IL SONDAGGIO

Riformare l’industria: servono governance, cultura e competenze

Secondo dei due articoli in cui è suddiviso il report con il nostro sondaggio a 35 esperti. Vediamo quali ostacoli per la definizione di una politica industriale, quale nuovo approccio si chiede al governo per impostare e attuare una politica industriale per la crescita digitale

Pubblicato il 07 Dic 2015

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Se nel primo articolo ci eravamo focalizzati sulle valutazioni dei 35 esperti che hanno risposto al nostro questionario, qui cerchiamo di integrare le loro proposte, ricche e interessanti, su un punto cruciale: gli ostacoli che bisogna superare per impostare e attuare una politica industriale per la crescita digitale rispetto ai settori strategici individuati. E, di conseguenza, quale strategia seguire per superare il gap evidente in cui ci ritroviamo. In questo articolo citiamo anche esplicitamente qualche frase dei nostri esperti, ma naturalmente i contributi sono stati tutti molto più ampi. Ne viene fuori un quadro interessante e che può essere utile riflessione anche per politici e decisori.

Una roadmap strategica

Dalle risposte all’ultima domanda del questionario “quali sono i principali ostacoli da superare per la definizione di un’adeguata politica industriale nei settori strategici indicati?” viene fuori un ricco quadro, con molti elementi di convergenza, per l’impostazione di una strategia che consenta di invertire decisamente la rotta e consenta di porre le migliori condizioni per una reale crescita digitale.

Cercando di enucleare i principali nodi individuati ne viene fuori lo schema di un programma di azione che dovrebbe intervenire su:

  • consapevolezza della situazione attuale;
  • definizione di una strategia industriale ampia;
  • chiarezza della governance;
  • semplificazione della normativa;
  • cultura dell’innovazione e digitale in particolare;
  • competenze, soprattutto di e-leadership.

Vediamo in sintesi le riflessioni e le proposte.

Consapevolezza della situazione

C’è una reale consapevolezza della “situazione di emergenza dal punto di vista del digitale” (Andrea Lisi)? Abbiamo davvero abbandonato l’idea che la strategia digitale sia un tema di “settore” (famoso il discorso dell’allora presidente Letta), e siamo consapevoli che i ritardi attuali sul digitale (in primo luogo per infrastrutture e competenze) mettono a rischio la possibilità di un adeguato sviluppo socio-economico del Paese?

La mancanza di una conoscenza reale, in termini situazione attuale ed effetti attesi, “impedisce di identificare le giuste tipologie di intervento” (Alessandro Perego) e, quindi, sia di acquisire l’adeguata responsabilizzazione tra i diversi attori, sia di comprendere e prevedere gli sforzi, le energie, i tempi necessari e i rischi da affrontare.

Innovare significa realizzare cambiamenti concreti e spesso dirompenti, profondi, e per questo difficili e contrastati.

Strategia industriale ampia

Realizzare una politica industriale per la crescita digitale significa confrontarsi con il tema della definizione di una strategia di lungo periodo, diventata sempre più un fenomeno raro.

Ma questa è la premessa indispensabile. Al contrario, è di sicuro ostacolo “la mancanza di una chiara regia strategica – stabile – capace di identificare le priorità e perseguirle in un progetto di lungo periodo” (Alessandro Perego). E anche per “l’incapacità della politica di comprendere l’assoluta necessità di una strategia digitale per il Paese” (Enzo Mazza), questo si associa alla mancanza, di fatto, di una politica industriale nazionale “che favorisca con decisione i settori “strategici” per il paese, avendo il coraggio di fare scelte anche impopolari”(Giuseppe Pirlo).
Come fare? Sicuramente bisogna partire “dalla visione strategica e dalla capacità di progettare (quindi competenze, obiettivi e piano di raggiungimento degli obiettivi)” (Stefano Pileri),

  • superando la logica dei silos settoriali “nei quali rischiano di rimanere intrappolate le politiche di digitalizzazione” (Stefano da Empoli) e anche dei “feudi digitali” che non comunicano tra loro, creati dalla logica delle smart city (Edoardo Colombo);
  • partendo da un’attenta analisi dei bisogni e soprattutto da una vision sul futuro, evitando di “rendere ‘automatiche’ funzioni ‘manuali’, che è un pessimo modo di preparare il futuro” (Giovanni Biondi);
  • attribuendo l’adeguato valore di volano di innovazione all’informatica pubblica, con un posto di rilievo da dare agli open data (Enrico Consolandi), ma anche potenziando il supporto alle strutture di ricerca per il trasferimento di conoscenza e tecnologico dell’innovazione pubblica;
  • attuando un approccio basato sulla costruzione di ecosistemi, favorendo ad esempio il rapporto tra consorzi di imprese, centri di ricerca e università, per soddisfare le esigenze di innovazione verso la Industry 4.0.

Chiarezza della governance

La carenza nel coordinamento e la debolezza della governance complessiva appaiono tra i principali ostacoli da superare per poter definire una policy, la cui responsabilità oggi non è chiara (Antonello Busetto).

La frammentazione e l’incertezza sono a tutti i livelli:

  • delle risorse a disposizione, della “parcellizzazione delle competenze degli enti pubblici coinvolti, con una conseguente incapacità di fare economia di scala, di esecuzione e di attirare importanti capitali privati” (Rossella Lehnus);
  • delle decisioni, con la mancanza di una coerente allocazione di budget e di forme di finanziamento che non vengono così definite insieme ai piani e agli obiettivi;
  • della responsabilità politica, con un “Ministro della PA che ha anche un’insolita delega anche per tutta l’agenda digitale come se Italia digitale e PA digitale fossero la stessa cosa”, un Ministro dello sviluppo economico che a cui sono assegnate deleghe parziali sul tema digitale (ma non ha budget né strumenti), un “Ministro dell’Economia che ha budget e strumenti (attraverso Consip e Sogei), ma non ha competenza” (Carlo Mochi Sismondi).

