parla lo slang internettiano e, soprattutto, pubblica meme, eleva meme, è meme.
Musk, è considerato un veterano dai millenial trader perché ha momentaneamente “sconfitto” i fondi speculativi che scommettevano su un fallimento di Tesla, ma anche perché ebbe platealmente a danneggiarli, per il puro “gusto” di farlo, quando annunciò un farsesco buy-back che quasi gli costò il ruolo di CEO. Inoltre, Musk, come detto, non solo è un tecno-ottimista sostenitore delle cryptocurrency ma persino fedele “servitore” della meme-moneta dogecoin: tutti pixel componenti la quintessenza del quadro della geek culture.
Tesla non è caduta di valore nel momento più buio e attualmente è l’azienda più capitalizzata dell’automotive anche grazie la geek culture e, soprattutto, Musk è diventato il market maker che ha reso definitivamente GameStop come «IL» caso GameStop.
Martedì 26 gennaio 2021, Elon Musk posta un solo tweet con il link che porta a WallStreetBets e con su scritto «Gamestonk!!».
+160% istantaneo (più del triplo di quanto non siano complessivamente cresciute annualmente le migliori case farmaceutiche brevettanti il vaccino alla COVID-19), il titolo della compagnia raggiunge l’apice ineguagliato nella sua storia: game over.
Non contento, Musk non ha mancato di lanciare una frecciatina al CEO di Robinhood, Vlad Tenev: in una conversazione su Clubhouse, il magnate sudafricano chiederà conto del perché l’app di trading per eccellenza avesse floppato proprio all’apice dello short squeeze di GameStop. Il giovane co-fondatore di Robinhood ribadirà la doverosità di adempiere ai prerequisiti finanziario-regolamentari, rigettando apertamente qualsiasi cointeressenza con gli hedge fund. Musk, nondimeno, così facendo ha appagato nuovamente il sentiment di “verità” dei redditor… E intanto, la caccia a un suo fantomatico profilo segreto su Reddit, è aperta.
Ma perché Elon Musk, il da Vinci del III millennio, ha fatto tutto ciò?
Per parlare a nuora affinché suocera intendesse. Gli shortisti lo volevano rovinare, lui non solo li ha sconfitti ma ne voleva vilipendere la carcassa, chiamando il suo popolo: e la geek culture (g)ode.
Keith Gill, il «gattino ruggente» in mezzo ai lupi di Wall Street
Fino a oggi, parlare di Reddit e di redditor significava parlare di tutto e il suo contrario. Il concetto di hive mind, infatti, non è solo utile a inquadrare una giustapposizione o contrapposizione di correnti di pensiero coattivamente (e proattivamente) asservite a un obiettivo ben specifico, come i già descritti tentativi di boicottaggio di certi brand.
No, l’hive mind è sempre stato un idioma utile a rappresentare Reddit, in quanto ricercare un singolo individuo in grado di assurgere a frontrunner di quel website, era impossibile. Parlare di Reddit è sempre stato, per necessità, il riferirsi a una pluralità, una Legione biblica della società 4.0.
Il caso GameStop avrebbe mutato persino questo consuetudo, “sovrascrivendo” a un movimento la figura di un uomo che potesse “finalmente” dare un volto alla community: DeepFuckingValue (si evita la traduzione per pudore; acronimo in DFV), colui che diede il via alla scalata di GME.
Se DFV è l’acronimo del nickname su Reddit, su YouTube egli è noto come Roaring Kitty (Gattino Ruggente): al secolo Keith Gill, giovane uomo di 34 anni, cresciuto nel Massachusetts, marito, padre, grande appassionato di finanza e trader con certificazione CFA.
Già questo è sufficiente a far vacillare talune convinzioni inossidabili di una certa parte dei media tradizionali nel rappresentare il “popolino” del Web in una sorta di reclusione auto-imposta, doverosamente spinta da una xenofobia digitale contro la carne viva del mondo “reale”: i suoi membri sono anche la media e la mediana della società, senza con ciò cadere in un imprimatur morale elogiante il qualunquismo. Piuttosto, una presa d’atto. In altri termini Keith Gill è un homo sapiens, sic et simpliciter. Checché ne dica il mainstream e finanche il soprannome, il Kitty “ruggente” di Wall Street, è una normodotata ‒ finanche banale ‒ figura umana.
Emergerebbe come Gill fosse già prima di tutto questo, un conoscitore di Reddit e persino suo utente: ancorché per la scalata di GameStop, egli, decida di crearsi un account ex novo, appunto, il DFV. Sul perché abbia agito in tal senso non è tutt’ora dato sapere.
Ma come ha fatto un uomo qualunque a essere quasi “eletto” a “leader” di una community orizzontale come Reddit e cavalcarla fino allo short squeeze del decennio? Con un frammisto di fortuna condita a una scommessa azzardata nonché “antesignana” sulla GameStop dei minimi assoluti e da una comunicazione cross-socialmediale che almeno dall’estate 2020 ha permesso di scavalcare l’omogeneizzazione anonimizzante di Reddit con una forte presenza da youtuber-influencer.
Protagonismo che poi gli è costato caro perché dopo il clamore di questo inverno, lo ha trascinato al banco dei testimoni delle storicamente provanti sessioni congressuali.
