reputation management

Reputazione online, come difenderla? Guida pratica per aziende e professionisti

Ci vuole un attimo per imbattersi in una crisi reputazionale online e le conseguenze posso essere disastrose. Come prevenirlo? Innanzitutto, bisogna conoscere i rischi in cui ci si potrebbe imbattere e gli strumenti con cui gestire la web reputation. Ecco quali sono

Pubblicato il 08 Giu 2022

Alessandro Vercellotti

Avvocato del Digitale, Founder Partner dello studio Legal for Digital

web reputation

Oggi, tutte le aziende sono presenti sul web, che lo vogliano o no: se non è il proprietario a parlare della propria azienda, lo faranno i clienti o fornitori. Ma se non è il proprietario di un brand a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per tutelare la web reputation dell’azienda, per certo non potrà farlo nessun altro.

Web reputation: come gestire un passo falso sui social media

Ad esempio, basta taggarsi in un luogo su Instagram per creare l’account di quel posto. Pensiamo poi a Google My business, oggi Profilo dell’attività su Google: la scheda è creata da Google e se non viene rivendicata saranno gli utenti della rete a gestirne le informazioni.

La prima regola per difendere la propria reputazione online è quindi essere presenti attivamente così da essere in grado di decidere e controllare ciò che viene detto sulla propria azienda.

Ricordiamo inoltre che uno degli aspetti più pericolosi del web è la viralità dei contenuti che in pochi secondi possono fare il giro del mondo: una volta che ci si imbatte in una crisi reputazionale, le conseguenze possono essere disastrose.

Rischi per la web reputation

Gli strumenti che si possono utilizzare per diffondere un’immagine negativa del brand sono numerosi. Suddividiamoli per canali:

  • Siti che diffondono notizie fake: oltre ai comuni strumento di diffusione delle notizie, che a volte non seguono le dovute regole di verifica della veridicità delle news, esistono testate giornalistiche false, siti di bufale per ogni settore da quello politico a quello medico. Ma il lato più pericoloso delle fake news è la condivisione e la diffusione a macchia d’olio sui social.
  • Social network:
    • Il cosiddetto User Generated Content è un’arma a doppio taglio. I nostri simili ci condizionano tantissimo, nel bene e nel male.
    • Sempre sui social c’è il rischio di diffamazione aggravata. Il reato può essere commesso anche con un commento a un post. Affinché si integri la fattispecie di reato è necessario che si presentino 3 requisiti: la non veridicità del fatto, la forza offensiva del linguaggio, la consapevolezza di comunicare con più persone.
  • Sito web:
    • Back-link spam: sappiamo che un numero elevato di back-link spam può abbassare l’autorevolezza del sito di cui siamo proprietari.
    • Domain grabbing: *acquisto di domini con nome simile al nostro per creare confusione nel consumatore. È uno strumento di ricatto, ma di per sé non è un’attività illecita. Però mette in pericolo la reputazione aziendale.
    • Domain squatting: l’attività è illecita perché vengono acquistati domini con lo stesso nome di un marchio registrato.
  • Recensioni: possono essere sui social, su GMB, siti appositi come Trustopilot. Ma anche Booking, Tripadvisor sono piattaforme che stimolano la recensione dell’attività. Al contrario di ciò che si può pensare, le recensioni sono disciplinate dalla legge che vieta alle attività di condizionarne i contenuti, attraverso magari la promessa di un bonus, ma impone anche di non manipolarle. Sebbene ci siano delle regole anche a carico dei consumatori, che non possono utilizzare toni aggressivi o offensivi, di fatto quando questo tipo di recensioni è online, l’azienda può fare ben poco per eliminarle, anche se sono ingiuste.

Monitoraggio della reputazione online

Vista l’estensione delle minacce che troviamo sul web, è opportuno prima di tutto svolgere un’attività di monitoraggio, che possiamo fare noi stessi oppure delegare a terzi.

Sovrapposizione di identità: cos’è e come danneggia la reputazione aziendale

Esistono strumenti appositi gratuiti o a pagamento:

  • Google Alerts: strumento free che ti manda un alert quando vengono citati i termini che hai settato sullo strumento;
  • Mention: utilizza la stessa tecnica, ed è freemium;
  • TalkWalker, FanpageKarma, sono tool a pagamento di social listening;
  • Majestic per monitorare i back-link che arrivano al nostro sito.

