L'approfondimento

Ridurre i costi dell’economia dell’attenzione con la metacognizione: cosa possono fare le aziende

Oggi è possibile aiutare le aziende a ridurre i costi legati agli effetti negativi dell’economia dell’attenzione, aiutando le persone a non esaurire le proprie energie cognitive e sensibilizzando i più giovani sul fenomeno

Pubblicato il 06 Mar 2023

Francesco Russo

Esperto in economia dell'attenzione

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Per ridurre i costi dell’economia dell’attenzione, entra in gioco la metacognizione, cioè la consapevolezza del sé. Nel 2008 il fenomeno dell’economia dell’attenzione e del capitalismo della sorveglianza erano associati ai concetti di information overload e di multitasking. Ma oggi sappiamo che è possibile ridurre gli effetti negativi di questo fenomeno dalle conseguenze contrastanti. Da un lato, infatti, offre vantaggi economici, dall’altro lato, spesso come contropartita, presenta costi onerosi per le aziende e costi sociali elevati per l’intera società e la nostra qualità di vita.

E’, dunque, arrivato il momento di aiutare le aziende a ridurre i costi dovuti agli effetti negativi dell’economia dell’attenzione, aiutando le persone a non esaurire le proprie energie cognitive e sensibilizzando i più giovani, già a scuola, su questo tema.

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Metacognizione: come ridurre i costi dell’economia dell’attenzione

I ricercatori che si stanno interessando alle tante sfaccettature dell’economia dell’attenzione e alle soluzioni da introdurre per porvi rimedio, riferiscono che la metacognizione, cioè il concentrare i propri pensieri e le proprie emozioni per ottenere un miglioramento del nostro benessere mentale, può dare risultati davvero sorprendenti [1].

La parola metacognizione nasce per distinguere questo processo di consapevolezza da quello che si sviluppa con la meditazione (religiosa o meno) e da quello che si sviluppa attraverso la mindfulness.

La metacognizione è, infatti, alla base della meditazione e della mindfulness, che rappresentano due delle possibili strade per sviluppare la consapevolezza di sé stessi. Oggi è fondamentale coltivare la consapevolezza del sé, perché lo stile di vita che abbiamo adottato porta a giornate vissute in velocità e piene di attività. Giornate condite da una mole enorme di informazioni da gestire. Uno stile di vita che, alla fine della giornata, porta la gran parte di noi a sentire di aver corso tutto il giorno, senza aver concluso poi molto.

Ciò è dipeso dal fatto che quando la nostra mente percepisce che il cervello sta esaurendo le sue energie cognitive adotta una modalità di risparmio energetico, delegando sempre più compiti a quella che ho definito “mente arcaica”.

Questo sarebbe plausibile, se non fosse che i meccanismi automatici di cui l’uomo si è dotato, e che sono alla base della funzionalità della mente arcaica, conosciuti come bias cognitivi, sono stati utili all’essere umano per sopravvivere e divenire la specie dominante, ma oggi costituiscono spesso un ostacolo.

Bias cognitivi

I bias cognitivi sono scorciatoie mentali di cui ogni essere umano è dotato fin dalla nascita. Per esempio, basta immaginare di perdersi in un bosco di notte, mentre la torcia elettrica si spegne all’improvviso. Al minimo rumore il cuore inizia a battere e il pensiero dominante è che un pericolo sia imminente. In poche parole, il nostro primo pensiero non si riferisce all’arrivo dei soccorsi, ma al pericolo che si sta correndo e che induce a fuggire.

L’atteggiamento “negativo” ci ha permesso di sopravvivere di generazione in generazione. Oggi i pericoli che l’umanità corre si sono molto ridotti, dunque quel tipo di processi automatici possono rappresentare più uno svantaggio che un beneficio.

Dobbiamo quindi imparare a controllare i bias cognitivi, per evitare di “agire di istinto”. Per impedire ciò, dobbiamo coltivare la nostra capacità di consapevolezza del sé, cioè la nostra metacognizione.

La tempesta perfetta

Viviamo un momento storico in cui si sono create le condizioni per una tempesta perfetta, come anticipato nell’articolo ibtitolato L’alba dell’economia dell’attenzione. Viviamo velocemente, dobbiamo gestire una quantità di informazioni eccessiva. Siamo perennemente in condizioni di stress, di ansia e quindi di burnout (esaurimento cognitivo). Per questo motivo, la nostra mente cerca di risparmiare più “carburante” possibile, ricorrendo alla “mente arcaica”.

