Essere iperconnessi, toccare continuamente il proprio smartphone, controllare spasmodicamente le notifiche dei social network o la posta elettronica, da vantaggio si sta trasformando in disturbo. Come vedremo dopo da alcuni dati che illustrano la pervasività del digitale, l’impatto sulle nostre abitudini è ormai acclarato, ma non sempre è positivo. Per questo si va affermando il cosiddetto “minimalismo digitale“, che non è un “detox” inteso come un abbandono senza se e senza ma, quanto una sorta di rieducazione mentale che può aiutare a riappropriarsi di una buona parte del tempo che le tecnologie ci stanno sottraendo senza che neanche ce ne rendiamo conto.
La pervasività digitale e l’impatto sulle nostre vite
La pervasività dei dispositivi mobili è totale e assoluta: nel mondo, secondo dati recenti, coloro che hanno utenze mobili sono 5 miliardi e 112 milioni, corrispondenti al 67 per cento della popolazione; se, in un solo anno, questi sono cresciuti di 100 milioni (del 2 per cento), gli utenti di social network da dispositivo mobile sono aumentati di 297 milioni (del 10 per cento) ed hanno raggiunto i 3 miliardi e 256 milioni.
Gli utenti di internet sono 4 miliardi e 388 milioni (il 56 per cento della popolazione mondiale; dato del quale però non viene specificato quanti da device mobile e quanti da fisso).
Da altre fonti risulta che l’utilizzo nel mondo di media digitali è aumentato del 40 per cento dal 2013, quello di smartphone raddoppiato negli ultimi 3 anni.
In riferimento all’Italia, mediamente il tempo speso su internet è 6 ore e quattro minuti e nei social un’ora e 51 minuti.
Inoltre, uno studio della Nokia, del 2013, ha dimostrato che gli utenti controllano i loro smartphone mediamente 150 volte al giorno e una ricerca della società Dscout, del 2016, ha rilevato che lo toccano mediamente 2617 volte al giorno. Infine, mediamente le persone guarderebbero le mail 45 volte al giorno.
Ma essere iperconnessi non rappresenta sempre un vantaggio, bensì anche un fattore crescente di disturbo.
Se Stefano Pivato identifica il Novecento come “Il secolo del rumore”, di un suono continuo e gagliardo che promana, in maniera continua e sovra volume, le promesse mantenute del futurismo nelle conquiste della tecnica, e la rutilante società dello spettacolo nella radio della canzonetta e nella televisione nazionalpopolare, distintivo di questo decennio è il “rumore” tecnologico, ossia il disturbo dei diversi stimoli provenienti dai dispositivi mobili.
Le soluzioni al sovraccarico digitale
Situazione per la quale vengono poste soluzioni tecnologiche, individuali e collettive.
Sotto il profilo della tecnologia, app come Headspace, HabitLab e Like Moment impongono delle pause quando le distrazioni sono iterate e superano un certo tempo. Da un punto di vista sistemico e culturale, queste applicazioni sono degli antidoti contro le tecniche per catturare l’attenzione delle persone. La Bose, ad esempio, vende un prodotto acustico che consente all’utente di filtrare i suoni indesiderati.
Per quanto riguarda il profilo individuale, si può parlare di minimalismo digitale . Cal Newport, autore del libro Digital Minimalism: Choosing a Focused Life in a Noisy World ne dà la seguente definizione: «Il minimalismo digitale è una filosofia del dubbio che gli strumenti di comunicazione digitale (e dei comportamenti che circondano questi strumenti) aggiungano valore alla vita. Si basa sulla convinzione che soluzioni, come eliminare intenzionalmente e in maniera decisiva il rumore digitale di fondo, valorizzare ed ottimizzare l’utilizzo degli strumenti veramente importanti, possano migliorare significativamente la vita».
Gli obiettivi del minimalismo digitale
L’obiettivo è quello di rimuovere tutto che ciò non utilizziamo e puntare su quello che effettivamente ci serve. Per tanto, vengono offerti suggerimenti per rendere essenziale e pulito da distrazioni il desktop del computer. Lo stesso metodo viene proposto per tutti i file che non utilizziamo più o sono rimasti copiati in più cartelle e si suggerisce di utilizzare maggiormente il cloud, suddividendo in ciò che si usa e ciò che non si usa, semplificando infine il numero di cartelle, ad esempio per attività: “Lavoro”, “Personale” e “Divertimento”. Inoltre, si invita ad utilizzare maggiormente lo streaming on demand ed a scaricare meno cose possibili.
