Le “Proposte per una strategia italiana per l’intelligenza artificiale” presentate dal Ministero dello Sviluppo Economico recepiscono ed estendono le linee guida UE sull’intelligenza artificiale “degna di fiducia” (“trustworthy AI”) e parlano esplicitamente di una “RenAIssance”, un rinascimento tecnologico italiano trainato dalle politiche pubbliche sull’AI.
Le molteplici linee di azione individuate si fondano sull’osservazione che l’intelligenza artificiale e la scienza dei dati potrebbero essere un potentissimo strumento per generare sviluppo sostenibile e per ridurre le disuguaglianze, ma allo stesso tempo stanno diventando, nei fatti, un loro moltiplicatore esponenziale: questo leit motiv rappresenta una discontinuità rispetto al focus di altri documenti analoghi.
Come imporre l’agenda tecnologica e scientifica in modo che la riduzione delle disuguaglianze e lo sviluppo sostenibile diventino obiettivi nazionali e internazionali, in un contesto di profonda competizione dominato dai grandi player americani e cinesi, che si sono mostrati più interessati a profitto e controllo che a obiettivi di maggior valore sociale?
Un modello europeo con l’Italia da apripista richiede un cambio di passo, sia negli investimenti economici e infrastrutturali, che nella mentalità politica: l’agenda della ricerca scientifica in intelligenza artificiale tende ad essere guidata dai big player, con grandi centri di ricerca e scienziati di primo piano a livello mondiale e stipendi molto più alti delle università e dei centri di ricerca pubblici.
Un’azione efficace non può prescindere dal potenziamento delle università, che sono il cuore pulsante non solo della ricerca scientifica, ma anche della formazione superiore. Infatti, la RenAIssance declamata nel piano strategico, richiede una maggiore consapevolezza a tutti i livelli.
La RenAIssance italiana: cos’è l’Istituto Italiano di Intelligenza Artificiale
Nel piano strategico presentato dal Ministero dello Sviluppo Economico si pensa a un grande Istituto Italiano di Intelligenza Artificiale, con una sede centrale e diverse sedi periferiche, coordinate con le università in una rete sul modello del Max Planck Institute tedesco o dell’INRIA francese. Questo istituto dovrebbe fare da raccordo con il mondo dell’impresa e la rete dei Digital Innovation Hub per coordinare la ricerca di eccellenza sull’Intelligenza Artificiale con un efficace trasferimento tecnologico.
Un’idea meritevole, che potrebbe attrarre talenti e concentrare risorse, nonché creare una solida rete con le università e distribuire gli effetti positivi su tutto il territorio nazionale. Ma è un’idea che richiede un grande investimento: attrarre talenti è difficile, servono stipendi e risorse per la ricerca competitivi nonché un sistema che premi i risultati. Diversamente, è prevedibile che i talenti preferiscano andare al DeepMind di Google. Per realizzare l’investimento necessario servono sicuramente finanziamenti pubblici ma anche un coinvolgimento attivo del privato, con la grande industria a fare da traino per aggregare la potenzialità delle PMI. E serve una regia pubblica, per garantire il perseguimento di quegli obiettivi di equità e sostenibilità che il mercato lasciato a sé stesso non è in grado di darsi.
AI e pandemia: chi controlla i dati? Le “sette sorelle del web” e il ruolo marginale dell’Europa
La crisi pandemica sta dando un forte impulso alla diffusione di nuove tecnologie di informazione e controllo e alla produzione e all’utilizzo massivo di dati, anche come conseguenza delle pratiche di distanziamento che hanno portato molte persone a lavorare, studiare, comunicare, acquistare beni e servizi attraverso le piattaforme digitali. Tuttavia, è ancora debole il dibattito pubblico relativo alla direzione in cui sta andando questa trasformazione della nostra società.
Eppure, come suggerisce l’economista e studioso di disuguaglianze sociali Anthony Atkinson, la direzione del cambiamento tecnologico dovrebbe essere una preoccupazione esplicita delle politiche. Queste dovrebbero incoraggiare l’innovazione in una forma che accresca l’occupabilità dei lavoratori e valorizzi la dimensione umana della fornitura di servizi. In qualche modo, perciò, le democrazie dovrebbero esercitare un controllo sulla direzione del cambiamento tecnologico, utilizzando il potenziale di innovazione per accrescere la giustizia sociale e redistribuire il potere tra i cittadini.