Le aziende che vivono grazie all’economia dell’attenzione sono consapevoli che la “mente arcaica” sfrutta i bias cognitivi. Conoscendoli, progettano i propri servizi per riuscire a catturare l’attenzione delle persone, alimentando quindi quella spirale che le induce ad essere sempre più stanche, stressate, e quindi a divenire perfetti smombies, analfabeti funzionali che vivono con la paura di essere distaccati da internet (FOMO) come veri e propri “drogati”. Condividono in modo frenetico senza pensare (sharenting), parlano con le persone scrivendo messaggi sul cellulare o consultando le notifiche dei social (phubbing).

Il rischio distopia

Per questi motivi molti addetti ai lavori del mondo digitale temono una sorta di distopia causata dal dominio degli smartphone. A porsi per primo questo problema è stato Paul Lewis, nel suo ormai celebre articolo pubblicato sul Guardian [2]. In quell’articolo l’autore ha iniziato a parlare dei cosiddetti “refusenik” cioè di quelle persone che hanno contribuito al successo della Silicon Valley, e che oggi sono allarmate dalla corsa all’attenzione.

Gli eretici dell’economia attenzione

Justin Rosenstein, co-fondatore di Asana, sembra più preoccupato per gli effetti psicologici che hanno gli smartphone sulle persone piuttosto che dell’organizzazione del lavoro in ufficio. Ha modificato il sistema operativo del suo portatile per bloccare Reddit, si è auto bandito da Snapchat (che paragona all’eroina) e si è imposto dei limiti all’uso di Facebook.
Nell’agosto del 2017 il giovane dirigente ha fatto un passo ancora più radicale. Sul suo nuovo iPhone ha fatto impostare da un suo collaboratore una funzione che limita l’installazione delle app [3].

Gli eretici, i “refusenik”, sono raramente fondatori o amministratori delegati dei grandi colossi del mondo digitale. Figure che generalmente sono poco incentivate ad abbandonare il mantra delle aziende che guidano (e cioè che stanno rendendo il mondo un posto migliore), e soprattutto i lauti guadagni che le società offrono.

I “refusenik”, invece, in generale sono persone che hanno ricoperto dei ruoli “minori”, come designer, ingegneri e product manager che, come Rosenstein, hanno contribuito a posare le fondamenta del mondo digitale da cui ora stanno cercando di allontanarsi. “È comune per gli esseri umani sviluppare idee e soluzioni con le migliori intenzioni, per poi vederle impiegate con conseguenze negative” ha affermato Rosenstein.

Uno studio [4] ha messo in evidenza che la semplice presenza di uno smartphone nei “paraggi” danneggia la nostra capacità cognitiva, anche quando il dispositivo è spento.

Questi aspetti sono nulla rispetto alla preoccupazione da parte di questi “eretici” che i social media possono avere sul sistema economico, sociale e politico delle Nazioni. Pensiamo per esempio a due casi emblematici: “Cambridge Analytica” e “The Great Hack”.

Due casi emblematici

Il caso “Cambridge Analytica”, raccontato nel 2019 dal documentario Netflix “The Great Hack”, racconta come nel 2013 la società Cambridge Analytica abbia raccolto i dati di milioni di utenti di Facebook senza il loro consenso attraverso un’app chiamata “This Is Your Digital Life”.

L’app sottoponeva gli utenti ad una serie di domande che permettevano di costruire profili psicologici degli utenti. Dati che Cambridge Analytica ha utilizzato per fornire assistenza analitica alle campagne presidenziali del 2016 di Ted Cruz e Donald Trump.

Il secondo caso, citato anche all’interno del documentario “The Great Hack”, è l’interessante reportage giornalistico realizzato da Carole Cadwalladr su come notizie fraudolente, appositamente costruite ad hoc, veicolate attraverso i social media, hanno svolto un ruolo fondamentale nel “pilotare” il voto sulla Brexit.

