Fisici, matematici, chimici, biologi, e ricercatori in generale raccolgono dati, li analizzano, scavano al loro interno per poter ottenere delle informazioni su processi fisici, chimici o biologici. Questa analisi avviene attraverso strumenti tecnologici, come un microscopio per un biologo o un telescopio per un astrofisico, e a questo si aggiungono computer sempre più potenti per analizzare i dati raccolti, anche attraverso la realizzazione di modelli e simulazioni per riprodurre i dati sperimentali. Ma una volta che tutto questo è avvenuto, come si espleta la comunicazione di questi risultati? Come un risultato scientifico viene fornito al resto della comunità scientifica e al grande pubblico? Come viene vagliato e testato? Come tale risultato scientifico assume sempre più validità col tempo o viene confutato da dati successivi?
Uno dei passi che i ricercatori devono intraprendere consiste nella scrittura di articoli scientifici, da sottoporre a riviste specializzate. La pubblicazione verrà condivisa con la comunità scientifica che lo vaglierà ulteriormente nel corso degli anni. Immedesimiamoci in un ricercatore e capiamo come questo processo si sviluppa.
Scrittura di un articolo scientifico
Dopo aver prodotto i propri risultati, e aver realizzato che tali risultati meritano una pubblicazione il ricercatore o un gruppo di ricercatori iniziano a scrivere l’articolo. In alcuni campi scientifici si usano programmi di scrittura semplici e mainstream come Microsoft Word, che fa parte dei cosiddetti editor testuali grafici. Ma per gran parte dei ricercatori la scrittura di un articolo avviene attraverso un sistema di scrittura chiamato LaTeX (la X è una chi greca, la pronuncia è Latec), un linguaggio detto di marcatura, una specie di linguaggio di programmazione, che permette una qualità grafica e di impaginazione migliore degli editor testuali grafici, simile a quella che si ha in libri pubblicati dalle case editrici. L’articolo conterrà la descrizione dei dati sperimentali e/o delle formule teoriche e/o delle simulazioni che sono stati analizzati per arrivare a delle conclusioni, i metodi usati, tabelle e figure. L’articolo consiste di un titolo, lista di autori con relative affiliazioni, abstract, testo composto da varie sezioni, conclusioni e bibliografia, ed eventuali appendici. Può essere composto da poche pagine (4-5), ma anche molte di più. Nell’articolo si devono dimostrare tutti i fatti che si affermano o attraverso un’analisi diretta o facendo riferimento a pubblicazioni precedenti che hanno confutato o provato una certa affermazione.
Le riviste: comitato editoriale, editor e assistenti
In ogni specifico campo saranno disponibili una serie di riviste, nazionali o internazionali, che verranno scelte per ottenere la pubblicazione del proprio articolo. In astrofisica, oltre alle multidisciplinari Science e Nature, tra le più importanti meritano di essere menzionate Astrophysical Journal, Astronomy & Astrophysics, e Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. La rivista, come nel caso di qualsiasi altro giornale, sarà gestita da una sorta di redazione (editorial board), composta da varie figure. La carica più alta è l’editor in-chief, è il direttore responsabile delle pubblicazioni e gestisce tutto il processo di pubblicazione. Seguono gli Associate editor, comunemente chiamati semplicemente editor, o anche curatori, che sono l’interfaccia tra gli autori che sottopongono i propri lavori e la rivista, e gestiscono i singoli manoscritti inviati dagli autori. Gli editori sono scienziati del campo del quale si occupa quella rivista, che dedicano una piccola frazione della propria attività lavorativa a questo specifico compito, ed è un ruolo che riesci a raggiungere in base al tuo curriculum. Essere editor di una rivista è sicuramente un obiettivo di qualsiasi ricercatore, e un riconoscimento del proprio lavoro.