Ma sta andando così? Chi controlla oggi i dati? Chi decide quali problemi deve risolvere l’intelligenza artificiale? Chi ha accesso al patrimonio di dati sempre più grande e prodotto collettivamente? Qualcuno se ne appropria e si avvantaggia?
Siamo di fronte a importanti biforcazioni nell’utilizzo dei dati e nell’applicazione dell’intelligenza artificiale, come argomenta un gruppo di ricercatori che si riunisce attorno al Forum Disuguaglianze e Diversità: le scelte che faremo in questi mesi avranno ripercussioni importanti sulla direzione del cambiamento, tra un utilizzo della tecnologia che accresce oppure riduce la giustizia sociale e il buon funzionamento delle democrazie.
La tendenza dominante sembra essere diretta a un ulteriore accentramento del potere e della ricchezza. Già oggi, infatti, un numero esiguo di grandi gruppi privati detiene il monopolio e il controllo su una enorme mole di dati e di tecnologie per il loro utilizzo. Negli anni recenti, la politica non ha promosso rilevanti forme di regolazione e non ha investito di una missione strategica i centri di ricerca e le imprese di Stato: i centri di ricerca forse troppo deboli finanziariamente per imprimere una agenda sul cambiamento tecnologico; le imprese di Stato troppo indipendenti nell’individuare la propria missione, pur avendo un potere di mercato sufficiente per poter essere incisive su questo fronte. Le imprese che formano l’oligopolio dei dati e della ricerca e innovazione nell’intelligenza artificiale ne traggono altissimi profitti e sono oggi in grado di esercitare, facendo leva sulla asimmetria di potere rispetto a centri di ricerca e imprese pubbliche, una smisurata influenza sulle nostre preferenze di mercato e politiche. Non a caso, le sette imprese più grandi, note anche come le “sette sorelle del web“, sono le aziende con la maggiore capitalizzazione di mercato al mondo. E sono tutte o americane o cinesi: una dimostrazione del ruolo marginale dell’Europa in questo campo.
La RenAIssance italiana: perché è indispensabile la formazione universitaria
Per la RenAIssance italiana, serve una trasformazione accademica che porti l’università ad offrire sia una formazione trasversale su questi temi, sia una formazione specifica con nuovi corsi di laurea dedicati. Una formazione rivolta sia a studenti che a docenti delle scuole.
L’Università di Trieste ha dedicato all’IA un percorso di laurea di 5 anni: è attivo dal 2020 un nuovo corso di laurea triennale in “Intelligenza Artificiale e Data Analytics” che completa la laurea magistrale interateneo in “Data Science and Scientific Computing“, già esistente da qualche anno. È inoltre in progettazione un nuovo dottorato di ricerca interdisciplinare che comprenda competenze scientifiche, tecnologiche e umanistiche.
Ma un’azione di potenziamento delle università, che formi tecnici e scienziati competenti e consapevoli, non può essere lasciata alla buona volontà dei singoli atenei: sia perché alcune realtà accademiche sono caratterizzate da un sistema decisionale interno farraginoso e tendenzialmente conservatore, sia perché la sofferenza causata da anni di tagli di bilancio e di conseguenti riduzioni di organico si tramuta inevitabilmente in politiche di personale sul modello “tappabuchi”.
Serve anche in questo caso un intervento mirato e finalizzato del Governo: fondi straordinari per il reclutamento di docenti e ricercatori in ambito intelligenza artificiale a 360 gradi, ovvero non solo scienziati e ingegneri, ma anche umanisti. Un intervento che dia agli atenei le energie e le risorse per adempiere appieno alla missione di volano educativo e scientifico della RenAIssance, in modo sinergico con impresa e pubblica amministrazione.
Come dice un antico proverbio cinese, ogni crisi nasconde un’opportunità: la strategia di utilizzo delle risorse del Recovery Fund può darci le risorse per implementare politiche di sviluppo in intelligenza artificiale mirate ed efficaci e realizzare davvero la RenAIssance, a patto che nella sua definizione siano mobilitate le conoscenze che risiedono nelle università, nei centri di ricerca e nelle imprese pubbliche, venga riconosciuto loro un ruolo centrale nella riacquisizione del controllo sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale e venga definita una chiara missione attorno alla quale fare convergere tutti gli sforzi.