Il commento

Renzi ha perso (anche) perché non ha capito come manipolare la rete

Come dimostra l’esito del referendum, il mondo della politica è lontano anni luce dall’aver capito come usare la rete per tenere sotto controllo la volontà popolare. A differenza del mondo del business. Ma in politica ora la creazione del consenso è affidata a catene di S. Antonio digitali, luoghi comuni e disinformazione organizzata

Pubblicato il 05 Dic 2016

Andrea Monti

Avvocato specializzato IT

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The conscious and intelligent manipulation of the organized habits and opinions of the masses is an important element in democratic society.Ma prima di Edward Bernays (che in questo modo apriva il suo famoso libro intitolato “Propaganda”, pubblicato nel 1928) e di Noam Chomsky, già Nerone aveva capito la necessità di manipolare il consenso popolare tramite i “mezzi di distrazione di massa”.

Per decenni – secoli – le classi dominanti hanno gestito il consenso popolare in termini sostanzialmente monodirezionali, controllando dall’alto le informazioni che venivano diffuse e la capacità della cittadinanza di valutarle e comprenderle. Non è un caso, infatti, che nei regimi dittatoriali e teocratici fosse (e sia tuttora) vietato lo sviluppo dello spirito critico, e in quelli democratici fosse (e sia tuttora) impostatata in modo invisibile l’agenda del dibattito, la prop-agenda di cui parla Noam Chomsky, creando la percezione di una falsa libertà di pensiero e di parola: dite quelle che volete, ma sugli argomenti che noi abbiamo scelto per voi.

Poi è arrivata l’internet, con le sue mailing-list, i forum, le chat e i gestori della credulità popolare si sono trovati di fronte a uno strumento sostanzialmente incontrollabile, un materiale radioattivo a malapena “tenuto buono” da campi magnetici e barre di controllo.

Ma per loro fortuna, dopo qualche anno, è arrivato il web a frenare l’ondata di interattività provocata dalla diffusione della rete al di fuori del ristretto circolo di smanettoni che la hanno costruita. E si è messo in moto il meccanismo di “televisionizzare” l’internet. Come scriveva già nel 2000 Giancarlo Livraghi a proposito della prima edizione de Il Grande Fratello, … Il potere televisivo conferma la sua invincibilità. Si è dimostrato, ancora una volta, come una persona “qualunque” possa essere trasformata in una star. Questo è anche un modo per “calmierare” il mercato del divismo. «Abbassa le pretese, ragazza mia, perché di “stelle” come te ne posso fabbricare a dozzine».

E l’internet? Un servizievole strumento per mettere a disposizione quelle parti dell’interminabile vicenda che non trovano posto nelle molte ore di televisione dedicate all’argomento. Naturalmente, poiché si è riusciti a trascinare nel vortice del nulla un numero rilevante di persone, anche gli accessi online registrano “indici” elevati. Si sente un gran sospiro di sollievo. Finalmente, pensano, abbiamo capito. L’internet è un sottoscala della televisione.

Ci riusciranno? Probabilmente. Solo che quella non è l’internet. È un recinto addomesticato, dove dar da mangiare gli avanzi a chi non si accontenta di ciò che le emittenti servono in tavola. Un po’ come quel riciclaggio alimentare da cui nascono le “mucche pazze”.

Ma nell’incessante oscillazione del pendolo sociologico, all’era del “teleweb” è seguita quella del “socialweb”, dove la “gente” è tornata a comunicare interattivamente, ubriacandosi di celebrità fatta di “like” e “+1” su notizie e contenuti spesso ad altissimo tasso di improbabilità.

Il mondo del business già sa come controllare questo enorme flusso irrazionale di coscienza che ogni giorno attraversa la rete: dalla manipolazione dei risultati di un motore di ricerca, all’indicazione di questo o quel soggetto con il quale “doversi” relazionare, e fino alla veicolazione differenziata di prodotti (e relativi prezzi) in funzione della profilazione.

Come dimostra l’esito del referendum, invece, il mondo della politica è lontano anni luce dall’aver capito come usare la rete per tenere sotto controllo la volontà popolare. L’esito della consultazione, infatti, è stato largamente influenzato dall’ignoranza degli elettori, vittime da un lato di complesse e incomprensibili spiegazioni da parte degli “esperti”, e dall’altro di supersemplificazioni di altrettanto difficile comprensione.

Fra questi due estremi si sono inseriti molteplici stadi intermedi fatti di bufale, affermazioni sbagliate e ignoranza. Nonostante capire i termini del quesito referendario richiedesse poco più del vecchio programma di educazione civica delle scuole elementari e medie, la realtà è che pochi elettori hanno realmente compreso le tecnicalità giuridica e la maggioranza, in entrambi gli schieramenti, ha votato sulla base di presupposti diversi dall’avere una posizione razionale e informata.

A differenza di quanto sarebbe accaduto senza l’internet, questi rivoli di inconsapevolezza sono affluiti in un unico, enorme fiume di incoscienza e hanno alimentato una piena di irrazionalità che ha travolto tutto e tutti.

Per la terza volta, dopo la Brexit e dopo l’elezione del nuovo presidente USA – a dimostrazione che il problema è globale, come la rete – il “gesundes volksempfinden “, il “sano spirito del popolo” ha dimostrato di non ubbidire agli esorcismi dei sacerdoti del tempio: il genio è oramai scappato dalla lampada.

Questa condizione è realmente problematica per i “padroni del vapore” che, da un lato, si sono avvantaggiati dal rimbecillimento sistematico degli individui, ma che – da quando il rimbecillimento è diventato collettivo e digitale – non riescono più a tenere a bada la “gente”. La mandria è diventata uno stampede.

Se i politici non sono più i mediatori culturali fra l’azione pubblica e la formazione del consenso, e se la creazione del consenso è affidata a catene di S. Antonio digitali, luoghi comuni e disinformazione organizzata, è evidente che il controllo sociale deve utilizzare logiche diverse per calmare lo stampede e riportare il “popolo bue” nella placida calma del pascolo.

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