Peer-review alla prova Covid, così cambia l’informazione scientifica
A uno specifico manoscritto verrà assegnato uno specifico editor, che abbia competenze nello specifico campo scientifico di quel manoscritto. In base al tema dell’articolo, l’editor cercherà uno o più esperti in quel campo ai quali inviarlo, e chiederà il loro parere sullo stesso: questi sono i referee o reviewer, i revisori del manoscritto. Gli editor verranno poi coadiuvati dai cosiddetti Assistant editor, che hanno spesso il compito di interfacciarsi direttamente con gli autori, scambiarsi con questi delle email, occuparsi della gestione di ogni manoscritto. Avremo poi i Language editor, che forniranno supporto in una fase successiva del processo di pubblicazione, e non più sulla parte scientifica (quello viene fatto da referee e editor), ma sull’uso corretto della lingua nella quale si sta scrivendo l’articolo (la lingua usata internazionalmente è l’inglese) e il rispetto delle regole e dei formati utilizzati nelle pubblicazioni di quella rivista scientifica. Ci sarà poi chi dovrà gestire il sito della rivista, e chi ancora si occuperà delle fasi finali di pubblicazione sia per quanto riguarda il relativo formato online, sia per il formato cartaceo.
Il processo di submission è ormai tutto digitale
Prima dell’avvento di internet, come ogni altro giornale o rivista, queste riviste potevano essere raggiunte solo tramite posta fisica, telefono o fax. Un tempo sottoporre un articolo ad una rivista era senz’altro molto più complicato di oggi, e non poteva che avvenire attraverso l’uso della posta tradizionale. Ma con l’avvento di internet il processo di valutazione e pubblicazione di un articolo si è velocizzato e facilitato enormemente. Negli ultimi 30 anni il processo è migliorato moltissimo. Se nella metà degli anni 2000 (quando ho cominciato a fare ricerca, durante il mio dottorato di ricerca) bisognava ancora inviare i manoscritti con il protocollo FTP (file transfer protocol), collegandosi al proprio terminal di Linux e inviare il proprio manoscritto, da molti anni basta accedere al sito della rivista e tutte le procedure possono essere effettuate nel proprio account. All’interno di questi account, si potrà gestire sia il corso degli articoli inviati alla rivista e sottoposti al processo di revisione, sia quelli che si ricevono in qualità di referee. Quando sottoponiamo un articolo, nel nostro account dovremo compilare dei campi specifici, inserendo il titolo, l’abstract, gli autori e altre informazioni richieste. E poi si effettuerà l’upload sia del manoscritto in formato pdf, sia dell’archivio contenente tutti i file che serviranno nella fase successiva per l’editing dell’articolo, ad esempio a carico del language editor. Facendo un uso improprio dell’inglese, utilizziamo il verbo sottomettere l’articolo, dall’inglese submit the paper. Infatti, dopo aver compilato tutti i campi, e allegato i vari file, si clicca sul tasto submit, e si attenderà che l’articolo venga assegnato ad 1 o più referee, aspettando la risposta nel giro di 3-4 settimane.
Per pubblicare su alcune riviste bisognerà pagare qualche migliaio di euro, mentre in altre la pubblicazione sarà gratis. Ovviamente in entrambi i casi, le riviste contano sul guadagno degli abbonamenti che le varie istituzioni universitarie o di ricerca effettuano, per poter accedere agli articoli online e per poter ricevere la versione cartacea dei volumi della rivista da mettere nelle proprie biblioteche. L’avvento del mondo digitale e della possibilità di poter scaricare gli articoli per poi stamparli ha reso sempre più obsoleto l’abbonamento al cartaceo.
La peer review
Il processo di revisione dell’articolo ad opera di altri esperti in quel campo viene detto revisione paritaria (o peer review). Attraverso questo processo, il proprio articolo verrà letto e analizzato da propri pari, e cioè altri ricercatori esperti in quel campo, che dovranno valutare la pubblicazione dal punto di vista scientifico e tecnico, ma anche dal punto di vista della scrittura. Tipicamente la prima interazione con gli autori avviene dopo 3-4 settimane dalla ricezione dell’articolo. Il referee trasmetterà un giudizio e dei commenti sull’articolo alla rivista, che li inoltrerà, tramite l’assistant editor o l’associate editor, agli autori. Il referee potrà rigettare, accettare l’articolo, o chiedere agli autori di effettuare delle revisioni.
Un processo simile avviene in astronomia quando si chiede del tempo per osservare ad un telescopio, si invia quello che viene detto proposal, nel quale si descrive l’obiettivo scientifico che si vuole raggiungere con quelle osservazioni. Il proposal verrà sottoposto al giudizio di colleghi esperti in quel campo di ricerca.