Nel suo reportage ha raccontato l’emblematico caso della cittadina di Ebbw Vale, che si trova nel Galles meridionale. Balzata agli onori delle cronache perché il 62% della popolazione in occasione del voto sulla Brexit scelse per l’uscita dall’Unione Europea.

La cittadina è divenuta famosa perché Ebbw Vale è costellata di cartelli (dalle notevoli dimensioni) che illustrano la notevole quantità di fondi europei utilizzati per il rilancio economico della cittadina.

La città è stata completamente ridisegnata grazie ai fondi europei: un centro sportivo all’avanguardia, un istituto di formazione per la ricerca eccetera. Nonostante le ingenti quantità di denaro arrivate nella piccola comunità gallese, il 62% della popolazione ritiene che l’Unione Europea non abbia fatto nulla per loro.

Il timore principale è che fenomeni come l’infodemia, la nomofobia, il multitasking, possono preparare un terreno fertile per “fake news“, confezionate appositamente per pilotare le decisioni delle persone, e quindi che si possano creare le condizioni per minare i principi della democrazia stessa.

La manipolazione tecnologica

In origine il pulsante Mi piace doveva essere uno strumento per diffondere positività, ma il successo è stato talmente inusitato che ha spinto le persone a cercare sempre di più quel breve attimo di piacere. Mentre Facebook raccoglieva dati preziosi sulle preferenze degli utenti, venduti agli inserzionisti a peso d’oro.

L’idea del pulsante “mi piace” ha avuto talmente successo che a seguire i principali social network hanno introdotto funzionalità simili.

Fu Leah Pearlman, allora product manager di Facebook e nel team che creò il pulsante Like, ad annunciare nel 2009 l’introduzione di questa funzione. Oggi è un’illustratrice, e ha confermato anche lei che si è disaffezionata al Mi piace di Facebook e agli strumenti di riscontro sociale che creano dipendenza [5].

Fa uso di un plug-in del suo browser per bloccare il feed di Facebook, ed ha assunto un social media manager per monitorare la sua pagina in modo da non doverlo fare lei. “Una ragione per cui penso che sia particolarmente importante per noi parlare di questo, è che potremmo essere l’ultima generazione che può ricordare una vita prima del mondo digitale” ha affermato Rosenstein. Può essere o non essere rilevante il fatto che Rosenstein, Pearlman e la maggior parte degli addetti ai lavori che si interrogano sull’economia dell’attenzione oggi siano trentenni, membri dell’ultima generazione che può ricordare un mondo in cui i telefoni avevano il filo ed erano fissi.

È rivelatore il fatto che molti di questi giovani tecnologi si stiano allontanando dai loro stessi prodotti, mandando i loro figli nelle scuole d’élite della Silicon Valley dove iPhone, iPad e persino i computer portatili sono vietati. Sembrano quasi attenersi al testo di Biggie Smalls in cui si illustra un principio degli spacciatori: mai sballarsi con la “roba” che si vende.

La conferenza del 2017 di Nir Eyal

Il 4 aprile del 2017, programmatori, designer digitali e più in generale imprenditori tecnologici di tutto il mondo hanno partecipato alla conferenza organizzata a San Francisco da Nir Eyal, l’autore di Hooked: How to Build Habit-Forming Products [6]. Ogni partecipante è arrivato a pagare fino a 1700 dollari per apprendere quali sono gli strumenti per manipolare le abitudini quotidiane delle persone.

Quando Eyal è salito sul palco ha affrontato la crescente preoccupazione sul fatto che la manipolazione tecnologica può essere dannosa o immorale. Ha sottolineato al pubblico che è importante non abusare del design persuasivo e di non oltrepassare la linea della coercizione.

Eyal ha manifestato scetticismo sul fatto che la dipendenza tecnologica sia pari alla dipendenza generata dalle droghe. “Non stiamo iniettando Facebook o Instagram forzatamente a qualcuno. Come non dobbiamo incolpare il panettiere per aver sfornato dei dolci che fanno ingrassare, non possiamo incolpare i produttori di tecnologia per aver reso i loro prodotti buoni”.

“Le tecnologie che usiamo si sono trasformate in compulsioni, se non in vere e proprie dipendenze”, scrive Eyal. “È l’impulso di controllare la notifica di un messaggio. È la spinta a visitare YouTube, Facebook o Twitter solo per pochi minuti, solo per ritrovarsi dopo un’ora ancora a scorrere la bacheca”. Niente di tutto questo avviene per caso, è stato tutto progettato a tavolino.

