Per anni la Pubblica amministrazione è stata considerata un puro fattore di costo del bilancio dello Stato anziché un sistema chiave per la produzione di servizi qualificati. Da ciò ne è derivata una costante riduzione delle risorse finanziarie ad essa destinate e di conseguenza una decrescita numerica del personale, una elevazione dell’età media, un taglio degli investimenti in tecnologie.
Questa visione è stata per fortuna superata, anche perché se ne sono visti gli effetti dannosi nel corso delle vicende drammatiche che abbiamo vissuto nello scorso biennio e il Governo sta dedicando un impegno straordinario al tema, sul fronte dell’innovazione e della semplificazione.
Ma dove e come si declina una politica per l’innovazione della PA?
Politica per l’innovazione della PA: i tre aspetti (più uno) da considerare
Direi che vanno presi in considerazione tre aspetti: quello legislativo, quello delle procedure, e quello delle competenze.
- Sul piano legislativo, sarebbe utile ridurre il perimetro di intervento della legge sul funzionamento della PA.
- Sul piano dei processi e dei modelli operativi, occorre assicurare anzitutto una architettura decisionale che individui con chiarezza l’Amministrazione responsabile capofila.
- Infine, sul piano delle competenze professionali, è indispensabile che la Pa si doti non solo di profili giuridici ma anche di professionalità con competenze in materia economica, gestionale, di analisi dati e manageriali.
A questi temi, ne aggiungerei un quarto: rinnovare la PA richiede anche uno sforzo progressivo diretto a mettersi dalla parte dell’utenza, per coglierne i bisogni e dare risposte efficaci.
Con l’Agenzia per la Coesione territoriale e il finanziamento del PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020, Unioncamere ha condotto in questi ultimi anni il progetto SISPRINT, il cui nucleo fondamentale consisteva nel mettere intorno a un tavolo pubbliche amministrazioni locali e stakeholder per capire quali fossero le necessità dei diversi territori e portarle all’attenzione dei livelli istituzionali. L’obiettivo era innescare, anche con una lettura puntuale delle dinamiche territoriali, un cambiamento o un processo di innovazione della programmazione degli interventi sui territori.
Integrare nella PA professionalità e competenze nuove
E indubbiamente è indispensabile integrare nella PA anche professionalità e competenze nuove. Le previsioni Excelsior a medio termine mostrano che tra il 2022 e il 2026, considerando i processi di transizione in atto e che verranno ulteriormente intensificati dagli investimenti programmati, le competenze green ricercate dalle imprese e dalla PA saranno sempre più pervasive nei diversi settori e profili professionali. In particolare, si stima che nel quinquennio il mercato del lavoro italiano richiederà il possesso di attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale a 2,4-2,7 milioni di occupati, e per il 60% di questi tale competenza sarà necessaria con importanza elevata (1,5-1,6 milioni). In parallelo, si assisterà ad una domanda crescente e trasversale di competenze digitali, che si stima saranno richieste dalle imprese e dalla PA a 2,1-2,3 milioni di occupati tra il 2022 e il 2026.
L’esperienza dei PID delle Camere di commercio
In quest’ottica, una esperienza utile da raccontare è quella dei PID delle Camere di commercio. È un esempio di quella che definirei una felice ibridazione. Il personale camerale che opera all’interno dei Punti impresa digitale, che sono parte del Network istituzionale di Impresa 4.0, ha ovviamente frequentato e superato percorsi di formazione specifica che lo mettesse in grado di accompagnare le imprese nei loro percorsi di digitalizzazione. Al tempo stesso, però, circa 200 giovani digital promoter affiancano costantemente il personale dei Pid e gli stessi imprenditori nei loro processi innovativi. Un connubio che considererei vincente e che ad oggi ha consentito di raggiungere già 450mila Pmi.
E qualcosa di analogo potrebbe anche essere fatto riguardo alla transizione verde.
Semplificazione e aumento della produttività
Quanto alla semplificazione, resta una delle criticità più sentite dalle aziende, in termini di tempi da dedicare ai procedimenti amministrativi e quindi di costi. Una recente indagine del Centro studi Tagliacarne rivela infatti che una riduzione di un terzo del tempo dedicato dalle risorse umane interne alle imprese agli adempimenti burocratici, reimpiegato nelle attività produttive, comporterebbe un aumento della produttività aziendale tra il +0,5% e il +1,1%.
Chi opera si trova dinanzi ad un alto numero di procedure diverse, a definizioni regolatorie differenti tra regioni e a volte persino tra comuni limitrofi. Una confusione che andrebbe sanata, con provvedimenti selettivi che vadano a migliorare proprio quei contesti normativi più onerosi per le imprese. Per questo negli scorsi mesi in Unioncamere abbiamo costituito una Commissione permanente sui temi della semplificazione con la partecipazione delle Confederazioni imprenditoriali dei diversi settori. Il nostro obiettivo è raccogliere le istanze più sentite ed elaborare proposte concrete da sottoporre al Governo.
Semplificazione e digitalizzazione
La digitalizzazione aiuta. Potremmo definirla “l’altra gamba” della semplificazione. Le Camere di commercio hanno progressivamente spostato sul digitale la fornitura dei propri servizi alle imprese. Molto si può risolvere online con risparmio di tempo e denaro per i fruitori dei servizi.
L’ulteriore passo avanti che si potrebbe fare è pensare o ripensare le norme e i procedimenti in una logica di utilizzo del digitale, in maniera che la loro applicazione sia ancora più semplice per gli utenti.
I procedimenti digitali non si devono confinare dentro il tema informatico. Essi, infatti, coinvolgono i principali e più qualificanti aspetti di natura fiduciaria tra Stato, cittadini e imprese:
- il modo e le regole con cui relazionarsi (il front end). Per questo occorre subito una concreta attuazione del principio Once Only per non richiedere ai cittadini e alle imprese dati già in possesso della PA e un paziente lavoro di accompagnamento per abilitare le conoscenze delle principali piattaforme;
- i sistemi di interoperabilità tra pubbliche amministrazioni (il back office) che sono critici sia per la gestione dei dati ma anche per i processi di controllo, che devono essere più semplici per le imprese e più efficaci nel merito;
- il monitoraggio dei dati, per migliorare l’esperienza digitale degli utenti ed individuare le opportunità derivanti dalla necessità del passaggio da una mera gestione dei moduli ad una valorizzazione dei dati in essi contenuti.
La reale possibilità di fare innovazione è spesso determinata dall’incontro di storie, culture, esperienze diverse. Per questo la “rigenerazione della PA” non passa solo per la via dell’efficientamento, ma dall’interconnessione e dalle contaminazioni tra processi, strumenti, dati, competenze. Anche se agile (6500 dipendenti in tutta Italia), la rete delle Camere di commercio è per sua storia e natura un luogo ibrido, tanto regolazione degli usi e delle consuetudini quanto mercato telematico dei prezzi, tanto anagrafe per la trasparenza delle imprese quanto hub di dati e informazioni per i mercati.
Non a caso l’anagrafe digitale delle imprese anticipa di 25 anni l’anagrafe digitale dei cittadini e la firma degli atti pubblici societari anticipa di 10 anni l’uso massivo dei dispositivi di firma elettronica, o, più recentemente, l’avvio della fatturazione elettronica nelle imprese diviene rapidamente una delle (poche) best practice digitali italiane assolute rilevate dal DESI europeo.