Tutti questi strumenti permettono di monitorare ciò che si dice di noi sul web, di capire come ci percepisce il nostro target e i bisogni che ha. Quindi rappresentano anche uno strumento molto utile per impostare la strategia di comunicazione.

Reputation management

Una volta chiarito che la web reputation non si tutela cancellando i propri account dal web, allora vanno trovati quegli strumenti che ci permettono di gestire come vogliamo apparire al nostro target.

In cosa consiste il reputation management?

L’online Reputation Management è una sottocategoria delle Digital PR. È una vera e propria strategia di comunicazione attraverso la quale si monitora e si decide ciò che vogliamo che gli altri pensino di noi.

Si compone di 3 fasi:

  • Monitoring: controllare ciò che si dice online del brand
  • Cleaning: eliminare dove possibile le informazioni lesive della brand reputation
  • Improving: effettuare una scelta strategica messa in atto attraverso specifiche campagne di marketing da affidare a professionisti del settore.

Strumenti per la gestione della web reputation: la social media policy

Se si ha un’impresa bisogna pensare anche a disciplinare il comportamento di dipendenti, fornitori e collaboratori esterni affinché non danneggino la reputazione della tua azienda attraverso la comunicazione sul web.

Giuridicamente la social media policy è un regolamento interno ad un’azienda che, dal momento in cui viene firmato, vale come tutte le altre regole aziendali.

È quindi un contratto con delle regole la cui infrazione comporta l’erogazione di sanzioni disciplinari.

Si distingue una social media policy interna e una social media policy esterna: la prima è rivolta a dipendenti, fornitori e collaboratori che utilizzano i canali social personali e che s’interfacciano con i canali del brand. Mentre la social media policy esterna riguarda il social media management, cioè coloro che sono addetti a gestire la comunicazione dell’impresa sul web.

Le social media policy per essere efficaci devono essere veicolate attraverso l’educazione all’uso del web, non attraverso l’imposizione. Quando il messaggio è veicolato in modo corretto, le social media policy possono essere uno strumento di promozione dell’azienda. Oltre a disciplinare il comportamento degli stakeholder, le social media policy devono anche prevedere il processo da seguire in caso di crisi reputazionale: bisogna prima di tutto stabilire un piano di crisi efficace e aggiornato nel tempo e deve essere definito un referente. A questo soggetto devono essere forniti strumenti adeguati a reagire alla crisi in maniera tempestiva. Insomma, bisogna sempre sapere cosa fare e a chi rivolgersi.

Ma la cosa migliore è la prevenzione, attraverso la sensibilizzazione e educazione di tutti gli stakeholder, che sono coloro che davvero possono guidare la brand reputation.

Esercizio del diritto all’oblio

Se proprio una crisi reputazionale legata ad un soggetto apicale dell’azienda non si è potuta evitare, si può ricorrere all’esercizio del diritto all’oblio, oggi riconosciuto dal GDPR, che disciplina le ipotesi in cui può essere esercitato.

Nella pratica però lo strumento è lento e poco efficace, a volte interpretato in maniera restrittiva dalla stessa giurisprudenza.

Prima di tutto bisogna attendere che la notizia che ha portato alla crisi reputazionale, cessi di aver rilevanza ai fini del diritto d’informazione. Ma soprattutto questo diritto è legato al diritto alla privacy della persona fisica. La reputazione digitale dell’azienda trae beneficio dall’esito positivo del diritto all’oblio, solo nel momento in cui la web reputation personale incide su quella del brand.

Reputazione del brand, ecco le regole d’oro per sostenerla (ed evitare disastri)

Conclusioni

La cosa migliore da fare è non prendere sottogamba la questione della brand reputation. Spesso una crisi reputazionale è legata alla poca conoscenza dei valori del proprio target di riferimento.

Se si è un libero professionista bisogna curare sempre la comunicazione, chiarire i propri valori e non perdere di vista i canali in cui si è presenti. Quante volte apriamo un account sui social e poi lo abbandoniamo perché non siamo in grado di studiare una strategia di comunicazione ad hoc?

Se si ha un’azienda anche di piccole dimensioni, non bisogna trascurare di educare i dipendenti e collaboratori in merito a ciò che si vuole emerga e non emerga del brand all’esterno. Ricorda che per il pubblico l’azienda si identifica con le persone che ne fanno parte.

Più l’azienda ha dimensioni importanti, più è necessario avvalersi di collaboratori specializzati in reputation management, e di strumenti come le social media policy.

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