Eyal illustra i sottili trucchi psicologici che possono essere utilizzati per indurre gli utenti a sviluppare nuove abitudini. Spiega come variare le ricompense che le persone ricevono per stimolare “una voglia”, o sfruttare le emozioni negative che possono agire come delle leve.
I sentimenti di noia, solitudine, frustrazione, confusione e indecisione spesso istigano un leggero dolore o irritazione e spingono ad un’azione quasi istantanea, spesso senza pensarci, per sedare la sensazione negativa.

Le persone che hanno contribuito alla diffusione di queste tecnologie stanno facendo passi così radicali per liberarsene. Ma è da verificare se questo fenomeno farà tendenza.

Il caso Tristan Harris (ex Google)

Tristan Harris è un ex dipendente di Google che oggi critica fortemente l’industria digitale. Secondo lui, il fenomeno degli eretici non è destinato a diffondersi. “Tutti noi siamo collegati a questo sistema”, afferma. “Tutte le nostre menti possono essere dirottate. Le nostre scelte non sono così libere come pensiamo”. Lo ha dichiarato nel documentario The Social Dilemma.

Tutto è iniziato nel 2013. Allora Harris lavorava come product manager in Google, e fece circolare fra i colleghi un promemoria, dal titolo A Call To Minimise Distraction & Respect Users Attention. Il promemoria arrivò fino ai piani alti di Google, e lo portò a divenire responsabile etico del design di Google e della filosofia del prodotto.

“Una manciata di persone, che lavorano in una manciata di aziende del mondo digitale, attraverso le loro scelte manipola ciò che un miliardo di persone stanno pensando oggi”, ha dichiarato al TED di Vancouver nel 2017.

“Non conosco un problema più urgente di questo”, dice Harris. “Sta cambiando la nostra democrazia, e sta cambiando la nostra capacità di avere conversazioni e relazioni”.

Loren Brichter, l’inventore del pull

Loren Brichter è il designer che ha creato il meccanismo pull-to-refresh, ampiamente ammirato nella comunità degli sviluppatori di app per i suoi design eleganti ed intuitivi.

Oggi l’azione di trascinare verso il basso per aggiornare, per centinaia di milioni di persone, è intuitiva e immediata. Da allora il design è diventato una delle caratteristiche più impiegate nello sviluppo delle applicazioni.

Brichter afferma che non ha mai voluto che le sue soluzioni potessero essere utilizzate per creare dipendenza. Non contesta infatti il paragone con le slot machine. “Sono d’accordo
al 100%”, afferma. “Ho due bambini ora e rimpiango ogni minuto in cui non sto prestando loro attenzione quando il mio smartphone mi cattura”.

In un’era di tecnologia di notifiche push, le applicazioni possono aggiornare automaticamente i contenuti senza essere attivate dall’utente. Il sistema di scorrimento verso il basso potrebbe facilmente andare in pensione. Invece serve ad una funzione psicologica ben precisa.

Del resto, le slot machine sarebbero molto meno coinvolgenti se i giocatori non potessero tirare la leva da soli. È come il pulsante “chiudi porta” in alcuni ascensori con porte a chiusura automatica. “Alla gente piace premerlo”.

Oggi Brichter sta mettendo in discussione la sua eredità. “Ho passato molte ore e settimane e mesi e anni a pensare se qualcosa che ho fatto abbia avuto un impatto positivo sulla società o sull’umanità”. Ha bloccato alcuni siti web, spento le notifiche push, limitato l’uso di Telegram a messaggiare con la moglie e alcuni amici. Ha cercato di disabituarsi all’uso di Twitter. Lascia in carica il suo telefono in cucina, collegandolo alle 19:00, e non lo tocca fino alla mattina dopo. “Gli smartphone sono strumenti utili, ma creano dipendenza. Pull-to-refresh crea dipendenza. Twitter crea dipendenza. Queste non sono cose buone”.