Le proposte in gran parte convergono su due punti:

  • la previsione di una responsabilità politica di coordinamento, con dotazioni di risorse e organico, da identificare con un Viceministro o sottosegretario (significativa anche la calda adesione ricevuta in questo senso da Palmieri all’Italian Digital Day);
  • l’istituzione di un luogo consultivo permanente multistakeholder, con “rappresentanti delle parti sociali (imprese/sindacato), dei Ministeri, delle autonomie locali, delle Authorities e dei consumatori” (Antonello Busetto) o anche esteso alle associazioni della società civile, sullo schema della “Consulta Permanente dell’Innovazione” avviata nel 2012. Base, questa, anche per definire un coordinamento degli attori coinvolti, affinché questi partecipino a “un soggetto capace di attuare complesse strategie, ove i fondi pubblici dedicati possano essere utilizzati a leva di capitali privati” (Rossella Lehnus).

Semplificazione della normativa

C’è una generale convergenza sulla necessità di operare in modo organico sulla normativa, su alcune linee di intervento:

  • per ripensarla, in modo che non sia basata sull’adattamento delle norme “analogiche” alla realtà digitale;
  • per semplificarla, perché oggi è poco comprensibile, non facilita l’adozione del digitale, anzi lo ostacola, come l’attuale Codice degli Appalti, che “blocca tutto” (Gianluigi Cogo) con una complessità che invece facilita la diffusione della corruzione;
  • per far sì che sia strumento di innovazione, con la disponibilità di servizi pubblici digitali semplici e trasversali (Marco Bani) e prevedendo, ad esempio, che sia più costoso ai cittadini utilizzare le vecchie procedure burocratiche mentre “utilizzare il digitale deve comportare un beneficio, anche simbolicamente economico, che agisca da stimolo” (Alessandro Musumeci).

Cultura dell’innovazione e digitale

Altro ostacolo critico è la questione culturale, cioè la mancanza di una “vera” logica di sistema e il predominio di interessi particolari sull’interesse generale e il bene comune (Piero Dominici), che si sostanzia anche con un disfattismo “a prescindere”, un generale conservatorismo del Paese dove molta economia, in grande parte sommersa, vive su servizi basati sull’inefficienza delle attuali politiche e norme. Dove non ci sono vincoli e obblighi per il rispetto delle previsioni, prevalgono i localismi, e valutazione e premiazione del merito (e penalizzazione del demerito) nella scuola (e nella PA) sono frenate “dalla normativa sul lavoro, dalla mentalità, dalla mancanza di responsabilizzazione dei dirigenti”.

Una cultura, anche, “ancora poco propensa al riconoscimento dell’importanza del digitale” (Laura Puppato). Per questo, proprio per contrastare l’alto livello di “tecnofobia o tecnoignoranza delle classi dirigenti” (Paolo Ferri) diventa necessario che la cultura digitale permei “tutti i settori produttivi” (Andrea Penza) e non solo (Patrizia Saggini).

Competenze digitali

Necessario anche rimuovere l’ostacolo dell’ignoranza digitale, intervenendo per lo sviluppo delle competenze digitali a tutti i livelli

  • con lo sviluppo dell’e-leadership “dei politici e degli alti burocrati”;
  • con una cultura di base da proporre e consolidare in primo luogo tra insegnanti nelle scuole e nelle università (per risultati a lungo termine) e formatori per PMI e associazioni di artigiani e commercianti (Valerio Eletti);
  • con la valorizzazione delle competenze maggiormente richieste, su temi come cyber security, cloud computing, big e open data, semantica;
  • nell’ambito del turismo, con percorsi professionalizzanti per gli addetti, promuovendo il marketing turistico digitale con le piattaforme web e social.

Brevi riflessioni conclusive

La breve conversazione collettiva che si è sviluppata con il questionario ci indica chiaramente che il tema della politica industriale per la crescita digitale deve essere posto rapidamente al centro del dibattito e dell’azione politica e di governo, perché “la” politica industriale è necessaria.

E se è altrettanto chiaro che alcuni settori, in particolare, devono essere posti sotto attenzione specifica perché da considerare strategici per la crescita digitale del Paese, è altrettanto vero che merita di approfondimento il tipo di approccio che può essere più efficace nel breve e anche nel medio-lungo termine:

  • prevalentemente verticale (come indica ad esempio Cristina Bargero), con interventi mirati per velocizzare le trasformazioni profonde necessarie nei settori strategici individuati (Information Technology, Education, Telecomunicazioni, Turismo, Manifatturiero, Energia), e quindi anche indirizzandone lo sviluppo;
  • prevalentemente orizzontale (come indica ad esempio Stefano da Empoli), con interventi volti soprattutto alla creazione delle condizioni abilitanti trasversali, ma senza entrare nello sviluppo del singolo settore strategico.

È chiaramente urgente avviare questo percorso, ma bisogna essere consapevoli che per avere speranza di successo bisogna mettere mano strutturalmente al tema del coordinamento e della governance del digitale e porre come ostacoli centrali da rimuovere le zavorre dell’ignoranza digitale e della burocrazia, fonte di corruzione diffusa. Si avvii quindi un’iniziativa sistemica, coraggiosa, paziente ma tenace e determinata.

L’innovazione non può essere cambiamento di superficie.

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