E se la posizione del CEO di Robinhood pare preliminarmente più adombrata in virtù del “blackout” della piattaforma nel momento di trading più forsennato della sua storia, Gill assume il volto di Grinch di Reddit, essendo chiamato a estrinsecare la posizione e la sua funzione durante la bolla GME.
Contemporaneamente ancorché separatamente, verrà chiamato da altri individui a risponderne legalmente in virtù di una class action che lo accusa di aver fomentato intenzionalmente e artificiosamente il valore del titolo.
La serietà della situazione e la possibilità di essere individuato come unico e principale colpevole stile “Madoff dei poveri”, richiedono una presa di posizione seria e composta. Cosa che Gill, avvedutamente, compirà. Durante la sua sessione espone quella che appare più che una testimonianza, una linea difensiva, anche nonsense: «Non sono un gatto [il riferimento è al suo account di YouTube]; non sono un investitore istituzionale; non ho clienti e non fornisco commissioni personalizzate». Ma, ovviamente, non è in mostra solo il timore reverenziale o il savoir-faire di un improbabile novello statista: bensì anche quello del redditor di “professione”, di un redditor in carne e ossa che anche dinanzi Capitol Hill e privo del suo anonimizzante alias, si concede di “memare”.
Ed è così che entro il perimetro dell’obiettivo della telecamera che Gill semina indizi di fratellanza geek: sulla destra dello schermo, sullo sfondo della lavagna bianca della stanza in cui si trova a testimoniare, infatti, compare la foto di un gattino con su scritto «hang in there». Un cameratesco «tenere duro» decodificabile solo dai suoi “compagni” redditor ed echeggiante l’«hold the line» in spirito iniziale nonché rafforzato dall’appariscente e penzolante bandana rosso fuoco indossata nei suoi video da trader “(gattino) ruggente” e in ossimorico richiamo del combattente per eccellenza, Rambo.
Ma qual è la pubblica conclusione che Gill lascia agli atti? «Mi piace il titolo (GME)». Avrebbe potuto proferire quella frase in mille varianti ma no, è puro citazionismo alle e delle metriche di WallStreetBets: «I like the stock». E su Reddit è ovazione.
Così, pur mediocremente leggendo uno script dinanzi un monitor e nella gravosità di una testimonianza istituzionale, Gill, manifestamente celebra lo spirito di Reddit: “memare”, “memare” sempre e comunque. Anche là ove nessuno ebbe prima a osare.
“Kitty” Gill, così facendo, de facto, non fu solo il poster boy di un subreddit ma divenne l’idolo di tutta WallStreetBets: applaudito e contrapposto al “sistema” in nemesi della “traditrice” Robinhood.
Che siano i 15 minuti di celebrità richiamati da Andy Warhol?
Conclusioni: l’apogeo della geek culture e l’inizio della meme era
Scrivere che l’“Iron” Musk e il “Kitty” Gill siano due facce della stessa “Coin”, sarebbe un ardire più che un dire. Quanto accaduto, piuttosto, è stata la tempesta perfetta trasformante la realtà “vera” nel (video)game in cui persone (reali e virtuali), bot (algoritmi borsistici), game master (Robinhood), influencer (di nicchie o planetari), bolle (comunicative ancor prima che speculative), follower, professionisti, gente comune, market maker, profezie, dati, illusioni, speculatori, piccoli, grandi, agenti top-down e azioni bottom-up, controllori e controllati si sono fissi nuclearmente tali da derivare qualcosa di alt(r)o. Il Game. Per un “gioco” ora sotto indagine di plurime Autorità statunitensi.
Un game che non può essere a priori giudicato ma da cui è bene prevenire che possa essere cortocircuitato. L’onlife è un nuovo modo e l’infosfera un differente ambiente, rispettivamente, di e da vivere. Ambedue componenti che necessitano un’inedita ecologia.
Il “cambiamento climatico” della società, quello 4.0, è già avvenuto: si è cercato di adattare l’esistente per comprimere l’inedito, ma non è stato possibile. È pertanto doverosamente necessario pensare altrimenti: arricchendosi tra opposti per sintetizzare nuove fondamenta. Senza averne paura.
Perché oggi, con il caso GameStop, avrebbe perso l’esistente “detestabile” ma, come ricorda Andrew Left, CEO di Citron Research quale fondo speculativo ritiratosi definitivamente per KO tecnico: «noi abbiamo iniziato proprio contro l’establishment ma effettivamente lo siamo poi diventati». Perché, anche ammesso che si fosse nel giusto, senza una corretta etica non può che finire male.
Quanto accaduto è una “manifestAzione” del nostro potenziale umano nel mondo interconnesso e digitale. Un’ennesima dimostrazione. Perché è lo stesso formidabile strumento che ha permesso a un afroamericano di ascendere, legittimamente, alla White House ed è lo stesso deleterio arnese che ha coadiuvato, illegalmente, di assaltare Capitol Hill.
Il binomio Reddit-GameStop rappresenta la sublimazione del vivere digitale in quello reale. Ignorarlo? Impossibile. Silenziarlo? Non ammissibile.
Questa è la geek culture al suo apogeo. Ieri fu GamerGate, oggi GameStop: e domani?
È l’inizio della meme era.