Le dinamiche dell’economia dell’attenzione

L’87% delle persone si sveglia e va a dormire con il proprio smartphone, secondo una ricerca di SlickText nel 2019 e aggiornata proprio lo scorso gennaio [7]. Il mondo intero ora ha una nuova “lente” attraverso cui comprendere la politica, e le conseguenze sono profonde.

Le stesse forze che hanno portato le aziende tecnologiche a catturare l’attenzione degli utenti incoraggiano anche quelle aziende a rappresentare il mondo in un modo irresistibile.
L’economia dell’attenzione incentiva la progettazione di tecnologie che catturano il nostro interesse. La nostra attenzione, appunto. Così privilegia i nostri impulsi rispetto alle nostre intenzioni. Significa preferire ciò che è sensazionale rispetto a ciò che non lo è, facendo appello a emozioni come rabbia e indignazione.

Nell’articolo The Clickbait Candidate [8] ben un mese prima delle elezioni americane, John Williams ha lanciato l’allarme su una questione che riteneva e ritiene tutt’ora molto più importante del fatto che Trump potesse vincere le elezioni.

Questa situazione di attenzione parziale non solo sta distorcendo il modo in cui vediamo la politica ma, nel tempo, potrebbe cambiare il nostro modo di pensare, rendendoci meno razionali e più impulsivi. “Ci siamo abituati ad uno stile cognitivo perpetuo di indignazione, interiorizzando le dinamiche del mezzo” afferma Williams.

È su questo sfondo politico che Williams sostiene che la fissazione negli ultimi anni con lo stato di sorveglianza romanzato da George Orwell potrebbe essere stata fuori luogo. Fu un altro scrittore inglese di fantascienza, Aldous Huxley, a fornire l’osservazione più preveggente quando avvertì che la coercizione in stile orwelliano era meno di una minaccia alla democrazia rispetto al potere più sottile della manipolazione psicologica e “l’appetito quasi infinito dell’uomo per le distrazioni”.

“Le dinamiche dell’economia dell’attenzione sono strutturate per minare la volontà umana. Se la politica è un’espressione della nostra volontà umana, a livello individuale e collettivo, allora l’economia dell’attenzione sta minando direttamente i presupposti su cui poggia la democrazia. Se Apple, Facebook, Google, Twitter, Instagram e Snapchat stanno gradualmente intaccando la nostra capacità di controllare la nostra mente, potrebbe arrivare un punto, mi chiedo, in cui la democrazia non funziona più? Saremo in grado di capirlo se e quando avverrà? E se non possiamo, come facciamo a sapere che non è già avvenuto?” si domanda Williams.

Conclusioni

Bisogna sviluppare la propria metacognizione per difenderci dall’economia dell’attenzione, cioè prendersi il tempo per pensare. E riflettere su ciò che facciamo e valutare le implicazioni delle nostre azioni.

Prendere consapevolezza di sé significa controllare i bias cogntivi, essere consapevoli quando questi intervengono e saperli gestire. Non solo. Significa anche essere capaci di sviluppare nuovi meccanismi automatici, istintivi, grazie alla metacognizione, in grado di difenderci dagli effetti negativi dell’economia dell’attenzione. In poche parole, dobbiamo prestare attenzione alla nostra attenzione. Bisogna fermarsi, respirare e pensare.

Bibliografia

  1. Lo illustra la ricerca Metacognition: Ideas and insights from neuro and educational sciences, pubblicata nel giugno 2021 su Nature.com a cura di Damien S. Fleur.
  2. Articolo ‘Our minds can be hijacked’: the tech insiders who fear a smartphone dystopia (The Guardian, 2017)
  3. Lo ha raccontato nell’articolo How Silicon Valley hooks us sul settimanale The Week nel novembre 2017.
  4. Brain Drain: The Mere Presence of One’s Own Smartphone Reduces Available Cognitive Capacity condotto da Adrian F. Ward (JACR, 2017).
  5. The Rise of the Like Economy apparso su The Ringer nel 2017.
  6. Libro molto noto negli Stati Uniti, in cui ha illustrato le tecniche che le grandi aziende della Silicon Valley utilizzano per catturare l’attenzione del pubblico, che ha potuto osservare e studiare da vicino lavorando per queste ultime in qualità di consulente.
  7. Si intitolata 44 Smartphone Addiction Statistics for 2023.
  8. Quillette.com il 3 ottobre 2016.

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