La Corte Suprema australiana ha stabilito che gli editori che postano contenuti su Facebook siano responsabili dei commenti degli utenti in calce agli articoli.
Il Supremo Collegio del continente Australe lo ha deciso in relazione ad alcuni media australiani che avevano presentato ricorso contro una sentenza del giugno 2020 del tribunale d’appello del Nuovo Galles del Sud. La Corte di merito aveva condannato diverse testate a risarcire un giovane per diffamazione.
La sentenza ha dato corso ad una ridda di commenti preoccupati che però, almeno per quanto riguarda la situazione italiana, paiono infondati.
Responsabilità editori per commenti degli utenti, la questione in Italia
In Italia si è scelto un approdo giurisprudenziale diverso in quanto per i commenti ed i post inviati e postati dai lettori, per i quali è difficoltoso un controllo preventivo da parte del direttore (così nella sentenza Cass., Sez. V, 28 ottobre 2011, Humaui) e per i quali non si potrebbe contestare al direttore una responsabilità ex art. 57 c.p. per omesso controllo successivo, ove la norma punisce solo l’omesso controllo preventivo.
Contenuti illeciti, responsabilità di social network e provider: tutto ciò che c’è da sapere
In altre parole il direttore della testata online potrebbe rispondere ex post solo a titolo di concorso nel reato di diffamazione, qualora sollecitato ad intervenire in relazione ad un post o un commento ritenuto diffamatorio ritenga di ignorare la diffamatorietà del commento, sussistendone i requisiti di legge.
Il gestore del social network è un editore?
Tutto bene quindi?
Non proprio. Il problema risiede infatti nella figura del terzo che gestisce la piattaforma.
Sembra una tautologia ma il principio immanente alla responsabilità da omesso controllo (ma anche da diffamazione ex post) è che vi sia una piena possibilità di intervenire sui contenuti.
Se però tale controllo è mediato dal gestore della piattaforma che può esercitare a propria volta un controllo, allora non è più pensabile ritenere l’editore responsabile in via esclusiva, nemmeno quando sussistano i presupposti per un concorso nel reato, ma si dovrebbe ipotizzare un responsabilità editoriale anche per il gestore della piattaforma che interviene (o, al contrario, rimane inerte) sui contenuti.
Pensiamo ad esempio ai casi nei quali si scateni uno “shit bombing” su una pagina di Facebook e la piattaforma consenta al titolare della pagina di sospendere o cancellare la pagina ma non di eliminare i commenti di odio o addirittura diffamatori.
I contenuti rimarranno visibili a tutti e il titolare della pagina non potrà più esercitare il controllo sui quei contenuti.
La responsabilità editoriale dei social network
I social network, e ancor più i motori di ricerca, si comportano quindi, in tutto e per tutto, come editori. Però sono esenti – a mio avviso del tutto illegittimamente – da responsabilità editoriale.
Il Communications and Decency Act e la mancata responsabilità editoriale dei social network
In verità qualcosa è sembrato muoversi lo scorso anno in merito ad una possibile responsabilità editoriale delle piattaforme
Negli Stati Uniti nel 2020, poche ore dall’annuncio – seguito alla decisione di Twitter di segnalare due tweet di Trump contenenti fake news sul voto per corrispondenza – la Casa Bianca aveva infatti firmato un ordine esecutivo che modificava la sezione 230 del Communications Decency Act, una norma del 1996 che garantisce ampia immunità dalle cause civili per ciò che gli utenti pubblicano su internet, perché a livello giurisprudenziale i siti vengono considerati “piattaforme” e non “editori” e dunque esentati dalle responsabilità sui contenuti.
La strada per responsabilizzare le piattaforme sembrava essere quella, anche perché gli intermediari si richiamano in ogni controversia civile come penale, alla legge degli Stati Uniti.
A maggio di quest’anno però il nuovo Presidente Biden ha revocato l’ordine esecutivo di Trump che mirava a ridimensionare le protezioni legali dei social media, ripristinando la Section 230, e, dunque, le piattaforme di social network saranno nuovamente protette da azioni che le ritengono responsabili dei loro contenuti.