Ritornando al nostro articolo. Dopo varie interazioni, quando il referee sarà soddisfatto, l’articolo verrà accettato per la pubblicazione. In realtà poi l’articolo passerà nelle mani del language editor, gli autori riceveranno le cosiddette proof, una versione dell’articolo condivisa tra la rivista (il production team) e gli autori, che viene utilizzata per la messa a punto dell’impaginazione, per il controllo del testo, per effettuare residue correzioni, ecc. ecc. Dopo questa fase l’articolo verrà definitivamente pubblicato.
Riviste predatorie
Le riviste delle quali ho discusso vengono anche dette peer-reviewed, per sottolineare il fatto che utilizzano questo particolare processo di revisione. Esistono poi delle riviste dove la revisione tra pari non avviene o avviene in maniera rozza. Queste vengono dette riviste predatorie, perché effettuano uno spamming aggressivo e pubblicano qualsiasi materiale, senza un vero processo di revisione (leggi di più qui). Può accadere che tra l’invio del manoscritto alla sua pubblicazione passino pochi giorni. Queste riviste pongono la quantità davanti alla qualità, quest’ultima totalmente assente.
Anonimato e principio di autorità
Uno dei fondamenti della revisione tra pari risiede nella considerazione che un lavoro sull’evoluzione delle galassie potrà essere giudicato al meglio da qualcuno che si occupa di galassie, e non da un esperto di genoma umano, e viceversa. In genere il referee resta anonimo, a meno che non voglia che venga rivelato il suo nome. L’anonimato ha dei vantaggi. Permette al referee di non avere condizionamenti (o comunque di averne meno) quando si trova a giudicare un articolo di qualcuno di importante o di rilevante per la propria carriera. Il processo di peer review non è avulso da errori o difetti, ma è sicuramente un approccio che nella vita quotidiana o in altri settori, come ad esempio la politica, non avviene. In questo processo si cerca anche di evitare di incorrere nel cosiddetto principio di autorità, e cioè quel principio secondo il quale si accettano affermazioni di qualcuno o scritte da qualche parte, semplicemente perché quel qualcuno o quel qualche parte vengono riconosciuti come autorità, senza possibilità di critica. Ad esempio, ci troviamo di fronte ad un principio di autorità quando si fa riferimento ad una sacra scrittura, o quando qualcuno esperto in un campo ti dice qualcosa e tu gli credi solo perché è riconosciuto come autorità. Sebbene sia ragionevole credere ad un astrofisico che parla di stelle e un virologo che parla di virus, e non ad un post scritto da qualcuno su Facebook o Twitter, nella scienza non deve valere il principio di autorità. E cioè non dobbiamo credere a quello che dice un premio Nobel, solo perché insignito di quel premio. Non dobbiamo credere ad un professore semplicemente perché ha quella carica, a meno che queste affermazioni vengano documentate e motivate con dati, fatti e risultati. Le proprie affermazioni vanno corroborate da numeri, da dati, da fonti, ed è quanto si cerca di perseguire attraverso tutto il processo di peer review, e attraverso il vaglio della comunità scientifica.
La condivisione con la comunità
Spesso l’articolo viene condiviso con il resto della comunità prima che il processo di referaggio sia terminato, prima della reale pubblicazione sulla rivista. E questo viene fatto perché i ricercatori presentano i propri risultati (sia già pubblicati, sia in corso d’opera) a conferenze nazionali ed internazionali. Ma questa condivisione avviene anche caricando il proprio articolo su apposite risorse online. In genere gli astrofisici e altri ricercatori caricano i propri articoli su Arxiv.org, dove possono condividerli con tutta la comunità. E ogni mattina, ogni buon ricercatore dovrebbe dare uno sguardo ai nuovi articoli inseriti giorno per giorno dalla comunità di ricercatori che lavorano nel suo campo. Attraverso questo archivio e anche quando l’articolo avrà superato la procedura di peer review, quei risultati descritti nell’articolo verranno costantemente sottoposti alla visione del resto della comunità, che li vaglierà, cercherà di confermarli o confutarli, contribuendo al raggiungimento di una verità scientifica su un evento, un fenomeno, un’osservazione.