Suggerimenti analoghi per lo smartphone: via le app non utilizzate. E, stoicamente, si invita a togliere le app dei social media. Tutto questo per arriva ad una home con 4 applicazioni. Le indicazioni continuano: inserire tutto il resto in una cartella; ripulire i contatti che non utilizziamo più così come podcast, immagini, musica, video dei quali non fruiamo più; appoggiarsi ad un sistema di ricerca per trovare le app e i contenuti che servono; disattivare le notifiche; dalla sera alla mattina, inserire la funzione “Non disturbare”.
La stessa strategia draconiana andrebbe praticata nelle mail: controllarle solamente due volte al giorno (tarda mattina e tarda sera); fissare un tempo massimo di 25 minuti a sessione; ridurre il numero di comunicazioni a quelle indispensabili; non rilanciare orari e luoghi di incontri ma fissarli assertivamente; se interazioni richiedono un tempo più lungo, meglio parlare di persona; utilizzare un sistema di gestione di tutte gli indirizzi mail.
Anche la navigazione in Internet richiede la stessa drasticità: tracciare il tempo e capire così dove viene utilizzato maggiormente; eliminare tutti feed che non ci interessano e che non danno valore aggiunto; provare a vivere senza social; non utilizzare segnalibri; utilizza invece black list per evitare siti che fanno perdere tempo senza offrire nulla in cambio.
Il minimalismo come modus vivendi
Pratiche che, in quanto tali, vanno continuate nel tempo per diventare un modus vivendi. Di fatto viviamo nella web society: se un tempo, regole analoghe erano linee guida della web usability per rendere ergonomici i siti (togliere ciò che non serve, in tre clic raggiungere l’obiettivo, grafica che assecondi le leggi relative allo sguardo e alla percezione, ridurre il rumore, link e navigazione che rispecchino le mappe mentali dell’utente, applicabilità ai diversi tipi di schermi e browser), oggi, la filosofia del minimalismo digitale mira a rendere ergonomica la realtà fusa con il web.
Infine, in termini di collettività, possiamo parlare addirittura di lotta di liberazione dell’attenzione umana. L’autore del libro Stand out of our Light: Freedom and Resistance in the Attention Economy, James Williams, utilizza la seguente metafora: pensiamo, per assurdo, ad un GPS che ogni volta che lo impostiamo per arrivare ad un luogo, ci conduce in luoghi diversi da quelli inizialmente indicati. Ben pochi utenti lo accetterebbero, eppure la maggior parte di noi subisce e tollera questo con quelli che Williams definisce “attentional GPS”, tecnologie che dirigono i nostri pensieri, le nostre azioni e le nostre vite.
È solo un’illusione pensare che i dispositivi ed in particolare i loro contenuti gratuiti siano costruiti per soddisfare i nostri reali bisogni, per realizzare veramente noi stessi. In realtà concorrono, con altri prodotti e messaggi, a conquistare un’attenzione sempre più scarsa, e per questo sempre più preziosa e cercata. Consideriamo, inoltre, che dalla loro hanno sistemi intelligenti e big data che noi alacremente sparpagliamo in ogni nostra attività.
La grande portabilità di dispositivi, la richiesta sempre più urgente di informazioni, il rimanere in contatto con gli altri attraverso nuove pratiche relazionali, meccanismi basilari quali il premio (il messaggio arrivato, il like, il gossip, l’informazione piccante) per rinforzare il comportamento (guardare il display) ci hanno trasformato antropologicamente.
Tutte le distrazioni gratuite che ci vengono proposte hanno pur sempre un prezzo: la vita che non abbiamo vissuto nel tempo passato sui dispositivi, quello non abbiamo fatto o raggiunto, attenzione perduta per e da persone intorno a noi, conversazioni mancate, orizzonti trascurati per concentrarsi sugli schermi.
Le azioni tecnologiche, individuali e collettive, qui prospettate, sono così anche antidoti contro le tecniche per catturare l’attenzione delle persone. Una lotta iniziata in un tempo lontano: ogni epoca e civiltà ha artefatti retorici, visivi, architettonici e sensoriali per sedurre l’ascolto, lo sguardo e la volontà.
Chi si è tappato le orecchie con la cera, chi si è fatto legare al palo di una nave: ogni epoca ha la sua odissea.