Fatti e non storielle
La comunicazione della propria ricerca attraverso le pubblicazioni è ovviamente uno dei passi finali di un percorso di ricerca che si basa sul metodo scientifico. Quando si fa ricerca non si raccontano storie, ma si portano fatti, prove, dimostrazioni. E in un articolo si cerca di dimostrare una tesi, interpretare dati, confrontandoli con un modello o con delle simulazioni. E ciò avviene anche fornendo delle fonti. Nel caso degli articoli (scientifici) le fonti sono tipicamente pubblicazioni su riviste internazionali, che vengono menzionate nella propria pubblicazione. Però, sebbene valida e credibile, e già sottoposta al vaglio della peer review, non sempre una singola fonte può bastare, perché vi possono essere dei limiti che non rendono quella fonte utilizzabile nel caso in esame. Per rendere un risultato riconosciuto all’interno della comunità scientifica serviranno ricerche indipendenti che verifichino quello specifico risultato. Quindi, un maggior numero di fonti che dimostrano o confutano un risultato ci aiuteranno a sostenere le nostre affermazioni.
Le fonti e la bibliografia
In un articolo scientifico si parla di riferimenti bibliografici, ai quali ci si riferisce per dare credito a quanto non direttamente dimostrato in quell’articolo che stiamo scrivendo. Diciamo citare una fonte, una referenza o un riferimento bibliografico. In pratica, nella sezione Bibliografia, posta alla fine dell’articolo, inseriamo la lista completa di questi riferimenti: ogni referenza includerà autori, anno di pubblicazione, nome della rivista di pubblicazione, volume e pagina (gli stessi articoli hanno seguito un processo di peer review e sono stati pubblicati su varie riviste). Nel testo il riferimento viene citato utilizzando tipicamente il nome del primo autore, con il latino et alter (et al.) per indicare l’esistenza di altri co-autori, e l’anno di pubblicazione (ad esempio Pincopallino et al. 2020).
Conclusioni
Ricerche e articoli scientifici non vivono in una bolla a sé stante, ma in un contesto più generale all’interno del quale centinaia di ricercatori lavorano su quel tema di ricerca specifico. La ricerca è un lavoro continuo, un palazzo in costante costruzione, che parte dalle fondamenta e si basa su quanto fatto in precedenza. Poi verifica o confuta ancora quello che è stato già fatto, costruendo nuovi piani. Per questo motivo delle fonti accreditate sono una componente importate nella scrittura di un articolo. Dar credito alle proprie affermazioni citando uno studio o le parole di esperti che hanno provato quanto dicono è un passo fondamentale anche quando si discute con gli amici. Un fatto è tale se provato, altrimenti è un sentito dire, una chiacchiera senza valore concreto. Ha valore la credibilità della fonte, all’interno della quale vengono riportati studi e analisi che hanno aggiunto qualcosa alla discussione, che hanno provato quel fatto. Se in una discussione con un amico sto parlando di covid19, sarò più credibile se cito un articolo pubblicato su Lancet, o il pensiero della comunità scientifica, basati su analisi di laboratorio. La mia affermazione perderà senso, invece, se il mio riferimento è un sito che si chiama complottaro.com. È logico che abbiano più credibilità una comunità intera di scienziati rispetto al primo improvvisato che ti racconta quello che vuoi sentire. È più credibile quello che leggi qui, rispetto a quello che leggi su un sito che parla di alieni, fantasmi o catastrofi predette da sedicenti “scienziati”. Se esistono svariate prove sul fatto che la Terra sia un geoide, perché credere a sconosciuti sul web che ti dicono che la Terra è piatta
Come uno scienziato dedica energie e risorse per fare esperimenti, testare delle ipotesi, confrontare vari risultati per raggiungere un obiettivo, e metterle assieme in una pubblicazione, anche nelle discussioni da bar, forse, dovremmo seguire un approccio simile. Bisognerebbe iniziare ad affidarsi solo a fonti chiare, accreditate, riconosciute, condivise da una comunità, da parte di enti e persone ben riconoscibili e individuabili. Un pericolo costante sono le fake news, che in un processo come quello della revisione tra pari o il vaglio di una comunità intera di scienziati, non hanno scampo. Il Dottor Pincopallino della Sacra Università di Acerra non è proprio la fonte più credibile al mondo, non credi?